La guerra in Ucraina l’hanno già vinta le aziende americane degli armamenti

Chi si sta arricchendo di più?

Sono tutti sinceri quando parlano di “difesa dei valori ideali”, o sotto sotto si nascondono anche motivazioni meno nobili? Beh, noi, al solito, facciamo parlare i numeri. Poi ognuno tragga le sue conclusioni. Terrence Guay (Penn State University) in un saggio analizza l’impatto “dei fallimenti militari russi”, in Ucraina, sull’industria globale delle armi e, in particolare, sull’export americano e su quello cinese. La sua tesi è che la “guerra di logoramento” europea sta spingendo il mondo a riarmarsi in maniera massiccia.

Russia consumatrice in proprio

La Russia, uno dei grandi esportatori, però, è fuori gioco: deve utilizzare per sé la maggior parte di ciò che produce. E poi le sue armi, testate sui campi di battaglia, in molti casi si sono rivelate mediocri. Il suo mercato specifico, comunque, viene progressivamente riempito dalla Cina. E gli Stati Uniti? Fanno la parte del leone. Il “pericolo Putin”, la presunta foia russa di invadere l’Europa e gli allarmi che suonano a tutte le ore, hanno praticamente aperto alle lobby americane “dei cannoni” orizzonti sterminati. Progetti, ordinativi e commesse piovono, negli States, in modo torrentizio.

Mercato armi 2021, 39% Usa, 19% Usa

Fino al 2021, gli Stati Uniti erano i “guerrafondai” del pianeta, col 39% complessivo di armi vendute e la Russia era al 2º posto, con il 19%. Bene, il docente della Penn University sostiene che la “vetrina” ucraina ha cambiato tutto. Secondo Business Insider, fino a giugno, Mosca aveva perso in battaglia più di mille carri armati, almeno 50 elicotteri, 36 cacciabombardieri e 350 pezzi d’artiglieria. Una vera ecatombe e non certo una buona pubblicità per le armi Made in Russia. Prima Putin riusciva a collocare il suo export bellico giocando sul rapporto qualità-prezzo. Ciò che vendeva costava meno della metà di analoghi prodotti occidentali e, non avendo lo stesso grado di “sofisticazione”, era anche più facile da utilizzare. Ma l’andamento delle operazioni in Ucraina ha sollevato generali perplessità nei “clienti” tradizionali di Mosca.

Armi meno costose e più semplici

Tra il 2016 e il 2020 la Russia ha venduto 28 miliardi di dollari di armi a 45 Paesi. Il suo primo cliente è stata l’India, che ha importato il 50% dei rifornimenti per le sue forze armate (circa 6,5 miliardi di dollari in 5 anni). A seguire, ci sono stati poi la Cina (5,1 miliardi), l’Algeria (4,2), l’Egitto (3,3) e il Vietnam (1,7). Putin ha venduto di tutto: aerei, motori, veicoli corazzati, missili e sistemi di difesa aerea. Tredici Paesi hanno ricevuto avanzatissimi jet da combattimento MiG e Sukhoi (almeno 400). L’India ne ha comprati la metà e ha anche affittato sottomarini a propulsione nucleare da Mosca. Un “articolo” particolarmente richiesto è stato il sistema missilistico antiaereo S-400, esportato in Cina, India, Siria e, molto a sorpresa, anche in Turchia, Stato-pilastro della Nato. Adesso, però, con le sanzioni decretate dall’Occidente, gli scenari sono cambiati.

Le sanzioni sule tecnologie evolute

Quelle “vere”, che colpiscono di più, ma nel medio-lungo periodo, sono le misure che bloccano l’export di tecnologia di ultima generazione. Il professor Guay sostiene che questo è il vero colpo al cuore, per l’industria degli armamenti russa. Mancando semiconduttori e altri pezzi di ricambio sofisticati, diventa impossibile o, comunque, difficilissimo, costruire aerei, droni, missili e veicoli blindati in grado di reggere la “concorrenza” con quelli occidentali. Insomma, i rovesci militari russi in Ucraina sono stati la migliore propaganda per l’industria degli armamenti americana. E, a ruota, anche per quella di Pechino.

L’industria militare cinese

Cominciamo da questi ultimi. La loro ambizione è mangiare quote di mercato prima detenute dai russi. Per farlo, devono costruire armi migliori di quelle di Putin e altrettanto a buon mercato, magari sfruttando la loro filosofia di penetrazione, che sta dietro alla Belt and Road Initiative. La Cina ha costruito la Marina militare più numerosa del mondo. E adesso vuole dimostrare di essere in grado di impostare, armare e vendere navi da guerra tecnologicamente avanzate. Ma chi sono i veri “vincitori”, almeno finora, della guerra in Ucraina?

Armamenti, vittoria americana

“I produttori di armi statunitensi dominano l’industria globale di questo settore – risponde Terrence Guay – e la guerra in Ucraina permetterà che questa situazione continui per qualche tempo”.

  • La metà dei primi 100 produttori di armi nel mondo si trova negli Stati Uniti, 20 sono europei e solo 2 sono russi. Così la crisi ucraina sta diventando, di fatto, una partita di giro.
  • Degli ultimi 40 miliardi di dollari stanziati dall’Amministrazione Biden, per sostenere Kiev, quasi 9 miliardi dovranno essere spesi per ricostituire le “scorte di magazzino” delle armi cedute agli ucraini.
  • Per i missili Javelin, per esempio, ci vorranno 4 anni. Con grande gioia della Raytheon, che li fabbrica.
  • Lo stesso discorso si può fare anche per i missili Himars.

Wall Street patriottica

Ma uno specchio fedele delle aspettative del mercato americano delle armi è Wall Street. I titoli azionari delle principali società del settore si sono impennati, da Lockheed Martin (+ 12%) a Northrop Grumman (+ 20%), facendo presagire ai trader prospettive di buoni guadagni.

Certo, l’unica condizione per arricchirsi e per continuare a vendere armi in tutto il mondo è che la guerra di logoramento in Ucraina continui. Ma per questo, c’è già chi ci pensa.

Piero Orteca

8/9/2022

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