Il decalogo AIAS per la sicurezza sul lavoro, qualche pregio ma troppi difetti

L’Aias- Associazione Italiana Ambiente e Sicurezza, in occasione delle elezioni del 25 settembre, inviò ai candidati un decalogo sulla sicurezza per sensibilizzarli sul tema. Certamente l’iniziativa, in un contesto in cui nei programmi elettorali si parla poco o nulla e ancor meno si è fatto nella precedente legislatura, è sicuramente utile ma occorre anche valutare la qualità delle proposte che, in molti casi, per noi e non solo (si veda sotto il documento di commento della CIIP), appaiono omissivi e tendenti a un ritorno ad un approccio precedente a quello introdotto – con le lotte dei lavoratori/lavoratrici – con la riforma sanitaria del 1978 (già ampliamente minacciato anche con le proposte di autonomia regionale differenziata).

Quanto sopra in particolare se tale approccio verrà fatto proprio dal nuovo governo di centro-destra.

Ricordiamo che AIAS è una struttura privata, per lo più di liberi professionisti con servizi dedicati agli stessi;  secondo il suo Statuto  con “le seguenti finalità statutarie: – tutela e ordinamento professionale; – formazione e aggiornamento professionale; – collaborazione con Aziende ed Enti per i problemi della prevenzione degli infortuni, degli incendi e dell’igiene del lavoro, aperta a coloro che, su tutto il territorio nazionale, operavano o fossero comunque interessati ai problemi della sicurezza.”

Numerose sono le “aziende sostenitrici” AIAS: Chi Siamo – Aziende Sostenitrici (aias-sicurezza.it)

Qui il documento AIAS

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Qui il primo commento della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP)

Ai Presidenti su doc AIAS ridotta

Proviamo anche noi a svolgere qualche considerazione passando in rassegna il decalogo AIAS

1 – “PIANO MARSHALL” DI PREVENZIONE DEI FENOMENI INFORTUNISTICI

Sul punto è certamente condivisibile la necessità di estendere il sistema di “qualificazione delle imprese” previsto dal Dlgs 81/2008 ma finora applicato solo alle imprese che svolgono attività in ambienti confinati. Va superato il modello “impresa in un giorno” tanto vantato per velocizzare (senza verifiche  preventivi) le nuove attività per cui, nella maggior parte dei casi, soggetti senza alcuna quaiificazione si improvvisano imprenditori anche in settori ad elevati rischi infortunistici (e ambientali).

Non si condivide la retorica di sistemi di “incentivi” per le imprese per far sì che si adeguino ad obblighi normativi esistenti dagli anni ’50. Il rispetto, dall’inizio dell’attività, degli standard “minimi” previsti dalle normative vigenti deve essere un requisito per aprire e continuare l’attività. Altro discorso è il finanziamento per il miglioramento della sicurezza oltre i “minimi” normativi.

2 – GARANZIA DELL’EFFICACIA DELLA FORMAZIONE DEI LAVORATORI

Il tema è sicuramente condivisibile ma il difetto principale che rileviamo nei provvedimenti in materia è la mancata attuazione della introduzione di modalità chiare sulla verifica dei requisiti dei soggetti formatori. Troppi attestati rilasciati senza corsi o da parte di soggetti senza una idonea qualifica professionale. Troppi sindacati “improvvisati” o altri soggetti che, senza alcun requisito, sono riconosciuti “ope legis” quali “soggetti formatori”.

3 – CRESCITA DELLA CULTURA DELLA SICUREZZA CON L’EDUCAZIONE DEI GIOVANI

La proposta di introdurre attività formative nel curriculum scolastico è certamente e condivisibile (soprattutto a fronte dell’attuale situazione in cui gli studenti vengono mandati allo sbaraglio e anche alla morte tramite l’invio in aziende con la “alternanza scuola-lavoro” presso attività che spesso non sono verificate ovvero in grado di gestire in sicurezza gli studenti e non sono nemmeno a norma per i propri lavoratori).

Al momento però appare ben più urgente un ripensamento, se non l’abolizione, delle attività di alternanza scuola-lavoro, gli infortuni mortali di studenti non sono neppure concepibili come rischio da mettere “in conto”.

4 – QUALIFICAZIONE OBBLIGATORIA DEI PROFESSIONISTI DELLA SICUREZZA

Data l’estesa condizione di docenti (ma anche di soggetti formatori) che non hanno idonee  qualifiche  se non quelle scritte sulla carta (quando c’è) è condivisibile la proposta di un albo obbligatorio (con relative verifiche di idoneità e non semplicemente un registro), altrettanto necessario è anche individuare un regime sanzionatorio chiaro, compreso il ritiro/sospensione della attività ogni qualvolta si riscontri abusi in questo campo.

