L’attacco all’aborto e le risposte dal basso
Il rapporto tra diritto, natalità, interruzione volontaria di gravidanza (Ivg), salute sessuale e riproduttiva sta emergendo come terreno privilegiato del conflitto politico attuale – si pensi alle posizioni di Giorgia Meloni sull’obiezione di coscienza o alla proposta di legge di Forza Italia per conferire capacità giuridica al feto sin dal concepimento.
Chi è la ministra Roccella
La nomina di Elena Roccella come ministra per la Famiglia e la Natalità con delega alle Pari opportunità è, fin dal nome del ministero, un annuncio programmatico. Roccella è figlia di un importante dirigente del Partito radicale, ha fatto parte del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano e del gruppo misto, per poi aderire a Fratelli d’Italia per le elezioni del 2022. Sostiene posizioni fortemente cattoliche e conservatrici ed è stata portavoce del «Family day» nel 2007. Nel 2011, come ministra del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali del quarto governo Berlusconi, ha emanato delle nuove linee guida per la legge 40/04, che norma la procreazione medicalmente assistita (Pma), tornando a imporre il divieto di diagnosi preimpianto sull’embrione. Nel 2013 ha fondato il comitato «Di mamma ce n’è una sola», il primo in Italia contro la Gpa (gestazione per conto di altre persone). È contraria all’eutanasia, alla procreazione medicalmente assistita, alle unioni civili e all’aborto che, molto recentemente in diretta televisiva, ha definito «il lato oscuro della maternità».
Roccella, negli anni Settanta, faceva parte del Movimento per la liberazione della donna e portava avanti lotte in favore dell’aborto, contro la violenza di genere e per la modifica del diritto di famiglia. Nel 1975 ha curato il libro Aborto: facciamolo da noi. Nel 2006, invece, ha pubblicato un altro libro, intitolato La favola dell’aborto facile. Miti e realtà della pillola Ru486. Al di là dei cambiamenti interni a un percorso di vita legati a variabili molteplici e anche personali, è importante notare che questo posizionamento non è solo individuale, ma si colloca all’interno di un movimento antiabortista, contestatario, antigender, ideologicamente ben connotato.
L’evoluzione dell’antiabortismo italiano
Storicamente l’antiabortismo in Italia è stato rappresentato almeno per trent’anni dal Movimento per la vita, nato a ridosso dell’approvazione della legge 194 e in opposizione a essa: fede cattolica e militanza politica si sono intrecciate allora indissolubilmente con facile riferimento politico nella Democrazia cristiana.
Tuttavia, le cose sono iniziate a mutare a partire dai tardi anni Novanta. Nel 1995 l’Onu avviò una serie di conferenze , tra cui la conferenza di Pechino in cui si parlava dei diritti delle donne. In questa occasione si iniziò a ragionare di genere, dando legittimazione istituzionale a un ragionamento teorico che distingueva sesso e genere. Questo fatto allarmò il Vaticano che lesse e interpretò tale trasformazione come una sorta di rivoluzione antropologica volta a distruggere la «naturalità» delle cose. Da qui fu elaborato un impianto teorico che iniziò a vedere nel «gender» – prima definito come teoria poi come ideologia – una sorta di complotto. La radicalizzazione interna al movimento antiabortista, parallela alla parziale dispersione e alla dissoluzione della Democrazia Cristiana, delineò la convinzione della necessità di assumere posizioni meno moderate e anche in contrasto con quelle di parziale apertura della Conferenza episcopale italiana. Parte dell’antiabortismo del nostro paese iniziò così a virare verso un nuovo fronte della contestazione: possiamo identificare ancora una parte legata al Movimento per la vita e un’altra parte contestataria che utilizza gli argomenti dell’«ideologia gender» e che trova sempre più spazio e accordo politico con l’estrema destra piuttosto che con il centrismo moderato. La nomina di Roccella dà oggi legittimazione istituzionale all’affermazione di questa parte di movimento più radicale dell’antiabortismo italiano.
Esiste, d’altra parte, tutta una rete di movimenti – a partire da Non Una Di Meno – associazioni, organizzazioni, che si muovono da anni per la tutela del principio di autodeterminazione e per i diritti sessuali e riproduttivi. Una di queste è Women on web, un’organizzazione internazionale fondata nel 2005 dalla dottoressa Roberta Gomperts, con l’obiettivo di garantire che le donne abbiano accesso alle informazioni e alle diverse pratiche e strategie innovative per un aborto libero, sicuro e, anche, autogestito. Questa rete è costituita da un gruppo di medici, ricercatrici, ricercatori, attiviste e attivisti, che forniscono servizi di telemedicina per accompagnare nel percorso abortivo. Lavorando in stretta collaborazione con le organizzazioni locali, Women on web cerca di rispondere capillarmente all’urgenza posta dai crescenti limiti all’accessibilità all’aborto e dalla scarsa formazione medica e informazione pubblica sulle diverse opzioni già esistenti o in recente sperimentazione.
