Il Governo e i reati dei pubblici amministratori

Nella sua ormai evidente smania di “grande restaurazione”, degna di quella del 1815 a Vienna, l’attuale Governo si sta prodigando molto per eliminare le conseguenze di atti penalmente rilevanti a carico dei pubblici amministratori, riportando la situazione normativa molto indietro negli anni.

L’intento politico è evidente: in un Paese che sta avviandosi verso maggiori autonomie regionali (che inevitabilmente si riverbereranno anche sulle autonomie locali), bisogna dare maggiori spazi di manovra a Presidenti e Sindaci, affinché essi abbiano maggiormente le mani libere nell’espletamento del loro mandato.

Il ragionamento avrebbe una sua coerenza e logica in una situazione di generale correttezza dell’operato delle amministrazioni locali, ma nell’attuale situazione, in cui corruttele e conflitti di interesse imperversano, la cosa non può che destare preoccupazione.

Sì, perché porre mano alle cause di incandidabilità, e limitare ancor più l’applicabilità di reati tipici del pubblico amministratore, quali l’abuso d’ufficio o il traffico di influenze, in una situazione in cui la corruzione è diffusissima, non può che far pensare al ritorno, nell’ambito delle amministrazioni locali, del più chiaro costume borbonico.

Ma il Governo pensa che gli amministratori pubblici debbano sentirsi “tranquilli” per poter bene amministrare, e perciò sta tentando di ritornare ai tempi in cui parlare di garanzie del cittadino e di trasparenza amministrativa era pura utopia.

Il caso tipico è quello del reato di abuso d’ufficio (art. 323 Codice penale) che da lungo tempo, dopo la parentesi di “mani pulite” (che oggi nella narrazione della politica viene descritta come uno dei periodi più oscuri della nostra storia), è già stato più volte “ridimensionato”, e cioè nel 1997 e nel 2020.

Questo reato, che intende colpire il pubblico amministratore che, volontariamente, compie atti illegittimi per favorire o danneggiare qualcuno, è sintomatico di comportamenti che costituiscono, per lo più, atti più gravi quali la corruzione.

Tuttavia, perché se ne possa dimostrare la sussistenza, occorre dare prova della espressa e cosciente volontà del pubblico ufficiale o funzionario o amministratore, del compimento di un atto amministrativo invalido, e del rapporto di causalità tra l’atto amministrativo viziato e un vantaggio patrimoniale per sé o per altri, o di un danno ingiusto inflitto a terzi.

Poiché una buona parte degli atti amministrativi sono di natura valutativa e discrezionale, ne discende che è difficile dimostrare la mala fede del pubblico incaricato, il quale può sempre obiettare di avere ritenuto in buona fede di agire correttamente.

Altrettanto difficile è, spesso, il poter dimostrare il nesso causale tra atto illegittimo (quando si può dimostrare che tale è, perché spesso per fare ciò occorrono molti anni di giudizi amministrativi) e vantaggi o danni per qualcuno.

Ma, se ciò non bastasse, il legislatore, sempre attento a salvaguardare il ceto politico sia nazionale che locale, nel 2020 ha introdotto una restrizione, prescrivendo che solo gli atti dovuti (cioè quelli privi di discrezionalità) dei pubblici amministratori possono essere ritenuti illegittimi, mentre quelli che comportano valutazioni e discrezionalità ne sono esclusi, preservandosi sempre, a priori, la buona fede del pubblico funzionario.

Dunque, se già questo è lo strettissimo ambito di applicazione di quella disposizione del codice penale, che senso ha, come ha annunciato la Presidente del Consiglio (e anche il Ministro della Giustizia) restringerne ulteriormente il capo di applicazione? Si tratta, in realtà, di una dissimulata abrogazione e di una corrispondente dichiarazione di immunità per coloro che amministrano la cosa pubblica.

Se poi si considera che verrà ridimensionato anche il reato di “traffico di influenze illecite” e verranno ridotte le cause di ineleggibilità, ci si rende conto che si tratta di un disegno complessivo per sottrare la Pubblica Amministrazione al controllo di legalità.

Ove poi venissero vietate certe intercettazioni telefoniche e si rendesse non obbligatoria l’azione penale, come risulta dichiarata intenzione del Governo, il disegno si completa.

Ovviamente si tratta di ben precise scelte politiche da parte di un Governo formalmente in carica e legittimo.

Spetta dunque solo ai cittadini di buona volontà, e amanti della legalità costituzionale, valutare quelle scelte e trarne un giudizio politico coerente.

Pietro Garbarino

19/12/2022 https://www.labottegadelbarbieri.org

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