Il contributo della NATO all’instabilità globale
Fonte: Sintesi in italiano del Report “NATO, Building Global Insecurity”. Traduzione e sintesi a cura di Maria Pastore. Fonte https://www.ipb.org/?s=nato+building+insecurity
Il Centre Delàs d’Estudis per la Pau è una organizzazione di ricerca indipendente orientata a rafforzare l’advocacy politica e sociale della cultura della pace e del disarmo. A giugno 2022 ha pubblicato il suo 53° Report “NATO, Building global insecurity” in collaborazione con l’International Peace Bureau (IPB) e la Global Campaign on Military Spending (GCOMS).
I 9 capitoli del Report mettono in evidenza i lati oscuri della NATO dalla sua fondazione a oggi, l’ambiguità del suo operato e dei principi che proclama, e sostengono la tesi che questa organizzazione militare, la più grande al mondo, stia portando solo guerra e instabilità internazionale.Chiude il Report una Appendice scritta da esperti dell’International Peace Bureau e della Olof Palme Foundation nella quale si puntalizza una agenda di pace trasformativa e inclusiva, per rifiutare ogni forma di militarismo.
Nell’articolo di seguito presento una sintesi dei capitoli del 53° Rapporto del Centre Delàs “NATO, Building global insecurity”.
1. La NATO dopo il crollo dell’URSS Pere Ortega
Con la caduta del Muro di Berlino (1989) e lo scioglimento del Patto di Varsavia (1991) anche la NATO avrebbe potuto sciogliersi, invece nel 1991 l’Alleanza Atlantica si è riunita per definire un nuovo Strategic Concept con la missione di salvaguardare a livello internazionale la sicurezza e gli interessi del modello economico occidentale.
A Washington nel 1999 la NATO ha consacrato il cambiamento sostanziale dei suoi obiettivi programmatici dichiarando di potere agire al di fuori della tradizionale area di copertura del Patto Atlantico. Dal 1997 al 2020 alcune ex repubbliche sovietiche hanno firmato il loro ingresso nella NATO, e sul versante economico si è imposta una forte deregolamentazione del mercato e la privatizzazione di tutte le strutture del sistema socialista.
Dopo il crollo dell’URSS il potere politico e economico in Russia si è spostato nelle mani di funzionari di alto rango (oligarchi). Le enormi riserve di idrocarburi hanno dato nuova vita all’economia nazionale facendo crescere in modo significativo il PIL. La politica marcatamente nazionalista intrisa di retorica eroica pan-slava punta a restaurare la potenza politica e militare della Russia, inclusi i quasi venticinque milioni di russi tagliati fuori dai confini dopo il crollo dell’URSS, dal 1990 al centro di conflitti, anche armati: la Transnistria in Moldavia, i territori dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, la Georgia nel Caucaso, la Crimea e il Donbas in Ucraina.
La NATO ha delegittimato la Carta di Parigi e le speranze di una sicurezza comune e condivisa tra Europa e Russia
Nel corso dei decenni la NATO ha delegittimato le speranze riposte nella Carta di Parigi del 1990 di un’Europa con una sicurezza comune e condivisa con la Russia, e non ha collaborato al consolidamento di altri sistemi di sicurezza collettiva come l’ONU.
Nell’attuale scena internazionale la concorrenza agli USA è rappresentata in particolare dalla Cina e dall’asse politico-economico che stava prendendo forma con la Russia negli accordi di Shanghai. La guerra in Ucraina indebolisce quel trattato, poiché la Russia sarà inevitabilmente deteriorata, politicamente ed economicamente.
L’Europa ha più da perdere che da guadagnare in questo rapporto di subordinazione agli Stati Uniti. Per questo è necessario rilanciare il movimento europeo per la pace che miri a ripristinare una sicurezza comune e condivisa tra tutti i popoli e le nazioni d’Europa, Russia compresa.
2. La NATO contro il diritto internazionale e la democrazia Eduardo Melero Alonso
L’analisi si concentra sul contenuto del Strategic Concept 2010 e sulla tendenza della NATO negli ultimi venti anni a deregolamentare le condizioni per il suo intervento armato.
