Non c’è più tempo: basta lavoro precario nell’Università

Immagine da pagina fb di ReStrike

Lettera aperta del Coordinamento nazionale Re-Strike (Reserch Strike). Venerdì 4 novembre ore 14, presso Università “Sapienza” di Roma, assemblea nazionale.

1. Nascita del Coordinamento

Il 29 giugno 2022 è stato convertito in legge il cosiddetto decreto “PNRR bis” (L. 79/2022) che, con l’articolo 14, modifica diversi aspetti del funzionamento del sistema universitario e della ricerca. In particolare, il decreto “riforma” il reclutamento, ovvero le diverse figure professionali precarie che operano all’interno degli atenei. L’obiettivo dichiarato dal legislatore sarebbe quello di ridurre (se non addirittura eliminare) la precarietà, abbassare l’età media di entrata in ruolo garantendo un percorso pre-ruolo certo e limitato nel tempo e migliorare le condizioni contrattuali delle precariə dell’Università.

Contrariamente a queste buone intenzioni, la realtà che si comincia a profilare a poche settimane dall’introduzione della riforma è di tutt’altro segno, poiché annuncia conseguenze pesantissime sia sulle vite di noi precariə dell’Università, sia sulla qualità della ricerca pubblica.

In estrema sintesi, questo decreto per una minoranza di casi fortunati mantiene inalterata la lunghezza del periodo di precarietà all’interno dell’Università, mentre nella maggior parte dei casi produrrà espulsione dal sistema universitario o un declassamento a cascata delle forme contrattuali (per una più dettagliata descrizione del dispositivo di riforma, si veda il paragrafo successivo).

Il motivo di fondo di questo disastro molto prevedibile è l’introduzione di forme contrattuali più onerose tramite una riforma a costo zero, che si pone perciò esplicitamente in linea con lo scenario italiano di cronica mancanza di investimenti nell’istruzione superiore (“nell’ambito delle risorse assunzionali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, art. 14, L. 79/2022). Chiaramente queste espulsioni, oltre a far saltare molti progetti di vita e percorsi professionali, cancelleranno con un colpo di spugna percorsi di ricerca su cui lo Stato ha investito a lungo molte risorse.

Di fronte a questo attacco alle nostre condizioni di vita e al ruolo sociale dell’Università, in moltə delle attuali 15.300 assegnistə, presə alla sprovvista data la totale assenza di dibattito sia dentro che fuori dagli atenei, abbiamo cominciato a coordinarci in autonomia rispetto alle rappresentanze già istituite, le quali hanno in buona parte avallato e dato copertura politica alla riforma, assecondando la deprecabile tecnica legislativa con cui è stata introdotta. La necessità di discutere fra di noi è nata sentendo l’esigenza di capire anzitutto gli effetti delle nuove regole sulle nostre esistenze, avendo percepito che la continuità dei nostri già precari progetti ne risultava gravemente compromessa.

Da questa esigenza di confronto è nata prima una chat Telegram e poi una prima assemblea pubblica svoltasi a Roma il 20 luglio, che ha costituito un coordinamento nazionale con lo scopo di contrastare gli aspetti più negativi di questa riforma, elaborare delle rivendicazioni immediate e avviare un percorso per la definizione collettiva di una riforma di più ampio respiro sul tema del reclutamento universitario. Questa iniziativa di mobilitazione si pone anche l’obiettivo di generare nell’università e nel paese quel dibattito pubblico e quel coinvolgimento dei soggetti interessati che avrebbe dovuto precedere e non seguire la riforma, denunciando nel contempo il ricorso sempre più generalizzato alla tecnica della decretazione d’urgenza che compromette irrimediabilmente la partecipazione democratica alle decisioni sulle nostre vite. 

