In Europa il razzismo non è più un tabù, e di nascosto si cancella il diritto d’asilo

Dalla strage di Melilla a tutti i confini d’Europa

Il 24 giugno 2022 nell’enclave spagnola in territorio marocchino. Quel giorno, nel tentativo di entrare a Melilla per chiedere la protezione internazionale, centinaia di persone sono rimaste intrappolate tra uno spiegamento di agenti marocchini e le recinzioni oltre le quali erano schierati gli agenti spagnoli. Sotto una pioggia di lacrimogeni, manganellate e proiettili di gomma, sono morte nella calca almeno 37 persone. Di altre settantasette non si hanno più notizie. Chi era riuscito a superare la linea del confine è stato respinto. Nessuna assistenza medica è stata fornita ai feriti, nonostante la presenza di ambulanze da entrambi i lati della frontiera. Massacro organizzato e condotto senza alcuna pietà.

E non era la prima volta. ‘Masacre del Tarajal’

Nella regione non era la prima volta che si verificava una simile strage (per le autorità spagnole e stampa locale ‘tragedia’ o , ‘incidente’). Il 6 febbraio 2014 circa duecento persone erano partite dalla costa marocchina per cercare di raggiungere a nuoto l’altra enclave spagnola nel nord del Marocco, Ceuta. La guardia civíl aveva risposto sparando lacrimogeni e proiettili di gomma e causando la morte di almeno 14 persone. Di tredici ne conosciamo il nome, ma i dispersi sono molti di più. È il “masacre del Tarajal”, dal nome di una spiaggia di Ceuta, commemorato ogni anno da una marcia per la dignità.

Il lavoro sporco

«Quel giorno del 2014 gli spagnoli hanno imparato una lezione: e così nel giugno scorso a Melilla non si sono sporcati le mani, lasciando che gli agenti marocchini entrassero in territorio spagnolo per riprendere chi era riuscito a passare il confine», segnala Internazionale. «Persone raccolte e gettate via come carcasse, persone con le mani legate dietro la schiena lasciate al sole a morire per le ferite riportate -denuncia Daniel Howden, fondatore di -. I vivi e i morti accatastati gli uni sugli altri». La foto di copertina.

Nessun morto in casa mia

Dal primo giorno il ministro dell’interno spagnolo Fernando Grande-Marlaska aveva ripetuto, «nessun morto sul suolo spagnolo». Mentiva, come hanno sostenuto i sopravvissuti e come hanno poi dimostrato inchieste e rapporti, l’ultimo dei quali pubblicato da Amnesty international il 13 dicembre, ma in parte aveva ragione. Il peggio della strage era stata lasciata ad altri.

Giornalismo di responsabilità

Daniel Howden definisce ‘Reconstructing the Melilla massacre’ un esempio di ‘Accountability journalism’, giornalismo di responsabilità «per far sì che qualcuno in Spagna debba rendere conto di quello che è successo». In Spagna in questo caso, ma spesso altrove, aggiungiamo noi, pensando alla polizia violenta lungo la rotta balcanica dei disperati, o in Grecia, o in Turchia, o ai confini tra Bielorussia e Polonia, dimenticandocene certamente molti altri. Adesso si torna a respingere senza valutare l’eventuale diritto di asilo anche tra Italia e Slovenia.

Frontiere europee

Melilla è una frontiera europea, le persone cercano una protezione nell’Ue, quindi questa è una vicenda europea, indipendentemente dal fatto che le persone siano morte o meno un metro oltre quella che di fatto è una linea arbitraria (nonché un retaggio del passato coloniale della Spagna, che rifiuta di restituire le due enclave al Marocco).

Se la migrazione diventa ‘attacco’

Dopo la crisi al confine tra Polonia e Bielorussia nel 2021, i discorsi di governi e istituzioni europee sui migranti si sono ulteriormente induriti attraverso la scelta deliberata di presentarli come “assalitori”, manipolati o meno da stati terzi. Dopo i trafficanti e le ong, ora i governi europei includono tra i nemici da combattere anche i profughi, e non lo fanno solo a parole. «Nella proposta di regolamento sulla fantomatica “’strumentalizzazione della migrazione’, elaborata dopo la crisi con la Bielorussia, la migrazione è stata associata – per la prima volta in un testo legislativo – al termine ‘attacco’».

Cancellare il diritto di asilo

Se approvato, il regolamento permetterebbe di derogare al diritto d’asilo in determinate circostanze e questo –denunciano oltre ottanta organizzazioni umanitarie-, «sarebbe il colpo di grazia per il sistema europeo comune di asilo». L’8 dicembre i ministri dell’interno europei riuniti a Bruxelles non sono riusciti a trovare un accordo sulla proposta, che la presidenza ceca sperava di far approvare entro la fine dell’anno. L’European council on refugees and exiles spera che la proposta sia ritirata, ma ora dipenderà della Svezia, prossimo stato a esercitare la presidenza del consiglio.

‘Attacco’, centri di detenzione clandestini, razzismo

«Mentre “attacco” si fa strada nel lessico istituzionale, c’è una parola che non si troverà mai nei discorsi e nei testi ufficiali sulle politiche migratorie e d’asilo europee». La parola che collega le uccisioni denunciate sopra, i centri di detenzione segreti in Bulgaria, Croazia e Ungheria denunciati da Lighthouse Reports (in Italia è uscita su Domani). È la parola razzismo. E l’impegno dall’Unione europea attraverso il suo Piano di azione contro il razzismo, lanciato nel 2020, si ferma dove cominciano le sue politiche migratorie e d’asilo.

Eredità coloniale europea

«Se le sue radici affondano nel passato coloniale europeo, il razzismo che oggi si esprime nella violenza con cui l’Ue tratta persone originarie di alcuni paesi va inquadrato nel suo contesto storico». Recrudescenza del razzismo in Europa dopo la messa al bando quasi unanime del razzismo “vecchio stile e diretto” degli anni ottanta. «La crisi dei rifugiati del 2015, ha accelerato questa controreazione e oggi, in un contesto di crisi sociale ed economica, una parte sempre più ampia della popolazione europea si riconosce nei programmi populisti della destra e dell’estrema destra, in cui s’intersecano razzismo, autoritarismo e nazionalismo ultraconservatore».

Diritto d’asilo a pezzi

Eppure, diversamente da quanto succede negli Stati Uniti, ‘in Europa parlare di razza e di uguaglianza spesso è considerato inopportuno’, osserva Daniel Howden. «A molti europei non piace ammetterlo, ma se a Melilla le persone sono picchiate e uccisee le loro storie ricevono così poca attenzione è per via della loro provenienza e del colore della loro pelle». Se il diritto d’asilo cade a pezzi e il rispetto dei diritti fondamentali è diventato facoltativo agli occhi di gran parte dei governi europei, e ora che i profughi hanno la pelle più scura considerano superato un quadro giuridico nato per proteggere dei profughi bianchi nel secondo dopoguerra.

La ministra maiala delle Fiandre

Il 14 dicembre di quest’anno, in un’intervista al settimanale belga Knack, la ministra dell’ambiente delle Fiandre, Zuhal Demir, ha messo sullo stesso piano richiedenti asilo e suini, dichiarando che nelle Fiandre non c’è posto né per i primi né per i secondi. Da mesi il suo partito, la formazione nazionalista N-Va, si contende il primo posto nei sondaggi con il partito di estrema Vlaams Belang. Insieme raccolgono quasi il 48 per cento delle preferenze nelle Fiandre. Uno dei tanti possibili esempi.

22/12/2022 https://www.remocontro.it

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