Tre operai sono morti sul lavoro in Piemonte, Emilia Romagna e Campania.
Le modalità di accadimento di queste tragedie sono analoghe: traumi da schiacciamento. Sono le stesse tipologie di accadimento e di lesioni degli infortuni che avvenivano negli anni 50 e 60 del secolo scorso . Nella provincia torinese un operaio di 41 anni è stato travolto e schiacciato da numerosi tubi di metallo in un magazzino della Alessio Tubi. A dare l’allarme sono stati i colleghi di lavoro, ma quando sono arrivati i vigili del fuoco e il personale medico per l’uomo non c’era più nulla da fare. Alcune ore prima, una operaia di 50 anni è morta a Borgonovo, in provincia di Piacenza, dopo un incidente in una vetreria . Secondo quanto dichiarato dai carabinieri di Piacenza, la donna sarebbe rimasta schiacciata tra un macchinario che trasporta il vetro e un macchinario per i bancali. Gli operatori sanitari del 118 non hanno potuto fare altro che rilevare il decesso.
Nel Casertano è morto un altro operaio Si tratta di un 49enne di Cesa che stava lavorando per conto di un’impresa su un capannone industriale di via Saturno; l’operaio stava effettuando un sopralluogo quando il tetto ha ceduto provocandone la caduta da un’altezza di cinque metri. Anche in questo caso nulla hanno potuto fare gli operatori del 118.
Questa tragica sequenza di morti sul lavoro che si ripete da alcuni anni, senza tregua, genera un sentimento di rabbia e di amarezza. E’ con amarezza anche per chi scrive che bisogna prendere atto che anni di iniziative per ridurre la frequenza e la gravità di questi incidenti sono trascorsi senza che si consolidasse nelle imprese una cultura ed una pratica efficace di valutazione e gestione dei rischi. L’ampia strumentazione di modalità operative di risk assessment e di risk management che poteva cambiare e rendere sicure le aziende è stata vissuta come fosse un orpello inutile, un inutile adempimento burocratico, documenti da tenere in un cassetto per farli vedere eventualmente all’ispettore dell’ASL o del INL .
Non abbiamo elementi per esprimere valutazioni specifiche su questi ultimi casi tragici.
Sappiamo tuttavia che nella maggior parte degli incidenti gravi e mortali sul lavoro le indagini individuano quasi sempre come cause determinanti la scarsa qualità della valutazione e gestione dei rischi, la scarsa o nulla formazione dei lavoratori da parte dell’impresa. In molte realtà è prevalsa una subcultura maligna della organizzazione informale del lavoro basata sul fare in fretta senza tenere in considerazione i rischi e le modalità per gestirli. Questo è il nodo che i partner sociali nelle imprese debbono affrontare con i lavoratori. Innanzitutto deve essere recuperato e rafforzato il ruolo degli RLS che possono rappresentare e interloquire coi lavoratori e agire come stimolo verso le gerarchie organizzative dell’impresa perchè predispongano una organizzazione del lavoro efficace anche per la gestione dei rischi per la sicurezza e salute. Occorrono più controlli di ASL e INL, ma quello che è certo che se si vuole ridurre e governare il fenomeno infortunistico quello che è necessario sia fatto è la presenza in fabbrica di una buona e ed efficace pratica valutazione e gestione dei rischi in continuità e profondità Occorre che il sindacato dia un contributo ancora più forte in questo senso . Non serve la triste litania “ci vogliono più controlli”. Certo ci vogliono più controlli ma quello che conta è quello che si fa ogni giorno all’interno dell’azienda . Occorre gestire da parte dei partner sociali (gerarchie aziendali, preposti , medico competente, Rls e Rssp e rappresentanze sindacali ) i rischi presenti in azienda giorno dopo giorno con continuità e con l’utilizzo della formazione e a volte anche della pratica conflittuale per lavorare in sicurezza. Non servono nuove leggi. Serve applicare e praticare quanto previsto nel Dlgs 81/2008 e smi con scienza e coscienza .
Gino Rubini
Editor di Diario Prevenzione
8/11/2022 https://www.diario-prevenzione.it
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!