2. Valutazione della riforma del pre-ruolo

Le grandi novità della “riforma” consistono nella sostituzione degli assegni di ricerca con i cosiddetti “contratti di ricerca”, e nell’accorpamento delle figure a tempo determinato RTD-A e RDT-B in un’unica figura RTT (Ricercatore Tenure Track). Il neo contratto di ricerca è un contratto di lavoro subordinato, con tutte le corrispondenti tutele (ferie, malattie, tredicesima e la più ricca Naspi come sussidio di disoccupazione al posto della Dis-coll). Inoltre, anche l’importo dello stipendio dovrebbe essere leggermente più elevato rispetto all’importo minimo degli attuali assegni di ricerca (1.600 euro al mese invece di poco più di 1.400 euro, soggetto alla contrattazione collettiva) e la durata minima pari a due anni (invece di un anno). Il contratto di ricerca rappresenta quindi un importante passo in avanti in termini di diritti (come rivendicato da chi ha lavorato attivamente all’approvazione della riforma fornendone addirittura la copertura politica). 

C’è un PERÒ grande come una casa. 

Questi nuovi contratti, essendo più dignitosi, ovviamente costano di più. E la riforma non solo è a costo zero, ma esplicitamente vieta agli atenei una spesa superiore alla media degli ultimi tre anni per questi neo-contratti di ricerca. Il risultato è che delle attuali 15.300 assegnistə, una porzione importante (almeno un terzo) rischia l’espulsione, e un’altra quota consistente sarà declassata verso le borse per attività di ricerca prive di ogni tutela, o verso contratti di collaborazione occasionale.

Per attivare un assegno di ricerca annuale l’Università doveva prevedere una spesa di circa 25.000 euro lordi, mentre per un neo-contratto di ricerca biennale (rinnovabile ed estendibile fino a 5 anni), ne serviranno più di 80.000 lordi. Fatti due conti, si rischia un’espulsione forzata di migliaia di persone che negli anni, con contratti precari, hanno tenuto in piedi gli atenei. Si rischia inoltre la disintegrazione del patrimonio costituito dai saperi e dalle innovazioni derivanti dai percorsi di ricerca sostenuti dai sacrifici di tantə di noi, nonché da ingenti investimenti pubblici. In alternativa, come si è accennato, sarà ancora possibile ricorrere alle borse per attività di ricerca grazie all’autonomia universitaria – nonostante il decreto ne cancelli la tipologia rivolta ai postdoc: esse infatti non sono sistematicamente regolamentate a livello nazionale, anche riguardo a importo e durata. È perciò facile capire come si tradurrà a livello locale questa “autonomia” degli atenei: dumping sociale, competizione e auto-sfruttamento.

Nonostante, quindi, i proclami del Senatore Francesco Verducci (vero kingmaker della “riforma”, in quanto primo firmatario del maxi-emendamento che inserisce nel decreto PNRR una parte dei contenuti del Ddl sul reclutamento universitario già in discussione, e ora fermo in Senato) e di coloro che l’hanno sostenuto, questa riforma avrà un impatto devastante.

In sintesi, i vecchi RTD-B (di 3 anni) saranno sostituiti dai nuovi RTT (6 anni, con in più una prova locale di didattica per il passaggio a Professore Associato, in cui il consiglio di Dipartimento avrà le mani libere), gli RTD-A corrisponderanno ai neo contratti di ricerca che copriranno tutti i finanziamenti, non strutturali, del PNRR (come affermato nella stessa L. 79/2022 e confermato dalla circolare della ex Ministra). Gli attuali assegni, invece verranno trasformati in contratti di ricerca (per una minoranza di fortunatə), e in moltissime borse e contratti di collaborazione occasionale. Ed è opportuno sottolineare che, contrariamente a quanto accade per gli assegni di ricerca, al termine delle borse non è previsto nessuno sussidio di disoccupazione.

Quindi la precarietà non sarà affatto eliminata, ma di fatto saranno eliminate tutte le tutele che erano state conquistate per attenuarne gli impatti sulle nostre vite. 

Tutto il contrario di quanto affermano le forze politiche che hanno promosso e attuato questa sciagurata riforma. Si elimina soltanto l’anello centrale della lunga catena del pre-ruolo, di fatto polarizzando la situazione tra chi è molto garantito perché si trova in contesti avvantaggiati (università del Nord, dipartimenti dei settori produttivi, famiglie benestanti), e chi non è per nulla tutelato.