La NATO oggi definisce sua area di interesse tutto il pianeta e allarga la legittima difesa anche a minacce ibride non-armate
Nei fatti la NATO sta conferendo al Strategic Concept il potere di ridisegnare le disposizioni normative e morali stabilite dal Patto Atlantico e dalla Carta delle Nazioni Unite, forza giuridica che un documento programmatico come il Strategic Concept non può avere.
Il Trattato dell’Atlantico del Nord (o Patto Atlantico), firmato a Washington il 4 aprile 1949, è il documento di fondazione della NATO. Dispone l’obbligo per gli Stati membri di risolvere i conflitti internazionali con mezzi pacifici e di astenersi dal ricorrere alla minaccia o all’uso della forza (art. 1), l’obbligo di mantenere e accrescere gli strumenti individuali e collettivi per resistere agli attacchi armati (art. 3), l’obbligo di avviare consultazioni in caso di minaccia all’integrità territoriale, all’indipendenza politica o alla sicurezza di una delle parti (art. 4), limita l’area geografica dell’azione autodifensiva della NATO all’Europa e al Nord America (art. 5).
Invece la NATO oggi definisce sua area di interesse tutto il pianeta, e allarga la legittima difesa anche a minacce ibride non-armate, tra cui misure economiche, attacchi informatici, disinformazione o interferenza nelle elezioni, acquisizione di moderne capacità militari (compreso il nucleare) da parte di altri Paesi, il traffico d’armi, narcotici e persone, e anche il terrorismo, i conflitti al di fuori dei confini della NATO, la sicurezza delle comunicazioni e delle vie di trasporto, la scarsità di risorse e l’approvvigionamento energetico per la popolazione interna dei suoi Stati membri.
3. In attesa del Strategic Concept 2022 della NATO Fonte Tica
Questo contributo come tutto il Report è stato scritto prima che il summit NATO di Madrid si concludesse ed è quindi una ipotesi sui contenuti del Strategic Concept 2022.
Sono possibili riferimenti agli esiti delle missioni internazionali degli ultimi decenni in Iraq, Afghanistan e Libia, riferimenti all’invasione/annessione della Crimea da parte della Russia, la guerra in Ucraina, le divergenze politiche tra Stati Uniti e Unione Europea sul ruolo della NATO, la Brexit.
Washington ha insistito per partecipare con la sua industria militare anche ai progetti UE della PESCO
Dopo trent’anni la Russia riemerge quale avversario per la stabilità euroatlantica. In vista dei nuovi investimenti russi in missili, a corto e medio raggio e ipersonici, e alla luce delle minacce russe di usare armi nucleari nella guerra in Ucraina, la NATO potrebbe aumentare la sua presenza militare nei Paesi dell’Europa orientale, in particolare negli Stati baltici, con forze sufficienti a respingere qualsiasi aggressione, mentre la cooperazione militare con Svezia, Finlandia, e altri Paesi confinanti con la Russia sarà certamente rafforzata.
Gli USA hanno sempre potuto vantare una superiorità tecnologica rispetto agli avversari, superiorità ora in pericolo perché le nuove tecnologie, in particolare l’AI, sono alla portata di altri attori o lo saranno in breve tempo. Per questo nel 2014 hanno lanciato la Defence Innovation Initiative e il Third Offset Strategy il cui scopo è mantenere la superiorità tecnologica militare rispetto a qualsiasi avversario; si può dire che sia iniziata una nuova corsa agli armamenti.
Washington ha insistito per partecipare con la sua industria militare anche ai progetti UE della PESCO.
4. Il femminismo, per la vita contro la NATO Nora Miralles Crespo
Più di mille donne provenienti da dodici Paesi, nell’aprile del 1915, si riunirono all’Aia per chiedere il suffragio femminile e la soluzione per via diplomatica della guerra allora in corso, e di tutte le dispute internazionali future, nacque così la Lega Internazionale delle Donne per la Pace e la Libertà (WILPF), che oggi con le Donne in Nero contro la guerra e la nord americana CODEPINK manifesta il proprio dissenso verso la NATO e quello che rappresenta.
“Né una guerra che ci uccida, né una pace che ci opprima”, c’è continuità tra la violenza quotidiana strutturale dei periodi di pace e la logica della guerra nell’ordine geopolitico, da sempre, dove la forza militare e il colonialismo primeggiano a danno del multilateralismo e dei canali diplomatici tra gli Stati.
