Covid-19, studio scientifico Altamedica

Secondo i dati ufficiali in Italia ad oggi hanno contratto il Covid 22.004.612 persone. Tra gli asintomatici e tutti coloro che sono “sfuggiti” a tamponi e test o che non si sono “dichiarati” positivi, il numero reale potrebbe essere di oltre il doppio. Ciò vuol dire che la stragrande maggioranza di italiani ha contratto il virus e secondo questo nuovo studio (e mille altri), ha sviluppato una naturale immunità.
A tal proposito molto interessante è un articolo pubblicato stranamente su La Repubblica in cui si dice: “Vaccino non serve a chi si è contagiato” – e prosegue – “Chi ha già contratto il virus non ha più bisogno di vaccino. E’ quanto emerge da un studio scientifico dell’istituto di ricerca Altamedica, dal titolo ‘Evidence of Memory B-cells response aghainst different SARS-CoV-2 variant’, che sarà presentato al congresso della Società Italiana di Genetica Umana“. – “Ovviamente può accadere– specifica il professor Claudio Giorlandino, direttore scientifico dell’Istituto di Ricerca Altamedica- che di nuovo si contagi, ma non può mai ammalarsi di COVID. Questo come per ogni influenza stagionale. Nessun soggetto che ha superato l’infezione è mai finito in un reparto di rianimazione a causa del COVID“.
Tale studio è stato eseguito dai ricercatori dell’Istituto Altamedica con una metodica unica, la citometria a flusso sui linfociti B di memoria. Da tale ricerca- spiega la nota dell’Istituto- emerge che la memoria immunologica per il SARS-CoV-2 permane a lungo, indefinitamente.

Il 7 settembre 2022, Agi, in un articolo specifico scrive:
Lo studio sperimentale, eseguito su un numero considerevole di soggetti che hanno contratto l’infezione, dimostra riferisce Giorlandino – che i linfociti B sono pronti a riattivarsi immediatamente allorché vengano nuovamente a contatto con il virus, trasformandosi in plasmacellule che poi genereranno gli anticorpi specifici. Ovviamente non vi è paragone sulla efficacia della immunità naturale rispetto a quella modesta e limitata post-vaccinale. I vaccini sono attivi soltanto contro una parte del virus, la proteina spike, mentre gli anticorpi naturali sono attivi contro tutto il virus e quindi non temono varianti”. – E aggiunge: “Sappiamo poi che il virus non è più aggressivo come prima della variante Omicron e tutte le varianti che si sono susseguite conservano la ‘resistenza’ allo splitting della proteina di aggancio cellulare, la Spike. Infatti, è noto che il SARS per infettare i polmoni, deve subire una divisione dalla suddetta spike. Divisione che avviene per meccanismi enzimatici (detti TMPRESS2) presenti sulle cellule polmonari, tali varianti non sono splittabili. Da allora, infatti la quasi totalità dei decessi riferiti dai media non avvengono a causa del Covid, ma per cause diverse in soggetti che sono solo positivi al tampone. Sulla base di questo l’esecuzione di una quarta dose di vaccino è totalmente inutile”.

Conclude Giorlandino: “L’idea poi che chi si sia vaccinato sviluppi semmai una malattia inferiore non è più attuale. Verosimilmente corretta nel 2020 oggi è il virus stesso che, come è sotto gli occhi di tutti, ha perso virulenza soprattutto nei non vaccinati. I nuovi vaccini Pfizer che l’industria statunitense sta cercando di introdurre con la modificazione dell’RNA attivo contro alcune nuove (ma oramai anche esse inattuali) varianti omicron risultano destituiti di utilità. Innanzitutto, perché il virus, come detto, ha perso la sua pericolosità, l’aggressione dei polmoni, e poi perché le varianti si susseguono incessantemente e possono essere contrastate solo da chi ha acquisito, con l’infezione, l’immunità naturale contro tutto il virus, indipendentemente dalle varianti che interessano solo piccole pari di esso. Per chi è solo protetto dal vaccino rischierà questa rino-faringo-tracheite. Infatti, la tecnologia di questi vaccini statunitensi arriva sempre molto più tardi delle mutazioni della proteina virale che vogliono contrastare”.