Dulcis in fundo, il periodo transitorio durante il quale si potranno ancora bandire i “vecchi” assegni è pari a sei mesi. Inutile dire che è del tutto insufficiente per garantire continuità a percorsi individuali e dipartimentali programmati sul costo base degli assegni, e che migliaia di ricercatori e ricercatrici verranno espulsə, impedendo persino la continuazione di tanti progetti di ricerca già finanziati.

Oltre al nodo fondamentale dei finanziamenti alla ricerca, risulta cruciale la tutela dei ricercatori e della ricerca pubblica. L’abolizione di contratti intermedi in assenza di finanziamenti ha il rischio di creare un pericoloso vuoto, rendendo la base su cui poggia l’intera istituzione per la produzione e divulgazione di conoscenze e competenze maggiormente soggetta a perturbazioni economiche. Lo scenario che si configura su medio e lungo termine vedrà dunque lo slittamento della ricerca pubblica verso settori maggiormente appetibili al mercato, con la conseguenza di incrementare le diseguaglianze geografiche Nord-Sud e di settore disciplinare. 

In parallelo, la possibilità di iniezioni di investimenti in progetti di breve termine e straordinari (quali quelli previsti dal PNRR) porterà ad un aumento di dottorandə (fenomeno già in corso con l’attivazione di numerose borse di dottorato in collaborazione con aziende) e borsistə che poi non potranno vedere proseguire la propria strada all’interno delle università, trovando, nel caso fortunato, come unico sbocco il settore privato. 

3. Finalità del coordinamento 20 luglio

Il Coordinamento nazionale Re-Strike (Reserch Strike) ambisce al superamento della precarietà strutturale nell’università pubblica e, per questo, ha come primo obiettivo mettere in relazione ricercatori e ricercatrici precarə​​​​​​​ (dottorandə​​​​​​​, assegnistə​​​​​​​, ricercatori e ricercatrici a tempo determinato) interessati a confrontarsi, approfondire e portare la propria voce rispetto alla recente riforma del pre-ruolo universitario.

Un coordinamento per promuovere dibattito e cambiamento nell’università italiana

Il principale obiettivo del Coordinamento Re-Strike è quello di promuovere un dibattito nazionale sulle prospettive della ricerca scientifica e dell’università in Italia alla luce delle significative modifiche apportate dalla legge e al loro impatto sui percorsi professionali di ricercatori e ricercatrici precarə​​​​​​​. In particolare il Coordinamento Re-Strike intende promuovere forme di mobilitazione collettiva che evidenzino gli effetti distorti di una riforma non accompagnata da coperture finanziarie adeguate a sostenere i costi dall’incremento del valore e della durata dei contratti di ricerca. 

Per questo il Coordinamento Re-Strike vuole aprire spazi di interlocuzione e confronto con i soggetti e le forze politiche interessati a promuovere modifiche e aggiustamenti al decreto e introdurre finanziamenti adeguati e tutele per tuttə​​​​​​​ coloro che, al momento, sono a rischio di espulsione dal sistema universitario, già fortemente sottodimensionato rispetto alle medie europee e poco tutelato. 

Un coordinamento per monitorare l’impatto della riforma sul precariato universitario

Il Coordinamento Re-Strike intende anche ricostruire un’immagine critica e puntuale della situazione del precariato negli atenei italiani e monitorare in questo senso gli effetti della riforma nel corso della sua applicazione sistematizzando dati già disponibili e producendo nuove e inedite mappature.

Un coordinamento per costruire uno spazio inclusivo per i precari e le precarie dell’Università

Il Coordinamento Re-Strike ambisce a offrire uno spazio inclusivo e solidale di confronto e mutuo supporto tra i precari della ricerca, nonché di relazione costruttiva e collaborativa anche con altre componenti dell’accademia e della società.