La connessione reciproca tra guerra e sistema patriarcale è ampiamente trattata da autrici femministe come Cynthia Enloe, Cynthia Cockburn e Carol Cohn.
Il femminismo non vuole umanizzare la guerra, vuole che si smettano tutte le guerre.
La risoluzione ONU 1325 e l’Agenda per le Donne, la Pace e la Sicurezza sono un primo tentativo di inserire le specificità di genere nei programmi di governance internazionali. Prescrivono una maggiore attenzione alle specificità femminili, ai loro bisogni così come alle loro capacità, dispongono di aprire anche alle donne gli spazi di discussione e decisione nei processi di pace, dalla prevenzione alla ricostruzione. Ma questi strumenti rischiano di essere interpretati in ottica militarista e non pacifista.
Le istituzioni che vivono di guerra strumentalizzano le donne e la lotta contro il patriarcato. Il femminismo non vuole umanizzare la guerra, vuole che si smettano tutte le guerre. Strettamente legato alla collettività, alla vita, alla cura, all’ambiente, il femminismo è contrario alle politiche estrattiviste, distruttive, armate e neoliberiste che ci condannano irrimediabilmente a un’esistenza precaria, se non direttamente all’estinzione.
Le femministe antimilitariste continuano a chiedere lo smantellamento e la riconversione dell’industria militare, e che la pace non sia solo uno slogan ma una politica di relazioni che si dispieghi a tutti i livelli, da quello interpersonale a quello interstatale. Per un mondo senza violenza, senza ingiustizie, senza sfruttamento.
5. Le armi nucleari della NATO Teresa de Fortuny, Xavier Bohigas
Non ci stancheremo mai di sottolineare quanto la stessa esistenza delle armi nucleari sia di per sé un pericolo.
Gli USA sono l’unico Paese al mondo a possedere armi nucleari al di fuori dei propri confini
Gli USA e la Russia hanno da sempre posseduto più del 90% delle armi nucleari del mondo.
La capacità nucleare della NATO è di 6.025 testate; 5.500 di queste appartengono agli Stati Uniti.
La Russia possiede 6.255 testate di cui 1.625 immediatamente disponibili.
La Cina dispone di circa 350 testate e sostiene si tratti di un arsenale nucleare sufficiente a garantire la sua difesa.
“Finché esisteranno le armi nucleari, la NATO rimarrà un’alleanza nucleare” è scritto così nel Strategic Concept 2010. La NATO giustifica il possesso con la deterrenza che rimane a suo dire necessaria, e richiede e determina per i suoi membri finanziamenti esorbitanti per i programmi di modernizzazione nucleare.
I tentativi fatti in passato di accordare USA e Russia per il disarmo sono purtroppo fermi, vedi il trattato ABM (anti-missili balistici) del 1972, e il Trattato INF (missili nucleari a corto e medio raggio) del 1987.
Gli USA sono l’unico Paese al mondo a possedere armi nucleari al di fuori dei propri confini: Regno Unito, Germania, Italia, Grecia, Francia, Turchia, Paesi Bassi e Belgio.
L’amministrazione Obama ha presentato nel 2013 un programma di modernizzazione del proprio arsenale nucleare che prevede la sostituzione delle attuali bombe B61 dispiegate in Europa con le nuove B61-12 che, combinate con i futuri aerei F35 aumenteranno le capacità nucleari degli Stati Uniti e della NATO.
I Paesi europei membri dell’Alleanza sono stati “invitati” a opporsi al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) perché sarebbe in contrasto con la politica di deterrenza della NATO.
I Paesi europei membri NATO sono stati “invitati” a opporsi al TPNW
I Paesi europei che ospitano armi nucleari statunitensi potrebbero liberarsene grazie al TPNW, rispondendo positivamente anche al desiderio popolare. Alla fine del 2020, sono stati condotti dei sondaggi in sei Paesi europei della NATO (Belgio, Danimarca, Islanda, Italia, Paesi Bassi e Spagna) e l’opinione a favore del TPNW superava il 75% della popolazione.
