Inflazione record, crollano redditi e salari
Chi è abituato a fare la spesa ed è impegnato a far quadrare i conti a fine mese, se ne è accorto da tempo: i prezzi sono schizzati in alto. Per pane, pasta, latte, frutta, verdura, per il cosiddetto carrello della spesa e per le bollette di luce e gas, la corsa verso gli aumenti non si sta fermando, tanto che le associazioni dei consumatori hanno lanciato l’allarme: calano del 17 per cento gli acquisti di carne e pesce, il 13 per cento compra meno frutta e verdura, rivela l’Osservatorio nazionale di Federconsumatori. Che aggiunge: la metà dei cittadini adotta strategie per risparmiare, approfittando di sconti, offerte last minute, acquisto di prodotti vicini alla scadenza, soprattutto nel settore alimentare.
Se andiamo a guardare i numeri, troviamo la conferma: a ottobre il tasso d’inflazione è balzato all’11,9 per cento su base annua rispetto all’8,9 di settembre, un livello mai visto dal 1984, il carrello della spesa ha segnato un nuovo record, attestandosi su un più 12,7 per cento, secondo le stime preliminari dell’Istat. Federconsumatori ha fatto due calcoli: le famiglie dovranno spendere 3.500 euro in più all’anno, 728 dei quali solo per mettere a tavola i pasti quotidiani.
Entrando nel dettaglio, scopriamo che crescono tutte le voci: abitazione, acqua, elettricità, combustibili del 58,8 per cento, cibo e bevande analcoliche del 13,5, trasporti dell’8, ma anche servizi ricettivi e di ristorazione (7,5), mobili, articoli e servizi per la casa (7,1), altri beni e servizi (3,1). Calano solo i prezzi delle comunicazioni, meno 2,5 per cento.
“Naturalmente l’inflazione colpisce di più coloro che hanno redditi bassi, per la sua dinamica orizzontale impatta in percentuale maggiormente su lavoratori e pensionati – spiega Gianna Fracassi, vicesegretaria generale della Cgil -. L’Istat parla di un differenziale del 3 per cento: per chi ha salari bassi, l’11,9 per cento si traduce in un 15 per cento di aumenti. Si tratta di famiglie che hanno un’alta propensione al consumo, spendono gran parte del loro budget per beni alimentari e bollette, le voci che stanno trainando l’inflazione”.
Un fenomeno, quello della perdita del potere di acquisto, che è più marcato nel Nord Est e nelle isole, stando al rapporto di Banca d’Italia sulle economie regionali, che sottolinea come si sia accentuata l’eterogeneità territoriale negli andamenti dell’inflazione. “Partiamo da una condizione d’impoverimento salariale che era preesistente, per la quale da tempo chiediamo interventi strutturali – aggiunge Fracassi -, adesso siamo a una crescita esponenziale dell’erosione di salari e pensioni: non siamo più nell’emergenza, l’abbiamo superata. Bisogna dare risposte, servono misure importanti e servono ora”.
Quali sono le cause di questa infiammata dell’inflazione? La crescita dei prezzi dell’energia, determinata dalla risposta alle sanzioni Ue per l’invasione russa dell’Ucraina, che però da sola non basta. “Bisognerebbe disaggregare l’impatto del prezzo dell’energia sul singolo prodotto o sui gruppi di beni, perché l’andamento è diverso a seconda dei settori – afferma Annamaria Simonazzi, docente di economia politica all’università Sapienza di Roma -. Chi fa paragoni con gli anni Settanta sbaglia perché non ci troviamo nella stessa situazione. Allora c’era una rincorsa prezzi-salari, adesso i salari non sono una parte rilevante, anzi sono proprio inesistenti, in termini di aumento dei costi per le imprese, perché sono fermi”.
E quindi? “Quindi ci sono due fattori – continua la professoressa -. Da un lato in alcuni settori le imprese scaricano gli aumenti degli energetici sul prezzo finale al consumatore, anche se un rincaro così generale sui prezzi al consumo non è giustificato. Dall’altro c’è un fattore psicologico: parlare continuamente dell’inflazione innesca una strategia della paura, una sorta di allarmismo, come se si giustificasse l’aumento dei prezzi, inducendo le imprese a portarsi in avanti e aumentare i costi. È come gridare continuamente al lupo al lupo”.
Insomma, alla crescita dei beni energetici, che è in parte determinata da comportamenti speculativi, si aggiunge un’altra forma di speculazione. “Le cause sono molteplici e vengono da lontano – riprende la dirigente sindacale -. Energetici e alimentari concorrono pesantemente a incrementare prezzi e speculazione. E non basta certo aumentare i tassi da parte delle banche centrali per riportare la tendenza verso il 2 per cento che ormai non sembra raggiungibile nemmeno nel 2023. Al contrario, la politica monetaria della Bce non si sta dimostrando né efficace né utile in questa fase in cui il rischio di recessione è molto elevato”.
Ricorrendo alle più vecchie ricette monetariste, infatti, la Bce ha portato i tassi al 2 per cento e ha bloccato il riacquisto dei 3.200 miliardi di titoli di debito pubblico in scadenza. E mentre i risparmi si stanno riducendo, perché i prezzi costringono molti italiani a utilizzarli per far fronte alle difficoltà quotidiane, crescono anche i costi di prestiti e mutui: per chi ha un mutuo a tasso variabile la rata, rispetto a settembre, potrebbe crescere anche di 188 euro.
“La perdita di potere d’acquisto di redditi, salari e pensioni, colpendo in modo durissimo i redditi più bassi, rischia di essere troppo alta – prosegue Fracassi -. Se si prende la retribuzione contrattuale lorda media annua e si applica l’incremento medio previsto per quest’anno dai contratti collettivi nazionali rinnovati, la riduzione di potere d’acquisto nel 2022 sarebbe comunque di oltre 1.800 euro: è come se i lavoratori dipendenti non ricevessero la tredicesima. Una situazione ancor più grave per pensionati, precari, giovani autonomi, disoccupati”.
Per questo per la Cgil è necessario un intervento strutturale sui salari e sui redditi da pensione e una serie di misure per affrontare l’emergenza, da mettere in campo subito, dal bonus energia con l’innalzamento del reddito Isee a 20mila euro al calmieramento dei prezzi, che a livello nazionale è difficile da perseguire. “Alcune risposte arriveranno dal decreto bollette, altre dalla legge di bilancio, ma l’orizzonte è troppo lontano – conclude Fracassi -. Ci vogliono provvedimenti che non si limitino ai 200 euro una tantum, ma che siano di sostegno all’economia, ai redditi, alle famiglie, all’occupazione, e di contrasto alla disoccupazione, alla precarietà e alla svalutazione del lavoro”.
Patrizia Pallare
7/11/2022 https://www.collettiva.it
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