I limiti della legge 194 da mettere in discussione
Per quanto riguarda l’Italia, la premessa è che qui è già adesso difficile avere accesso a un Ivg libero sicuro e gratuito e la legge 194 è lacunosa e inefficace. Questa legge è infatti già parziale e dovrebbe essere messa in discussione: non per renderla ulteriormente limitante ma per pretendere molto di più.
La legge è impostata in chiave emergenziale e, per quanto sul piano teorico dovrebbe garantire l’accesso all’aborto, sul piano pratico lo rende frequentemente assai complesso. Già in premessa il testo si pone come strumento per riconoscere il valore sociale della maternità e tutelare la vita umana dal suo inizio.
L’aborto è consentito e regolato entro tre mesi dal concepimento. Viene comunque paternalisticamente sottolineata la condizione di «circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito». Si invitano anche i consultori a contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza e, nel caso non vi sia urgenza per verificato immediato pericolo per il soggetto che vuole abortire, è previsto un invito a soprassedere entro sette giorni. È questa stessa legge a prevedere l’obiezione di coscienza, pur negando l’obiezione di struttura sanitaria. Tuttavia c’è una difficoltà fattuale, per chi voglia abortire, di non intercorrere in un’obiezione di struttura a causa dell’altissima quantità di obiettori in Italia e dell’assenza di un servizio istituzionale di monitoraggio – carenza rispetto al quale movimenti dal basso come Obiezione respinta cercano di sopperire.
Inoltre, è importante sottolineare il valore giuridico dell’obiezione stessa e il suo contraddittorio rapporto con la libertà di coscienza – come quella che può esprimersi attraverso l’espressione di un desiderio di volontaria interruzione di gravidanza. Mentre la libertà di coscienza è un diritto che dovrebbe essere garantito costituzionalmente e dalla carta europea diritti dell’uomo; l’obiezione rappresenta un valore costituzionale non immediatamente configurabile come posizione giuridica soggettiva. Dunque, l’obiezione di coscienza non si presenta come valore assoluto e, ogni volta che viene invocata, dovrebbe essere soppesata alle circostanze, in modo tale da implicare alternative e non risultare limitante rispetto alla realizzazione di un bene garantito come la libertà di coscienza.
Se questa configurazione di equilibri risulta già complessa nelle strutture ospedaliere e nei consultori sulla base dei dati, lo diventa ulteriormente per quanto riguarda le farmacie, centrali per l’accessibilità all’aborto farmacologico fattibile entro 60 giorni dal concepimento, anche in telemedicina. Con aborto farmacologico si intende una procedura di interruzione volontaria di gravidanza che avviene tramite l’impiego di due farmaci, il mifepristone e il misoprostolo, assunti a distanza di 48 ore. Con telemedicina, si fa riferimento a una prestazione medica che si avvale dell’uso di moderne tecnologie (video, chiamate, servizi online). Tuttavia, in Italia l’accesso all’aborto farmacologico liberalizzato è estremamente problematico e la telemedicina sostanzialmente non esiste. Quest’ultima è stata parzialmente introdotta attraverso alcune linee guida nel 2020 per la somministrazione della pillola nei consultori ma viene fortemente ostacolata; tant’è che le linee guida non vengono, di fatto, quasi mai applicate.
Recentemente Women on web sta avviando dei più approfonditi studi clinici su una nuova tecnica abortiva in sperimentazione clinica. Sembra infatti che la pillola abortiva, Mifepristone, potrebbe essere utilizzata anche come pillola del giorno dopo e come contraccettivo settimanale. Se le analisi confermeranno la possibilità di registrare e distribuire il Mifepristone come contraccettivo, potrà essere preso una volta alla settimana per evitare di rimanere incinta, mettendo in discussione la stessa differenza tra contraccezione e aborto. Questo consentirebbe grande flessibilità grazie ai diversi usi possibili del medicinale, come contraccettivo settimanale, come metodo su richiesta utilizzato prima o dopo il rapporto sessuale o come metodo di aborto medico precoce. Esistono diversi orizzonti di possibilità e di cura che, ancora una volta, muovono da un’urgenza reale e collettiva e dalla capacità organizzativa dal basso.
Olimpia Capitano è dottoranda in studi storici all’università di Teramo e autrice del libro Livorno 1921. Dentro e oltre la Classe operaia. Si occupa di studi intersezionali e storia sociale del lavoro, con particolare attenzione alla storicizzazione del concetto di classe e alla storia del lavoro domestico.
2/11/2022 https://jacobinitalia.it
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