L’adesione alla NATO implica per i Paesi europei la subordinazione agli interessi e agli orientamenti degli Stati Uniti, non circoscritta solo alla difesa. L’appartenenza a questa organizzazione implica una visione militarista del mondo e dei conflitti, negando spazio alle soluzioni nonviolente, nuove e costruttive. Significa anche un continuo processo di riarmo, inoltre, gli Stati membri diventano obiettivi militari di potenziali avversari degli Stati Uniti.
È un errore identificare gli interessi degli Stati Uniti con quelli dell’Europa.
6. Operazioni NATO e sicurezza energetica Alejandro Pozo Marín
La NATO non ha condotto alcuna operazione militare durante la Guerra Fredda. Interviene per la prima volta nell’agosto 1990 contro l’Iraq che ha invaso il Kuwait. La sicurezza energetica è il motivo principale delle decine di missioni successive organizzate con il supporto dell’UE.
Si stima che le minacce più probabili nei prossimi decenni siano non-convenzionali e includano interruzioni delle linee di rifornimento energetico e di navigazione. Per questo è importante curare le relazioni interne alle aree del Medio Oriente, con epicentro l’Iraq e la sfera d’influenza della Russia (produzione), e il Golfo di Aden e il Mar Mediterraneo (trasporto).
La sicurezza energetica è il motivo principale delle missioni NATO con il supporto dell’UE
Il Corno d’Africa è una delle aree più militarizzate del mondo. Nel 2008, ben 52 Paesi avevano una presenza militare e di commercio nell’area. Lo stretto di Bab el-Mandeb è una rotta commerciale strategica per il petrolio e il gas naturale.
Le operazioni NATO di antipirateria e di sicurezza commerciale si intrecciano al controllo delle migrazioni.
La NATO stima che l’85% di tutto il commercio internazionale di materie prime e manufatti viaggi via mare, e circa il 65% del petrolio e del gas naturale consumato in Europa occidentale passi per il Mediterraneo. Il Medio Oriente e il Nord Africa sono di gran lunga le regioni del mondo dove si sono registrate più interruzioni energetiche.
Infine, la Russia. Molto prima dell’invasione russa dell’Ucraina la NATO aveva rafforzato la sua presenza in Europa con pesanti dispiegamenti in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia e questo sta cambiando la situazione a medio e lungo termine per gli equilibri globali economici e politici.
7. La NATO e il cambiamento climatico Javier García Raboso
Per la prima volta nel 2009 le Nazioni Unite hanno definito il cambiamento climatico un “moltiplicatore di minacce”.
Nel suo ultimo Rapporto il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite (IPCC) prevede uno scenario preoccupante se le temperature aumenteranno dai 2,3 ai 2,7°C entro il 2100.Già in questi decenni eventi meteorologici estremi rendono rischioso lo stanziamento umano in vaste regioni, e assistiamo a spostamenti in massa di popolazioni, e a una competizione sempre più intensa e conflittuale per il cibo, l’acqua e l’energia.
Il gruppo di esperti del Consiglio Militare Internazionale sul Clima e la Sicurezza (IMCCS) ha recentemente (2022) esortato le forze armate a ridurre le proprie emissioni di combustibili fossili adottando tecnologie verdi.
Da circa 50 anni la NATO inserisce nei suoi report riferimenti all’ambiente e pianifica la difesa in condizioni climatiche estreme e mutevoli.
Nel 1969 ha creato il Comitato per le sfide della società moderna (CCMS) per promuovere la ricerca su temi come l’inquinamento e la gestione dei rifiuti pericolosi, nel 2006 il Programma Scienza per la pace e la sicurezza (SPS), nel 2014 il Green Defence Framework. L’Agenda 2030 della NATO propone agli Alleati una valutazione annuale dell’impatto sul clima delle operazioni, tecnologie e strutture.
Nessuna misura efficace per l’emergenza climatica, solo greenwashing e difesa degli interessi del complesso militare-industriale.
Ma i piani di riduzione delle emissioni si scontrano con la richiesta di aumentare le spese militari al 2% del PIL per tutti i Paesi parte. Si deve ricordare che il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti è l’attore istituzionale che genera più emissioni di CO2 a livello mondiale, e come dice il Costs of Wars Project il Pentagono è responsabile di provocare più emissioni di gas serra di 140 Paesi messi insieme, compresi paesi industrializzati come Svezia, Danimarca e Portogallo.
