Chi vuole una scuola pubblica e popolare?

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A moovimentare l’estate 2022 è giunta una precipitosa crisi di governo, che ha condotto, per direttissima, in modo abbastanza inusuale, all’indizione di elezioni anticipate, fissate per la data del 25 settembre. Il “ miglior presidente”, nonostante appelli e suppliche di vario genere, ha tirato i remi in barca lasciando ad altri il non facile compito di gestire lo sfacelo che si annuncia, grazie alla scellerata politica estera ed economica degli ultimi mesi, grazie al migliore dei governi che ha saputo trarre il peggio dai vari, drammatici accadimenti, dalla guerra in Ucraina agli strascichi economici della pandemia, al deterioramento progressivo e irreversibile di una classe politica inadeguata, per usare un eufemismo. Le tensioni internazionali, l’evidente sudditanza del nostro paese ai diktat degli Usa e dell’unione europea , la trappola del PNRR, non lasciano molte possibilità di ripresa dalla (forse) passata emergenza pandemica. Il tutto, naturalmente, nella cornice della questione climatica, che non potrà essere ignorata, essendo giunti ad un punto di non ritorno, o almeno che imporrebbe tali e tanti cambiamenti e provvedimenti radicali ed immediati che il mondo ( non solo il nostro paese ) non sembra essere in grado di attuare.

Ma, tornando allo specifico italiano di questa crisi “balneare”, salta all’occhio come, seppur formalmente legittime, le prossime elezioni politiche rappresentino un vulnus democratico, una plastica rappresentazione di quanto la democrazia rappresentativa, in questo paese, sia poco più di una formuletta teorica. Una legge elettorale pessima, peggiorata dalla riduzione del numero dei parlamentari e dalla ridefinizione dei collegi ostacola le formazioni politiche non presenti in parlamento, obbligando alla raccolta firme per presentare liste e imponendo la soglia di sbarramento al 3%. D’altra parte, pure l’elettore di partiti già rappresentati, ha scarse possibilità decisionali, per i meccanismi di liste bloccate previste dalla legge.
Malgrado le enormi difficoltà legate alla necessità di raccogliere firme in 10 giorni ad agosto, “ Unione Popolare” fortunatamente sarà presente sulle schede elettorali e potrà dar voce a quanti non si riconoscono nelle accozzaglie di pari forza, partiti che al consueto mercato delle vacche pre-elettorale promettono di fare ciò che, finora, pur avendone la possibilità non hanno fatto.

Scuola pubblica e popolare

Per quanto riguarda la scuola pubblica, che, come la sanità, in questo paese, versa in condizioni drammatiche, ciò che occorre fare è ben chiarito nel programma di Unione Popolare.

Abbiamo estremo bisogno di liberarci delle riforma Gelmini e della legge 107 di Renzi, che hanno segnato pesantemente, nel solco già tracciato dall’autonomia scolastica, il declino della scuola pubblica trasformata sempre più in azienda,svuotata del carattere di istituzione della Repubblica, come indicato dalla Costituzione.

Urge una seria opera di recupero delle istanze democratiche che riassegni alla scuola pubblica il ruolo centrale che deve avere per garantire pari opportunità a tutte e tutti: gratuita, accessibile, sicura su tutto il territorio nazionale. Una riforma che finalmente non venga calata dall’alto, ma scaturisca dall’analisi dei bisogni di chi vive la scuola nei diversi ruoli e funzioni.

Ripristinare le finalità formative, l’acquisizione di una solida cultura e capacità di leggere la complessità; l’orizzonte, il fine dei percorsi scolastici non può essere semplicemente la preparazione di forza lavoro richiesta dalle aziende.

L’alternanza scuola lavoro è da cancellare, per svariate ragioni, non ultima quella che si intreccia al tema della sicurezza sul lavoro, autentica piaga italiana, e dello sfruttamento di giovani studenti che, più che ricevere formazione professionalizzante, imparano presto ad essere considerati alla stregua di una merce.

Lavoratrici e lavoratori della scuola, poi, aspettano da anni di essere adeguatamente retribuiti e stabilizzati; è inaccettabile che il richiamo all’adeguamento agli standard europei, non valga quando si tratta di stipendi, o di superare il “ precariato storico” (docenti e ATA), fenomeno tutto italiano che incide sulla vita e la professione di centinaia di migliaia di persone e sul funzionamento della scuola.

Altrettanto irricevibili sono le recentissime disposizioni del ministro Bianchi sul reclutamento e sulla formazione dei docenti e in particolare sull’introduzione del docente “esperto”: un meccanismo discriminatorio che impegnerebbe i docenti per una decina d’anni in corsi di formazione che porterebbero ( non automatica-mente, ma a discrezione del dirigente) ad un aumento stipendiale.
Sulla formazione dei docenti si gioca una partita che merita particolare attenzione, sia perché rappresenta l’ennesimo artificio per giustificare la creazione di una nuova struttura per assegnare fondi, la “Scuola di alta formazione” che assicurerà compensi stratosferici ai suoi massimi dirigenti,sia perché la libertà d’insegnamento dei docenti dovrebbe comprendere anche il percorso formativo e di aggiornamento degli stessi.

Gli edifici scolastici richiedono quasi ovunque interventi piccoli o grandi di manutenzione ed ammodernamento.

La difesa della scuola pubblica passa anche per il rifiuto di ogni progetto di autonomia differenziata, che lega le opportunità educative per le popolazioni agli intrecci locali di politica e iniziativa economica privata. Il programma di “Unione popolare”, prevede interventi di sostegno anche economico alle famiglie per favorire l’accesso ai piùalti gradi dell’istruzione ( libri, musei, mezzi pubblici gratuiti) ed una capillare diffusione della scuola dell’infanzia statale ( in molte parti d’Italia questo segmento del sistema scolastico è quasi del tutto a gestione privata, spesso religiosa).

Il numero di laureati italiani non è allineato alla media europea, e la condizione professionale di docenti e ricercatori è spesso precaria e non adeguatamente retribuita. Anche per le Università è necessario recuperare e sostenerne la gestione pubblica

Si tratta delle rivendicazioni che il mondo della scuola e della cultura pone da sempre, senza successo, forse con insufficiente determinazione, alla politica.
Questa assuefazione al costante peggioramento dello stato di salute della scuola e dell’università italiana, possono far apparire un programma ambizioso, ma imprescindibile come una lista di desideri impossibili.

In realtà si tratta di investire, finalmente, le risorse necessarie, sottraendole, per esempio, alle spese militari, e di invertire una rotta che finora ha trascinato i principali settori vitali di una società (scuola, sanità, previdenza, servizi) nella barbarie della privatizzazione, restringendo il ruolo dello Stato ed aumentando le diseguaglianze tra cittadini con diversa capacità economica.

Loretta Deluca

Insegnante

Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

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