5 – ASSISTENZA PUBBLICA COLLABORATIVA AI DATORI DI LAVORO

Quanto proposto sul tema ed in particolare lo “sgravio” dell’obbligo di denuncia da parte degli organi di vigilanza appare l’ennesimo “scudo penale” per i datori di lavoro.

Se è certamente condivisibile che l’approccio degli organi pubblici nei confronti delle aziende non debba essere “semplicemente” repressivo è altrettanto vero che se la norma definisce determinate carenze come penali le stesse vanno comunque sanzionate (e in ogni caso da sanare mediante le previste prescrizioni). Non si capisce perchè, inoltre, questa “collaborazione” debba essere svolta nei confronti dei soli datori di lavoro e non invece anche in favore dei lavoratori e delle loro rappresentanze (qualcuno ricorda che esiste ancora l’art. 9 dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori ?). Nei primi passi della attuazione della riforma sanitaria  in diverse realtà vennero creati gli SMAL (Servizi di Medicina Ambienti di Lavoro) che hanno svolto una funzione di incontro tra tecnici pubblici e lavoratori che collaborano per individuare e risolvere le criticità delle aziende che venivano poi coinvolte per definire le modalità di attuazione delle misure di prevenzione e protezione (la premessa era sempre che le norme fondamentali fossero rispettate).

Nel concreto la proposta di AIAS ha la evidente finalità di ridurre il ruolo dei servizi territoriali (nelle ASL) in favore delle strutture centrali (INAIL; INL, DTL) con una tendenza al ritorno alla situazione della vigilanza a quella pre-riforma (Ispettorato del Lavoro) peraltro già esplicitata negli ultimi provvedimenti normativi in direzione opposta al potenziamento dei servizi territoriali (e qui la responsabilità passata e attuale è in capo alle regioni e la prospettiva della autonomia differenziata anche in questo campo non promette nulla di buono).

6 – COMPLETAMENTO DEL SISTEMA INFORMATIVO PER LA PREVENZIONE SINP

Il SINP (Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione) è sostanzialmente una struttura interministeriale e interregionale per far “parlare” i diversi enti che si occupano di tutela del lavoro sotto ogni aspetto e per condividere le informazioni raccolte dai singoli enti nelle attività di vigilanza.

Il “sistema informativo” come data base condiviso di tutti gli enti è tuttora frammentato in particolare per quanto riguarda i “collegamenti” tra quelli (diversi tra loro) delle regioni e quelli “centrali” e viceversa.

Ogni iniziativa per superare questo handicap informativo non può che essere condivisibile per lo meno per poter disporre di dati maggiormente affidabili e rappresentativi rispetto a quelli dell’INAIL che ha un approccio esclusivamente “assicurativo”  relativo alle “pratiche” (denunce) e non agli eventi e alle persone.

7 – RISTRUTTURAZIONE E SEMPLIFICAZIONE DELLA LEGISLAZIONE INERENTE

La normativa vigente in materia di sicurezza sul lavoro (attualmente principalmente il dlgs 81/2008) è il risultato dell’innesto delle direttive Europee sulla normativa previgente (in particolare le prime norme degli anni’50) e questo determina qualche “obsolescenza” di precetti tecnici.

La proposta AIAS riguarda una modalità di aggiornamento progressivo degli aspetti tecnici che può essere condiviso anche considerando che vi è una “evoluzione spontanea” di questi aspetti per effetto della introduzione di regolamenti UE (che hanno immediata valenza normativa in tutti i paesi UE) come nel caso delle sostanze chimiche e, a breve, per le macchine, quindi con una valenza su gran parte delle attrezzature di lavoro ove è maggiore il rischio di obsolescenza normativa con il passare del tempo per le evoluzioni tecnologiche costanti. Sulle modalità di mantenere aggiornati questi aspetti si può condividere ma non è comprensibile la artificiosa distinzione tra norme tecniche (definite precetti di primo tipo) con quelle “generali” definite di secondo tipo che oggi hanno proprio la funzione di permettere l’applicazione dei principi di sicurezza nei casi specifici ove non vi siano precetti tecnici precisi, ovviamente con la necessità di interpretare correttamente la norma (ed è anche su questo aspetto che è fondamentale l’esperienza, l’autonomia e la qualità dell’intervento dei tecnici della prevenzione e dei medici del lavoro degli enti pubblici di vigilanza).