La questione non è di poco conto per l’Unione Europea nella stima di carbonio aggregata.
Le emissioni del settore militare non sono incluse nei calcoli delle emissioni della maggior parte dei Paesi, a causa del carattere volontario della loro registrazione, venendo meno al controllo stabilito dagli Accordi di Parigi per gli altri settori e agli avvertimenti della comunità scientifica.
Le ripetute allusioni alla neutralità climatica nei documenti pubblicati dall’Alleanza e dai suoi membri sembrano più vicini alle pratiche di greenwashing delle grandi aziende piuttosto che a strategie efficaci commisurate all’urgenza climatica in cui ci troviamo.
Nessuno dei documenti analizzati fa allusione al modello di sviluppo occidentale e alla sua responsabilità storica nello sfruttamento delle risorse e nelle emissioni di gas a effetto serra che ci hanno portato alla situazione attuale.
Al di là delle iniziative di facciata l’Alleanza continua a garantire la sicurezza finanziaria delle grandi imprese e del complesso militare-industriale, e considera le vittime del cambiamento climatico come minacce alla stabilità globale, giustificando così l’aumento della militarizzazione.
8. La NATO è sempre in guerra José Luis Gordillo
La fondazione della NATO dà inizio alla competizione nucleare contro l’URSS che in risposta stringe il Patto di Varsavia nel 1955. Gli Stati Uniti erano l’unico Stato ad aver prodotto e utilizzato armi nucleari in guerra, qualche anno più tardi l’URSS, e poi Gran Bretagna, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord si dotano anch’essi di armi atomiche.
Le armi atomiche sono sempre una minaccia è un errore descriverle come armi difensive
La corsa agli armamenti nucleari culmina negli anni ’80 con l’accumulo di più di 60.000 ordigni nucleari, con i quali, secondo gli esperti, sarebbe stato possibile uccidere 12 volte la popolazione sul pianeta, la massima espressione dell’insensatezza della guerra.
Le armi atomiche, come ha detto E.P. Thompson, sono sempre una minaccia è un errore descriverle come armi difensive.
Tra il 1945 e il 2013 ci sono state più di 2.000 esplosioni atomiche, all’aperto e sotterranee, sotto forma di test nucleari che hanno provocato una contaminazione radioattiva e un drammatico aumento dei tumori in tutto il mondo. Secondo uno studio dell’Institute for Energy and Environmental con sede nel Maryland (USA), tra il 1945 e il 2000 sono morte per contaminazione da esplosioni nucleari almeno 2.400.000 persone. Più della metà di queste esplosioni è dei governi statunitense, francese e britannico.
Diversamente da quanto sancito nel Patto Atlantico interviene nelle questioni internazionali con la forza armata
La fine della Guerra Fredda non ha portato, come sembrava logico, alla dissoluzione della NATO, al contrario, ha portato al suo allargamento. I suoi interventi politico-militari nei Balcani, in Asia centrale, in Medio Oriente e Nord Africa, sono delle prove empiriche incontrovertibili della sua trasformazione in un’organizzazione aggressiva e imperialista, perché interviene nelle questioni internazionali con la forza armata e alimenta guerre quasi permanenti.
La NATO è la migliore soluzione ai problemi causati dalla NATO stessa.
9. La deriva securitaria della NATO in materia di migrazione Ainhoa Ruiz Benedicto
I massicci sistemi di intelligence e sorveglianza dispiegati soprattutto nelle zone di frontiera in tutto il mondo, hanno un forte impatto sui diritti umani.
Le persone che migrano in modo forzato e illegalmente vengono cosiderate una minaccia e colpite da misure poliziesche e militari. L’Alleanza affronta miltarmente anche funzioni che normalmente andrebbero affrontate da una prospettiva umanitaria e con strumenti civili.
Sebbene i fattori che possono generare sfollamento forzato siano numerosi, dai dati forniti dall’UNHCR si può osservare un maggiore livello di instabilità in Iraq, Afghanistan e Libia dopo gli interventi della NATO.
È quindi possibile mettere in discussione che la NATO contribuisca alla stabilità globale e alla pace.