Questo studio conferma quello che aveva detto Teresa Forcades, suora benedettina catalana, teologa ed attivista politica nel campo della salute che in una intervista, pubblicata sulla rivista digitale «Vilaweb» il 1 maggio 2021, diceva: “L’attuale vaccinazione di massa influisce sulla prevenzione della malattia ma non sulla trasmissione (così sono tutti i vaccini che vengono iniettati: Pfizer, Moderna, AstraZeneca, Johnson & Johnson e così via), e questo a lungo termine è controproducente perché lascia il lavoro “a metà” e fa mutare il virus in un ceppo più virulento in grado di colpire i più giovani e i bambini. (…) Il problema è che tutti i vaccini attuali attaccano la proteina spike e producono anticorpi specifici che non eliminano la trasmissione. Questa è una strategia fallimentare, che potrebbe portare a seri problemi nel giro di sei mesi. (…) Si tratta di una strategia a breve termine, perché è stato dimostrato che l’attuale vaccinazione non impedisce la trasmissibilità e quindi si può trasmettere la malattia in modo asintomatico. Infatti, se sei vaccinato, ma hai il virus e non te ne accorgi, puoi infettare un’altra persona che può ammalarsi. E questo aumenta la capacità del virus di espandersi e di mutare. È vero che la mutazione è un fenomeno normale, ma è altrettanto vero che la vaccinazione offre un vantaggio competitivo ai ceppi più virulenti. Questo è il caso della variante sudafricana, resistente ai vaccini attuali. Inoculare questo tipo di vaccini nel bel mezzo di una pandemia è un esperimento su larga scala che sta selezionando varianti più virulente, come appunto quella sudafricana. Se crei l’immunità al virus ma non lo elimini, lo inviti a mutare in una nuova variante. (…) Si potrebbe lavorare con un’altra strategia vaccinale volta a provocare l’immunità cellulare, a stimolare le cellule Natural Killer che i giovani attivano quando affrontano una malattia asintomatica. (…) A differenza degli anticorpi, questa immunità è un’immunità innata e, cosa più importante, aspecifica. Ciò significa che è efficace contro tutti i ceppi del virus, da quello originale alle varianti, mentre i vaccini che abbiamo sono specifici. Sarebbe l’ideale se fossero al contempo specifici ed eliminassero il virus, ma se non impediscono la trasmissione – e questo è il caso – è controproducente usarli nel mezzo di una pandemia”.

Questo era stato ribadito molto bene dal Dr. Geert Vanden Bossche in uno studio pubblicato su The American Journal of Medicine ed è confermato da una ricerca in Sudafrica. Il dottor Peter McCullogh, che è un grande cardiologo statunitense, si chiedeva come mai alcune ricerche siano state fermate e altre invece siano state potenziate. A rispondere era ancora Teresa Forcades che nella stessa intervista disse: “La ricerca che abbiamo sui vaccini è stata finanziata negli Stati Uniti con enormi quantità di denaro pubblico: 500 milioni di dollari sono stati dati alle aziende che ora fanno pagare il vaccino per poi non assumersi e che poi non saranno responsabili degli effetti collaterali. Se metà di questo denaro fosse stato speso per studiare possibili cure (non vaccini, ma cure per i malati), forse avremmo avuto più benefici. (…) Mi sconvolge pensare che la situazione possa peggiorare con queste strategie di vaccinazione mediante anticorpi specifici che non impediscono al vaccinato di trasmettere la malattia. Non troverete nessuno studio che dica che il vaccinato smette di trasmettere la malattia. Secondo il dottor Vanden Bossche – l’esperto mondiale di vaccini responsabile del vaccino contro l’ebola –, la strategia di vaccinazione seguita per il Covid-19 è sbagliata. Ora, però, un parere difforme non viene accettato. Se c’è, la persona che non è d’accordo viene umiliata o sminuita.