Meno condivisibile il passaggio successivo : ” ferme restando le figure di delitto, sopprimere tutte le figure di reato contravvenzionale associate ai precetti del secondo tipo, sostituendole con un’unica contravvenzione che prevede la pena alternativa dell’ammenda o dell’arresto, tra un minimo ed un massimo
sia pecuniario che detentivo;
• assegnare una valenza premiale (in sede di prescrizione amministrativa, o soprattutto
processuale) alla dimostrata ottemperanza volontaria alle fonti di riferimento censite.”

Non si condivide che i cosiddetti precetti del secondo tipo (di fatto alquanto diversificati per importanza ed effetto sulle condizioni di sicurezza/salute dei lavoratori) vengano ricondotti ad una unica “pena” perchè appunto presuppone una identica gravità (per tipologia ma anche per soggetto responsabile interessato) che non corrisponde alla realtà delle molteplici condizioni che si trovano nei luoghi di lavoro.

Assolutamente non condivisibile dare “premi” alle “ottemperanze volontarie” anche perchè non è chiaro cosa siano queste ultime : le norme vanno applicate per forza di legge, se non vengono applicate scattano gli obblighi prescrittivi di adeguamento che a quel punto non si vede come possano essere qualificati come “volontarie”. E’ già previsto nelle procedure giudiziarie la considerazione dell’avvenuto adempimento alle prescrizioni nella valutazione del giudice della posizione del contravventore/imputato.

8 – VALORIZZAZIONE DELLA NORMATIVA TECNICA E RILEVANZA GIURIDICA

La proposta individua nelle norme di buona prassi ed in particolare negli standard tecnici riconosciuti (norme UNI-EN in particolare) dei riferimenti atti a definire la corretta applicazione dei principi normativi, questo è già riconosciuto dalla normativa e sono già considerate nell’ambito di procedimenti giuridici (in particolare per infortuni).

Si tratta di standard volontari ma che già oggi (ad esempio nel campo delle attrezzature, dei DPI e in genere dei “prodotti”) rappresentano – se correttamente attuate – la “buona tecnica” specifica.

Si richiede anche di mettere a disposizione il gruppo di norme HSE (Health, Security, Environment) gratuitamente (anche gli enti di controllo le devono pagare), perfettamente d’accordo.

9 – INTEGRAZIONE DI SALUTE, SICUREZZA E LEGALITÁ PER LA SOSTENIBILITÁ

In questa parte si richiede la sottoposizione ai parametri di giudizio della attività legislativa al principio di “sostenibilità” (Agenda 2030 dell’ONU).

In particolare

“occorre esplicitare in modo univoco e condiviso la valenza di effettiva sostenibilità implicita nelle misure che riescono nei fatti a migliorare il tasso di salubrità e sicurezza delle attività lavorative;”

“non può esistere la reale garanzia della Sicurezza sul lavoro senza il prerequisito della Legalità contrattuale, è necessaria quindi una visione comune e condivisa di questi aspetti e l’approccio conseguente delle parti (vedi tutti i punti precedenti).”

Nulla da obiettare se non che non è chiaro quale possa essere il prerequisito della legalità contrattuale quando questa è rappresentata da una esplosione di tipologie di contratti quasi tutti precari o con tutele sempre più ridotte (Jobs Act) ovvero proprio quanto il contenuto di legalità (di diritto) nelle molteplici forme contrattuali è stato eroso. Più che una “visione comune” occorre un approccio “conseguente” alla situazione ovvero il suo radicale cambiamento verso forme di tutela reale dei diritti dei lavoratori/lavoratrici sia in termini contrattuali che in termini di democrazia nei luoghi di lavoro (a partire dalla abrogazione del “vincolo fiduciario” divenuta una vera catena ricattatoria per chiunque voglia attuare il diritto previsto dall’art. 9 dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori sull’iniziativa diretta dei lavoratori sulle proprie condizioni di sicurezza e salute sul lavoro).

10 – MISURAZIONE DELL’EFFICACIA DELLE POLITICHE

In sostanza si richiede  che “tutte le norme dovranno prevedere dei meccanismi di verifica periodica del raggiungimento degli obiettivi ed i possibili programmi alternativi di miglioramento dell’applicazione e delle norme stesse”. D’accordo purchè questo avvenga anche a livello locale (a livello di ASL/AUSL)  e con il coinvolgimento e la diretta partecipazione dei lavoratori/lavoratrici e loro rappresentanze (non necessariamente o solo i sindacati).

A cura di Marco Caldiroli

1/11/2022 https://www.medicinademocratica.org

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