Cosa sono gli ftalati, le sostanze tossiche che “ammorbidiscono” la plastica
Alcune sostanze nocive per l’uomo, largamente utilizzate in passato, e in seguito vietate, hanno in comune gli effetti scatenanti e prolungati nel tempo. Oppure hanno invaso così tanto la quotidianità, da non riuscire a liberarsene facilmente. Pensiamo all’amianto e a quanto sia stata faticosa la bonifica. O alle conseguenze delle diossine. Alcune sostanze sono parte del nostro quotidiano vivere, da sempre. Ad esempio non si parla mai abbastanza degli ftalati, dell’acido ftalico, bicarbossilico aromatico derivante dal benzene.
Cosa sono gli ftalati
Gli ftalati debuttano un secolo fa, negli anni Venti del Novecento. Il destino di questa famiglia di sostanze si lega indissolubilmente a quello della plastica, che di lì a breve invaderà la società moderna. Infatti, questo “miracoloso” composto rende flessibili e malleabili i prodotti di plastica come quelli in PVC, polivinilcloruro, che altrimenti sarebbero rigidi e poco pratici.
Negli anni Cinquanta, con l’avvento della società consumistica, il PVC entra nel mercato dei consumi. Così, gli ftalati saranno protagonisti di un mondo sempre più di plastica, fino a essere in parte banditi mezzo secolo dopo, nel 1999, ma solo in prodotti con concentrazioni di ftalati superiori dello 0,1%.
Dove si trovano
Gli ftalati sono una famiglia di composti chimici utilizzati nell’industria delle materie plastiche. Sono agenti plastificanti, impiegati per la flessibilità e la modellabilità dei prodotti in plastica.
Troviamo ftalati principalmente nel PVC. In prodotti PVC lo ftalato consente alle molecole del polimero di scorrere le une sulle altre rendendo il materiale morbido e modellabile anche a basse temperature.
L’industria chimica li impiega anche come solventi nei profumi e nei pesticidi. Quindi li ritroviamo nella cosmetica e in preparati di smalti per unghie, adesivi e vernici, nei saponi per le mani e negli shampoo.
Gli ftalati sono nei contenitori alimentari e nelle pavimentazioni.
Prima del bando, erano largamente utilizzati in alcuni prodotti per l’infanzia, principalmente in giocattoli.
Anche nel cibo fast food
Queste sostanze finiscono nel nostro organismo anche attraverso l’ingestione e l’assunzione di alcuni cibi, soprattutto quelli consumati all’esterno, nei fast food, quali panini e sandwich, probabilmente grazie ai contenitori utilizzati. Lo dimostra il fatto che gli adolescenti che mangiano fuori possiedono tracce di ftalati nel proprio organismo fino al 55% in più rispetto ai loro coetanei che mangiano a casa.
Le sostanze di ftalati si possono rinvenire anche nel latte intero, nell’olio da cucina, nella margarina, nella panna. Gli ftalati possono entrare nell’organismo umano anche attraverso il consumo di carne, soprattutto quelle grasse o di pollame. Questo è il segno evidente che l’uso estensivo di ftalati nei decenni passati ha contaminato il suolo, e dunque anche il mangime per gli animali che poi entrano nella nostra catena alimentare.
Mangiare fuori aumenta il rischio di introdurre ftalati
Gli ftalati sono perciò rinvenibili nei prodotti di largo consumo. Più a rischio sarebbero i soggetti che mangiano fuori casa. Uno studio del 2018 condotto dalla George Washington University e pubblicato sulla rivista Environment International, ha rinvenuto tracce di ftalati in persone che hanno mangiato fuori nei ristoranti. I soggetti che il giorno precedente ai rilievi effettuati dagli esperti avevano cenato fuori, presentavano una concentrazione di ftalati nel corpo del 35% più alta rispetto a chi, invece, aveva preferito la cena in casa.
Ftalati e rischi per la salute
Gli ftalati sono classificati come tossici principalmente per la riproduzione umana. Agli effetti di queste molecole sulla salute endocrina dei lavoratori è stato dedicato un factsheet curato dal Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale (Dimeila) dell’Inail (Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro).
Dai solventi ai sigillanti, dopo quasi un secolo di impiego industriale, gli ftalati sono ancora presenti nella quotidianità, dunque pericolosi. Ampiamente utilizzate a livello industriale già dal 1930, queste molecole si presentano tra loro con una struttura simile. Quelle con maggiore peso molecolare sono usate come agenti plasticanti e adesivi sigillanti nei prodotti di confezionamento alimentare e nei dispositivi medici. Come solventi, in cosmetici e prodotti per la casa e per la persona vengono invece impiegate quelle con un peso minore.
