Le cose innominabili
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Girolamo De Michele racconta di sé: nato tra le diossine di una città del sud ora vivo tra le emissioni nocive di una città del centro nord in una nazione nel sud dell’Europa.
Può bastare.
Siamo a Taranto e e la parola d’ordine è: Ilva.
Cosa rappresenta l’Ilva per Taranto e viceversa?
Entriamo dentro il romanzo perché l’autore ci butta dentro a capofitto.
Il vento soffia sulla città, non è un vento che spazza gli odori molesti, che pulisce l’aria, è un vento che trascina dall’agglomerato industriale i veleni della fabbrica per entrare in tutti i quartieri, Il Borgo, Tamburi e via via tutti gli altri.
Sono polveri che s’infilano nelle cellule dei polmoni, nelle falde acquifere e arrivano sulle nostre tavole dai pesci e dai frutti di mare venduti sul mercato.
Emma Battaglia, Taranto, la porta nel sangue. In tutti i sensi. È la città che ama, colpita al cuore dalla grande industria. La porta nel sangue come patologa che si confronta con la grande polvere che colora ogni cosa, una polvere rossa sui tetti delle case, sulle tombe del cimitero dove riposano i morti, una polvere che si respira, si deposita nei polmoni, fa il suo nido.
Emma di mestiere fa l’insegnante in un liceo e nel tempo libero fa la maestra a quei ragazzini un po’ difficili per toglierli dalla strada e inserirli in un percorso diverso.
Davanti ai suoi occhi la Bestia, che offre una visuale del mondo contorta e con aspetti differenti sull’assetto della città, una città devastata e aperta al conflitto, che si trova a fronteggiare il problema dell’occupazione in relazione ai numerosi morti e malati di cancro che un ambiente come questo può generare se non si provvede, dove l’assenza della politica in soccorso di un ambiente devastato è ormai ai minimi termini.
E adesso il romanzo cala nella fiction senza lasciare dietro un aspetto sociale terribile e con la grande fabbrica che entra nel vivo del gioco.
Ecco l’omicidio di un commercialista e la guerra tra i clan del crimine a precipitare Taranto nel caos più totale.
La professoressa Emma Battaglia si trova coinvolta in prima persona dentro un meccanismo che non le appartiene, intercettando pettegolezzi, testimoni che hanno paura e giurano di non aver visto nulla e sbirri che dovrebbero investigare, mentre nella città dei veleni la polvere non soltanto contamina e porta alla morte, ma distorce, annebbia e confonde.
Una storia del sud che mostra una delle vergogne del paese intero, una lacuna tremenda di cui si parla ma non si ovvia, del profitto che vale più della vita, di una catastrofe ambientale con l’assenza della politica e delle istituzioni su questo enorme problema.
Cambiare tutto per non cambiare niente e lasciate le cose come stanno, gattopardi travestiti da nuovi padroni, sindacalisti, questurini e soprattutto politici corrotti.
Il male parallelo alla tragedia ambientale che sconvolge il paese è quel veleno che guasta la mente.
È un autore di culto Girolamo De Michele e affronta un poliziesco con una grandezza assoluta perché l’indagine è un gioco di specchi e arrivare alla verità non coincide con la giustizia.
E a Taranto succedono ancora cose innominabili, cose che non si possono raccontare. Succede che a Taranto si muore per la fabbrica e la fabbrica è una città nella città che tutto sovrasta e domina.
Succede che in questo ambiente, marcio, corrotto fino alle fondamenta non trova ostacoli al potere davanti ai rappresentanti dello stato che si girano dall’altra parte evitando di assicurare la giustizia.
Un delitto contro una città, una comunità che non lascia spazio e speranza per un futuro di Taranto.
Diamo per certo che ogni riferimento è puramente casuale non possiamo nascondere che l’autore abbia attinto dalla realtà.
E come dice Girolamo De Michele in una intervista a Rai 3 del 28 novembre 2019 “Taranto è un’allegoria dell’Italia perché l’Italia è un paese inquinato, è un paese dove tutte le contraddizioni del modello di sviluppo capitalistico si stanno raggrumando, Taranto è un luogo che non trova soluzioni dall’alto e al tempo stesso c’è una grande passione negli abitanti e questo fa ben sperare che ci sia la possibilità di un movimento di lotta dal basso perché non ci siano più cose innominabili.”
Giorgio Bona
Scrittore. Collaboratore redazione di Lavoro e Salute
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