Il Coordinamento Re-Strike si propone di valorizzare il contributo fondamentale dei precari della ricerca nel funzionamento ordinario dell’università italiana, favorendo una presa di coscienza collettiva e ampia rispetto alle necessità di un sostegno strutturale e significativo al settore che passi attraverso una stabilizzazione delle migliaia di contratti precari.

4. Le nostre richieste

Appare evidente che in assenza di finanziamenti adeguati alla ricerca l’impianto complessivo della “riforma” risulta precarizzante. Non bastano gli investimenti straordinari e temporanei, come fondi PON o PNRR, che anzi rischiano di produrre una “bolla” aumentando il numero di ricercatori e ricercatrici senza che questi abbiano poi un’effettiva prospettiva, se non nel settore privato. 

Occorre adeguare la spesa pubblica strutturale in Università e Ricerca aumentando il Fondo di finanziamento ordinario di oltre 1,5 miliardi di euro

Questo servirà a migliorare il sistema universitario italiano, riallineando il rapporto studenti/docenti alla media europea, oltre che a dare ai 15 mila precariə​​​​​​​ della ricerca una concreta prospettiva, migliorandone davvero le condizioni di lavoro come affermato negli obiettivi della “riforma”. 

In particolare le nostre rivendicazioni più urgenti sono le seguenti:

  • reclutamento straordinario di 5.000 strutturati l’anno per 4 anni per riequilibrare il sistema, dopo l’emorragia di 20.000 strutturati dal 2008 a oggi;
  • reclutamento ordinario programmato di 5.000 strutturati all’anno per bilanciare i pensionamenti e far crescere l’organico per raggiungere il rapporto ricercatori/popolazione europeo;
  • riduzione a tre anni della durata del nuovo RTD tenure track, in quanto gli anni di precarietà sono già oltre l’accettabile;
  • rapporto fisso fra numero di contratti di ricerca e numero di ricercatori tenure track, per evitare che si costituisca una bolla di precarietà;
  • aumento della durata del periodo transitorio previsto dalla L. 79/2022 a due anni per evitare l’espulsione di migliaia di ricercatori e ricercatrici, ed eliminazione del tetto di spesa riguardate i nuovi contratti di ricerca;
  • abolizione delle borse di studio per attività di ricerca, forma contrattuale che non garantisce nessun diritto, neanche il sussidio di disoccupazione;
  • misura correttiva della riforma in base alla quale gli atenei, allo scadere della norma transitoria, devono bandire nell’arco di tre anni successivi un numero di contratti di ricerca che non deve essere inferiore al numero degli assegni banditi dallo stesso ateneo nei tre anni precedenti
  • abolizione della forma della docenza a contratto, forma ultima di sfruttamento dei/delle precari/e della ricerca.

5. Le prossime mobilitazioni 

È convocata per venerdì 4 novembre ore 14, presso l’Università “Sapienza” di Roma, una nuova assemblea nazionale che dovrà deliberare sulle iniziative di mobilitazione da intraprendere. In particolare, si discuterà della possibilità di indire uno sciopero per il mese di novembre che sia il più possibile partecipato dalle attuali 15.000 assegnistə. Inoltre si decideranno le forme organizzative e la governance degli strumenti collaborativi e di comunicazione interna che stiamo predisponendo tramite l’installazione di software open source su server dedicati, in modo da garantirci al tempo stesso sicurezza e massima condivisione.

Si valuteranno anche tutte le azioni necessarie per coinvolgere nella mobilitazione anche i dottorandi e dottori di ricerca che, come è stato segnalato nell’assemblea di fondazione, proprio mentre il ricorso massiccio ai fondi PNRR ne accresce sensibilmente il numero, rischiano di vedersi restringere il collo di bottiglia già stretto. Infine si valuterà la possibilità di promuovere uno studio e una elaborazione collettiva finalizzati a costruire una proposta di riforma organica dell’Università da sottoporre al nuovo Governo. 

Coordinamento nazionale Re-Strike

15/10/2022 https://www.dinamopress.it

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