In caso di esposizione umana, sono emerse evidenze di alterazione della qualità del liquido seminale nell’uomo e di riduzione della fertilità nella donna. Come viene riportato nella scheda del Dimeila dell’Inail, alcuni ftalati, agendo come xeno-estrogeni, possono interagire con i recettori ormonali femminili o causare effetti anti-androgenici nell’uomo con abbassamento dei livelli di testosterone.
Inoltre, recenti indagini suggeriscono che alcuni di questi composti svolgono un ruolo nell’etiologia dell’endometriosi. Secondo studi recenti, inoltre, alte dosi di esteri dell’acido ftalico possono avere effetti avversi sul fegato e sui reni.
Rischi per il cervello dei bambini
Insieme al bisfenolo potrebbero compromettere anche lo sviluppo del cervello dei bambini. Questo allarme è stato lanciato nel 2021 dagli scienziati americani del progetto TENDR (Targeting Environmental Neuro-Development Risks). Lo studio rileva una possibile associazione tra l’esposizione prenatale agli ftalati e gli effetti dello sviluppo neurologico nella prole.
Diversi studi epidemiologici (qui i dettagli) hanno misurato l’esposizione prenatale agli ftalati e poi hanno seguito lo sviluppo dei bambini rilevando comportamenti alterati, sintomi o diagnosi clinica di disturbi dello sviluppo, tra cui il disturbo da deficit di attenzione, iperattività (ADHD) e autismo.
Un pericolo professionale
Spesso il destino degli infortuni o malattie sul lavoro si incrocia con il contatto tra lavoratore e sostanze chimiche come gli ftalati, molto diffusi a causa del largo uso in passato e poco conosciuti.
Una scheda dell’Inail analizza queste molecole, ampiamente utilizzate dagli anni Trenta del secolo scorso, e adoperate come plastificanti in manufatti diversi e materiali per costruzioni ma anche come solventi e componenti di cosmetici, con effetti pericolosi sulla salute endocrina.
L’esposizione professionale a ftalati si realizza, potenzialmente, in tutti i contesti industriali, in cui questi composti chimici vengono prodotti o utilizzati per la realizzazione dei manufatti che li contengono, come ad esempio nelle produzioni di guarnizioni o tubi in gomma, prodotti a base di PVC e lacche industriali.
Ma, la presenza di ftalati negli smalti per le unghie mette a rischio anche lavoratori in ambiti non industriali. Infatti, l’Inail ha segnalato numerosi studi di una esposizione specifica per le estetiste che dedicano gran parte del proprio orario lavorativo alla cura delle unghie.
La produzione economica
Gli effetti sulla salute umana trovano ampia diffusione tra popolazioni che vivono in zone con elevata presenza di prodotti commerciali contenenti ftalati. I dati del rapporto Inail dimostrano come la ripartizione geografica della diffusione degli ftalati segue l’incremento della produzione economica.
A partire dal 2011, numerose ricerche hanno evidenziato un’esposizione crescente agli ftalati tra le popolazioni europee e di Messico, Taiwan, Cina ed Egitto, mentre negli Stati Uniti è stata disposta un’indagine periodica quinquennale su campioni di 5mila soggetti. E proprio l’utilizzo così diffuso ne ha dimostrato, con maggiore chiarezza, le caratteristiche di pericolosità legate al sistema endocrino.
Quanto alle fonti espositive nella popolazione generale, esse sono individuate principalmente nell’assorbimento dermico di prodotti con ftalati, nella contaminazione alimentare e in trattamenti parenterali con dispositivi medici.
Le restrizioni
Gli ftalati sono ancora presenti e utilizzati. Le restrizioni decise negli ultimi tempi sono state concepite con l’obiettivo di accompagnare il consumo e l’industria verso una loro definitiva sostituzione.
Attualmente le restrizioni relative ad alcuni ftalati sono aumentate e riguardano, oltre ai giocattoli, anche i materiali destinati al contatto con alimenti e sono stati inseriti in regime di autorizzazione REACH.
Nel factsheet Inail viene descritto l’inquadramento normativo, con le azioni predisposte dal legislatore europeo dal 1979 in poi per tutelare i consumatori da esposizioni improprie. La direttiva europea 79/769/CEE ha limitato i livelli di 6 ftalati autorizzati ad essere presenti in giocattoli e prodotti per l’infanzia.