Appendice – Il Rapporto Olof Palme 2: Sicurezza comune o sarà un disastro! Reiner Braun
Il compito della politica responsabile e del movimento per la pace è alimentare una analisi incessante della realtà, un’analisi che non sia superficiale e osservi le interrelazioni esistenti o possibili. Abbiamo bisogno di un’analisi di questo tipo, soprattutto oggi, che il mondo rischia di andare in pezzi a causa delle guerre, della crisi climatica e delle crescenti disuguaglianze sociali.
L’idea di base è che la sicurezza possa essere raggiunta solo insieme e mai contro gli altri.
Il rapporto “Palme 2” pubblicato a Stoccolma il 21 aprile 2022, esattamente 40 anni dopo il primo, è stato elaborato dall’International Peace Bureau (IPB), dalla Confederazione internazionale dei sindacati (ITUC) e dal Centro Internazionale Olof Palme, con il supporto di circa 30 esperti dei movimenti sociali, degli istituti di ricerca sulla pace, del movimento ambientalista e dei circoli diplomatici e politici.
La sicurezza deve essere raggiunta insieme e mai contro gli altri
Il rapporto, si basa sul concetto di sicurezza come diritto universale, come bene comune, come era stata definita per la prima volta dal Comitato Olof Palme nel 1982.
Alla deterrenza attraverso gli armamenti c’è una alternativa.
La deterrenza non è una politica di sicurezza e di pace, ma piuttosto scommette sulla distruzione e il fallimento dell’umanità. La guerra non può più essere la continuazione della politica con altri mezzi. Nell’era delle armi nucleari, la guerra è l’Ultima Irratio, la pace è l’Ultima Ratio come disse Willi Brandt nel suo discorso per il Premio Nobel del 1971.
Non ci può essere sicurezza comune senza disarmo nucleare, buona governance dell’AI, forti limitazioni alle armi convenzionali e una riduzione delle spese militari.
La cooperazione globale e regionale, il multilateralismo e lo Stato di diritto sono fondamentali per affrontare molte delle sfide di oggi. Dobbiamo lavorare per una nuova politica di distensione e per la prevenzione dei conflitti.
Un rafforzamento dell’OSCE e un nuovo processo di Helsinki 2 sono indispensabili, almeno per l’Europa.
Senza società civile il futuro non può essere realizzato
Una delle richieste del rapporto è l’immediata ripresa dei colloqui strategici di pace tra gli Stati Uniti e la Russia, e tra gli Stati Uniti e la Cina, finalizzati all’eliminazione definitiva di tutte le armi di distruzione di massa.
Una lezione importante degli ultimi decenni di guerre è che non ci sono vincitori anche se l’aggressore ha un successo militare. Anche Putin può offrire all’Ucraina solo stagnazione e distruzione.
Non c’è alternativa se non quella di portare le parti – con la moderazione dell’OSCE o dell’ONU – al tavolo dei negoziati.
L’unica soluzione è l’immediato cessate il fuoco e in una prospettiva più lunga di rafforzamento della fiducia e di costruzione della pace futura, il Rapporto Palme 2 formula anche il superamento e la dissoluzione di tutte le alleanze militari e la loro sostituzione con istituzioni di sicurezza e di pace inclusive.
In alternativa al disastro delle guerre il disarmo, i miliardi di spesa per gli armamanti investiti in un futuro di pace e di cooperazione. Indispensabile è l’azione della gente, di ogni individuo, ma soprattutto del movimento per la pace. Senza società civile, il futuro non può essere realizzato.
Il rapporto completo in inglese, tedesco, francese e spagnolo è disponibile all’indirizzo https://www.ipb.org/activities/common-security-report-2022/
Negli stessi giorni in cui è stato pubblicato il 53° Rapporto del Centro Delàs, la NATO si riuniva a Madrid per promuovere il suo Strategic Concept 2022.
Note: Il Report è stato realizzato dal Centre Delàs d’Estudis per la Pau, in collaborazione con l’International Peace Bureau (IPB) e la Global Campaign on Military Spending (GCOMS). Coordinamento di Gabriela Serra con il contributo di altri autori.
20/11/2022 https://www.peacelink.it
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