BCE: guerra all’inflazione o ai lavoratori?
La Banca Centrale Europea il 27 ottobre ha emesso un comunicato che sembra un bollettino di guerra; viene confermato l’indirizzo restrittivo delle politiche monetarie da essa inaugurato, innalzando i tassi di 75 punti (cioè + 0,75%). Ma di cosa si tratta? E qual è il contesto?
I tassi di interesse di cui tanto si parla sono il costo (espresso in percentuale: tasso del 2%, 1,1% rispetto alla somma stessa) che la banca centrale fa pagare alle banche commerciali per le riserve, cioè per quella forma assai speciale di denaro che serve per i trasferimenti; tale “moneta speciale” gli istituti possono anche comprarsela dalle altre banche, in quello che viene detto “mercato interbancario”.
La BCE fissando dei tassi di fatto determina grosso modo tale costo. I tassi stabiliti dalla banca centrale in realtà costruiscono un “corridoio” di soglie verso il basso e verso l’alto, diciamo fra il 2% e il 4%; le banche normali si scambieranno le riserve gravitando intorno al 3%.
Questo influenza ed incide sulla propensione al credito presso aziende e famiglie. Tassi molto alti la scoraggiano, quindi rallentano l’economia. Una vecchia teoria pretendeva che le banche centrali avessero la capacità di determinare la quantità generale di denaro del sistema; diminuendo la quantità sarebbe cambiato il valore del denaro (restando, presumibilmente, la quantità di beni fisici più o meno invariata). Ed invece i banchieri centrali non hanno avuto successo a combattere l’inflazione. Tale visione oggi non è più condivisa dalle stesse banche centrali. Eppure oggi Lagarde dice che deve alzare i tassi per combattere l’inflazione che tutti riconoscono che viene determinata dal rialzo dei prezzi dell’energia. In realtà un modo c’è: ammazzare l’economia “scoraggiando” il credito bancario diminuirà la domanda e quindi pure i prezzi dovrebbero subire una pressione al ribasso. Una ovvia implicazione di tutto ciò sarebbe l’aumento della disoccupazione e la conseguenza discesa dei salari.
Un’altra implicazione è che il tasso del mercato interbancario è l’indice di riferimento dei mutui a tasso variabile: in caso di innalzamento di esso la rata del mutuo diventa più onerosa. Dovremmo ricordare quando contro ogni asserzione che osasse mettere in questione la sacralità dell’euro veniva sbandierata ogni genere di sciagura, fra cui la maggiore difficoltà di pagare i mutui, in quanto un indebitamento stabilito in euro sarebbe stato tremendo da affrontare con una nuova moneta svalutata dopo l’Italexit. A quanto pare l’affezione e la tenera cura dei mutuatari ha abbandonato il cuore degli europeisti d’establishment (e non). Adesso che le rate divengono realmente più pesanti, proprio dalla stessa istituzione custode dell’euro non sorge un fiato sulle ricadute delle sua decisioni. Inutile sottolineare la atroce ipocrisia di tali posizioni.
E non è finita. Il comunicato precisa che tale rialzo (il terzo consecutivo) definisce le dinamiche future in vista di un ritorno dell’inflazione al 2%, il livello stabilito a livello istituzionale dalla Ue (che per la verità è diventato meno stringente: fino al 2021 veniva concepito dalla BCE come un soglia, poi è stato assunto come livello medio, potendo superarlo a tratti, purché poi si torni sotto; ma a fronte di un’inflazione dell’8% tale distinzione diventa ininfluente); se ciò è senza dubbio una forma di comunicazione per orientare i comportamenti attuali sbandierando un orizzonte futuro, ci sono pochi dubbi che il periodo oramai ultradecennale di politiche monetarie espansive si sia interrotto per un periodo non breve.
A ottobre è uscito, oltre al famoso e consueto World Economic Outlook (WEO) del Fondo Monetario Internazionale, il meno famoso rapporto sulla stabilità finanziaria. I toni sono abbastanza preoccupati; vi si sostiene la necessità di una lotta senza quartiere contro l’inflazione attraverso quelle stesse politiche che la medesima BCE sta intraprendendo: dichiarare in modo netto la propria determinazione per contrastarla in modo da generare delle aspettative. Ma si aggiunge, con prudenza, che occorre mantenere un delicato equilibrio onde evitare effetti destabilizzanti delle politiche restrittive. Dato che l’assetto della stabilità finanziaria risulta ulteriormente deteriorato rispetto alla situazione fotografata dal rapporto dello scorso aprile 2022.
Ciò che potrebbe al tempo stesso far diminuire l’inflazione e favorire le classi popolari e lavoratrici dovrebbe essere agire sulla meccanica stessa dei prezzi. Il gas che ad agosto era quasi a 350,00 €/KWH attualmente è sotto i 100,00. Le dinamiche di fornitura del bene reale non possono generare una oscillazione così rapida ed ampia, è chiaro che nel mercato di riferimento – la borsa olandese TTF – ci sono dinamiche meramente speculative che amplificano il gioco della domanda e dell’offerta. Le misure in discussione – che la Ue non riesce ad approvare – si pongono inevitabilmente a valle dei processi, mentre occorrerebbe agire a monte sui meccanismi di mercato di formazione del prezzo. A pochi giorni dall’anniversario della morte di Enrico Mattei (27 ottobre 1962) andrebbe ricordata l’importanza di forti aziende di Stato nel settore energetico come l’ENI e l’ENEL. Aziende pubbliche, la seconda delle quali è il più compiuto risultato di processi di nazionalizzazione. Che infatti la Corte di Giustizia delle Comunità Europee (istituzione precorritrice della odierna Corte di Giustizia Europea) aveva giudicato illegittimo; in forza della preminenza del diritto europeo sul diritto interno ed in base ad una interpretazione abbastanza estrema dell’art. 37 del Trattato CEE, secondo la quale
l’ articolo 37, n . 2, del trattato CEE ha lo scopo di vietare qualsiasi nuova misura che sia in contrasto coi principi di cui all’ articolo 37, n . 1, cioè qualsiasi misura avente quale oggetto, o conseguenza, una nuova discriminazione fra cittadini degli stati membri per quanto riguarda le possibilità di approvvigionamento e di smercio e ciò mediante monopoli o organismi i quali abbiano ad oggetto dei negozi su un prodotto commerciale che si presti alla concorrenza ed agli scambi fra stati membri ed inoltre abbia un peso reale negli scambi stessi .
Alla fine, ironicamente, proprio il mercatismo prescritto dai trattati europei (rafforzatosi inflessibilmente dagli anni Sessanta) si dimostra ostile ad un deciso riassetto del settore in senso antimercatista e vòlto a massicce nazionalizzazioni pubbliche che potrebbero mettere la mordacchia alla speculazione e al profitto privato; forze sottostanti alla amplificazione delle ondate inflazionistiche che già oggi stanno impoverendo le classi lavoratrici e subordinate.
Nonostante la sentenza sopra citata, al tempo l’Italia se ne infischiò altamente. La Corte Costituzionale italiana dichiarò che la legge di ratifica del Trattato CEE in quanto legge ordinaria, non poteva prevalere su una legge di pari livello – quella che stabiliva la nazionalizzazione da cui nasceva l’ENEL – approvata dopo, per il principio Lex posterior derogat priori. E ci tenemmo l’energia in mani pubbliche. Altri tempi: quelli di Enrico Mattei.
Matteo Bortolon
29/10/2022 https://www.lafionda.org
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