A partire da quel momento, l’interesse per la valutazione del rischio, per i consumatori, è aumentato, fino a giungere al 2006, anno in cui le restrizioni relative ad alcuni tipi di ftalati sono aumentate. Determinati materiali destinati al contatto con alimenti sono stati inseriti nel regime autorizzativo REACH (Registration Evaluation and Authorization of Chemicals). Questa svolta è avvenuta con l’emanazione del Regolamento europeo numero 1907 del 2006, REACH. Significa che le sostanze identificate come interferenti endocrine o tossiche per la riproduzione umana sono state inserite in regime di autorizzazione, con il dichiarato intento di prevedere un percorso di sostituzione ed eliminazione.
Riguardo agli ambienti lavorativi, gli ftalati rientrano fra gli “agenti chimici” evidenziati dal decreto legislativo numero 81 del 2008. Ne consegue l’applicazione di ogni misura di prevenzione e protezione idonea a ridurre o eliminare l’esposizione dei lavoratori a queste sostanze, oltre a garantire loro una manipolazione dei prodotti in tutta sicurezza. A questo proposito, la scheda Inail richiama opportunamente il ruolo del medico competente nella valutazione sull’inserimento degli indicatori di funzionalità endocrina nel protocollo di sorveglianza sanitaria, con una anamnesi estesa alla salute riproduttiva per l’esame di situazioni potenziali di rischio precoce.
Il progetto europeo e gli ftalati
Nel 2017 l’Unione europea ha avviato il progetto HBM4EU di biomonitoraggio umano. L’obiettivo di questo programma è diffondere una maggiore conoscenza e informare consumatori, cittadini e lavoratori sulla gestione sicura delle sostanze chimiche e quindi proteggere la salute umana. Il biomonitoraggio controlla l’esposizione umana alle sostanze chimiche e il conseguente impatto sulla salute umana. Questo progetto intende anche sollecitare i responsabili politici dei Paesi europei affinché siano attuate normative più stringenti sull’utilizzo di queste sostanze chimiche.
Quali sono quelli vietati
L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha stabilito la dose di assunzione giornaliera tollerabile (Dgt) per un gruppo di cinque ftalati, riconoscibili con la seguente sigla: Dbp, Bbp, Dehp, Dinp, Ddp. Per i primi quattro, sono tollerati 50 microgrammi per chilogrammo (µg/kg) di peso corporeo al giorno. Per il quinto ftalato (il Ddp) la soglia di tolleranza sale a 150 microgrammi.
Questi margini di tolleranza andrebbero rispettati per non mettere a rischio il sistema riproduttivo umano e il testosterone nei feti.
Tuttavia, l’obiettivo è quello di eliminare per sempre queste sostanze chimiche nel ciclo industriale e nella quotidianità.
L’Unione europea ha preso provvedimenti per ridurre l’esposizione dei cittadini agli ftalati che notoriamente causano rischi per la salute.
- Gli ftalati denominati DEHP, BBZP, DiBP e DNBP non possono essere utilizzati nell’Ue senza autorizzazione per usi specifici.
- DEHP, DNBP, DIBP e BBZP sono vietati in tutti i giocattoli e articoli di puericultura, mentre DINP, DIDP e DNOP sono vietati in giocattoli e articoli per bambini che possono essere messi in bocca.
- L’uso di ftalati classificati come tossici per la riproduzione è vietato nei cosmetici.
- L’Unione europea stabilisce limiti di legge per la concentrazione di determinati ftalati (DEHP, BBZP e DNBP) in materiali destinati a entrare in contatto con alimenti.
- Dal 2020, l’uso degli ftalati DiPeP, DnPeP, PIPP e DMEP è vietato nei prodotti di consumo sul mercato dell’Ue.
Il progetto HBM4EU mette in guardia consumatori e lavoratori anche rispetto ad articoli meno recenti, prodotti prima dell’entrata in vigore dei controlli, e tuttora in uso nelle case e nei luoghi di lavoro. Gli ftalati, inclusi quelli con proprietà pericolose, sono dunque ancora presenti nel nostro ambiente quotidiano e non sarà facile liberarsene.
Inoltre, i prodotti importati da Paesi extraeuropei, in cui i controlli sono meno rigorosi, possono contenere ftalati vietati nell’Unione europea.
Come difendersi
Il progetto di biomonitoraggio umano HBM4EU suggerisce di adottare alcune misure per ridurre l’esposizione agli ftalati. È importante:
- leggere le etichette dei prodotti e, se possibile, scegliere di utilizzare prodotti che dichiarano di essere senza ftalati;
- pulire e arieggiare regolarmente la casa per eliminare la polvere, che può contenere ftalati rilasciati da prodotti e arredi;
- scegliere prodotti freschi piuttosto che cibi e bevande preconfezionati e trasformati;
- i prodotti di consumo realizzati in PVC flessibile hanno maggiori probabilità di contenere ftalati.
2/11/2022 https://ilsalvagente.it
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