In piazza contro il Memorandum Italia-Libia

Sarà un weekend di mobilitazioni in tante città d’Italia e d’Europa contro il rinnovo del Memorandum of Understanding tra le autorità italiane e libiche. Rinnovo che avverrà automaticamente il 2 di novembre, ammenoché una delle parti (il governo italiano o quello libico) non si opponga prima della scadenza, annullando così l’accordo. Prospettiva che appare alquanto improbabile visto l’attuale scenario politico, che certamente porterà alla proroga del MoU per altri tre anni, da febbraio 2023 a febbraio 2026.

La chiamata all’azione – lanciata dal network europeo Abolish Frontex assieme all’assemblea Diritto di Migrare | Diritto di RestareMediterranea S.H. e Solidarity with Refugees in Libya – è stata raccolta in diverse città europee, dove ci saranno marce e sit-in fuori dai consolati e dalle ambasciate italiane di Parigi, Londra, Berlino, Barcellona, Madrid, Bruxelles, Berna e Zurigo. In Italia, invece, ci saranno azioni sia nei grandi centri, da Napoli a Torino passando per Roma e Milano, che in provincia, come a Brescia, Carpi e Schio.

La richieste avanzate dai promotori sono la fine di tutti i finanziamenti e della cooperazione con la cosiddetta Guardia costiera libica, la fine della criminalizzazione del soccorso civile in mare e delle persone in movimento, la chiusura dei centri di detenzione libici, l’attivazione di una missione europea di salvataggio in mare, l’evacuazione di tutte le persone in movimento presenti in Libia verso i paesi sicuri dell’Ue. Rivendicazioni molto simili a quelle del movimento Refugees in Lybia, nato un anno fa da persone migranti bloccate nel paese nordafricano, per opporsi a condizioni di vita inumane e chiedere l’immediato trasferimento in Europa. Lo scorso gennaio, dopo oltre cento giorni di sit-in permanente sotto la sede dell’UNHCR di Tripoli, centinaia di manifestanti vennero sgomberati con la forza dalle milizie libiche e rinchiusi nelle carceri di Ain Zara, nel silenzio complice delle istituzioni internazionali per i rifugiati.

Oggi, oltre trecento di loro si trovano ancora in quelle orribili prigioni, mentre le condizioni di sicurezza del paese peggiorano ulteriormente, con l’inasprimento del conflitto tra i governi di Tripoli e Tobruk che fa presagire una nuova guerra civile. Solo pochi giorni fa, 17 persone migranti sono state bruciate vive in una barca presso la città di Sabrata, presumibilmente da trafficanti: è ormai nota la vicinanza (se non l’identità) tra i gruppi di trafficanti e le milizie libiche della sedicente guardia costiera sostenute dal governo italiano. 

La cosiddetta Guardia Costiera libica al lavoro. Ph: Sea Watch

Come sottolinea Abolish Frontex, è importante inserire il Memorandum Italia-Libia nel contesto della vasta politica europea di respingimento ed esternalizzazione delle frontiere. Infatti, come denuncia Sea Watch, è proprio Frontex a fornire le coordinate alla guardia costiera libica per effettuare i respingimenti in mare, che sono stati 16.500 solo nel 2022 e almeno 80 mila dal 2017. A tal proposito, il 5 ottobre è partita l’ennesima investigazione del difensore civico europeo contro l’agenzia europea di guardia delle frontiere, che indagherà anche sulla EEAS (European External Action Service), provando a far luce sui training formativi e sulla sorveglianza aerea effettuate da Frontex a supporto della GACS, l’Amministrazione Generale per la Sicurezza Costiera libica. Inoltre, è bene ricordare che l’azione italiana ed europea non si limita a finanziare le capacità e le infrastrutture di pull-back dal Mediterraneo alla Libia e di detenzione, ma si spinge ancora più a sud, supportando direttamente anche la ‘difesa’ del confine meridionale del paese. Questo significa altre deportazioni e altra morte, stavolta nel deserto: il Sahara, sotto la cui sabbia non si contano i corpi, è oggi un cimitero più grande del Mediterraneo, e per l’Ue Agadez è divenuta nevralgica almeno quanto Tripoli.  

Grazie al lavoro investigativo di molte ONG indipendenti come Amnesty International, alle testimonianze di chi arriva in Italia, ai movimenti come Refugees in Libya, alle inchieste giornalistiche, dopo cinque anni dalla legge Minniti-Orlando possiamo dire che della Libia sappiamo tanto, se non tutto. Sappiamo cosa succede nei centri di detenzione, sappiamo delle torture, dei respingimenti violenti, della tratta, dei lavori forzati, delle violenze sessuali, delle uccisioni di massa. Sappiamo che questo è costato ai contribuenti italiani quasi un miliardo di euro, solo per quanto riguarda le missioni militari. E proprio perché sappiamo tutto, non possiamo farci ingannare da posizionamenti politici ambigui e voti farisei.

Ph: Francesca Mannocchi

Lo scorso luglio, le Commissioni esteri e difesa del Senato e della Camera hanno votato a favore del rifinanziamento di tutte le missioni militari all’estero, tra cui quelle in Libia, impedendo il passaggio in Aula con l’accordo di tutte le forze politiche maggiori, così da evitare eventuali voci critiche. Come scritto dall’ex senatore Gregorio de Falco, al Senato l’operazione si è svolta nel giro di un quarto d’ora, pura formalità, mentre alla Camera ci sono stati tre voti contrari, provenienti da Leu e dal PD. Tuttavia, quella del Partito Democratico è stata più una farsa che una svolta, come invece voleva apparire: non solo per l’ovvia non credibilità del partito politico che del Memorandum è stato l’inventore, ma anche perché il voto contrario si è limitato alla scheda 47, ovvero solo all’addestramento della guardia costiera libica – che, scrive De Falco, dal 2020 è completamente gestito da una Turchia sempre più presente negli affari libici. Infatti, sul supporto tecnico e militare (vedi scheda 16, 33, 46) il PD non ha avuto nulla da obiettare.  

Non che servisse argomentare sulle responsabilità politiche del centrosinistra in materia di asilo e migrazione. Oltretutto, non poteva certo essere il PD a toccare gli affari mediterranei di Leonardo o di un colosso delle costruzioni navali come il Cantiere Navale Vittoria. Eppure, è bene prepararsi alla nuova offensiva governativa anche ricordando le scelte di chi c’era prima. Per non appiattire poi il dibattito sul sensazionalismo mediatico, per costruire un conflitto radicale e un’opposizione reale. 

15/10/2022 https://www.meltingpot.org

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