A settembre 2021, l’Associazione di Studi e Informazione sulla Salute (Assis) traduceva integralmente un ampio studio di coorte in preprint che, con l’obiettivo di valutare la durata e l’efficacia dell’immunità, ha confrontato 3 gruppi di cittadini israeliani:
soggetti non infettati, che hanno ricevuto 2 dosi di vaccino Pfizer prima del 28 febbraio 2021 (>673.000)
soggetti precedentemente infettati nello stesso periodo, non vaccinati (quasi 63.000)
soggetti precedentemente infettati che hanno ricevuto una singola dose vaccinale entro il 25 maggio (quasi 42.000).
Nei mesi da giugno a metà agosto 2021, in cui è stata dominante la variante Delta, gli Autori hanno potuto osservare che l’immunità da malattia naturale, rispetto alle 2 dosi di vaccino, è risultata: 13 volte più efficace contro l’infezione, 27 volte verso la malattia sintomatica, 8 volte verso il ricovero in ospedale. Già dallo studio era evidente l’inutilità di vaccinare i guariti e pareva logico non vaccinare gli adolescenti e i bambini, i quali era meglio che affrontassero la malattia naturale che decorre in modo lieve o asintomatico in queste età e offre una protezione più robusta e duratura contro le varianti del virus.

A maggio 2022, un gruppo di medici ha eseguito una revisione di letteratura sul tema “immunità naturale da Covid-19”, offrendo a tutti i sanitari, ricercatori e professori la possibilità di sottoscrivere la lettera di presentazione di questi dati alle autorità. Lo scopo era sensibilizzare sul tema dell’immunità naturale, per riconoscerne la validità e poter effettuare così un rapporto benefici-rischi razionale e suffragato dalla letteratura. L’obiettivo della ricerca sulla durata e sulla tipologia dell’immunità da pregressa infezione da SARS-CoV-2 è stato il verificare la presenza di una memoria immunologica capace di proteggere gli individui dalla reinfezione da SARS CoV-2 per un periodo superiore ai 6 mesi. La ricerca ha valutato la presenza di IgG specifiche per SARS-CoV-2 (anticorpi neutralizzanti), anticorpi IgA, cellule memoria CD4+, CD8+ e cellule B della memoria. Il SARS-CoV-2 presenta 4 proteine strutturali: spike (S) protein, membrane (M) protein, envelope (E) protein, e la nucleocapsid (N) protein. La letteratura enfatizza soprattutto il ruolo delle proteine S ed N come le più immunogene. Soprattutto la proteina S sembra essere la più protettiva. Essa stimola nello specifico la formazione dell’anticorpo neutralizzante (nAbs) che ha un ruolo centrale nelle patogenicità e trasmissibilità del virus.

Dalla letteratura si evince la presenza di una risposta immunitaria nella maggior parte dei soggetti in seguito ad esposizione a SARS-CoV-2, sia tra i soggetti vaccinati che non vaccinati. Si evidenzia la presenza di una risposta sia di tipo umorale che cellulare che, pur non essendo di eguale entità, è protettiva indipendentemente dalla sintomatologia manifestatasi nel corso della pregressa infezione, dal sesso e dall’età. Pertanto, la memoria immunitaria specifica per il SARS-CoV-2 in risposta all’infezione nei guariti persiste nella maggior parte dei pazienti fino a un anno e mezzo o due anni dopo l’infezione. Questo dato è promettente per la prevenzione sia da reinfezione sia da quadri clinici severi.
Più recentemente, il 15 luglio 2022, l’oncologa ed ematologa Patrizia Gentilini, membro della CMSi, sul Fatto Quotidiano ha scritto: “Sappiamo ormai che l’immunità acquisita attraverso l’infezione naturale è più duratura ed efficace di quella da vaccino ed è ormai assodato che la protezione dal contagio non solo svanisce nel giro di poche settimane/mesi dall’inoculo, ma diventa addirittura negativa, ovvero i vaccinati si contagiano – e quindi diffondono il virus – al pari, se non di più dei non vaccinati”.

Delle domande sorgono quindi spontanee a riguardo: a cosa è servito inoculare 2-3-4 dosi di vaccino a decine di milioni di persone che avevano contratto il virus e quindi erano immuni? Che senso ha continuare a parlare di mascherine, vaccini, possibili nuove misure di distanziamento?

di Lorenzo Poli

Collaboratore redazionale del mensile Lavoro e Salute

15 settembre 2022

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