La «rotta balcanica» che passa per il nord-est
L’autunno sul confine nord-orientale è stato intenso; per l’entità dei flussi, e per le prime, preoccupanti conseguenze del cambio di Governo. Stando a un report di Eleonora Camilli pubblicato dal Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS), nel 2022 la via dei Balcani ha registrato il maggio numero di attraversamenti, nonostante “rimanga invisibile nel dibattito pubblico”; un dato di Frontex rivela che nel 2022 sono stati 128 mila gli attraversamenti lungo la rotta balcanica, contro gli 85mila del Mediterraneo centrale.
Lungo tutto il confine, l’entità dei flussi registrata appare inusuale se si pensa agli anni passati quando, con il sopraggiungere dei primi freddi, il flusso diminuiva radicalmente, fino a quasi silenziarsi nelle settimane invernali più rigide: i migranti della rotta balcanica che vengono a trovarsi tra le Serbia, la Bosnia e la Croazia durante i mesi autunnali, con il sopraggiungere dell’inverno tendono a fermarsi nei campi profughi predisposti sui confini esterni – specie sul confine nord-occidentale della Bosnia, tra Bihać e Velika Kaldusa, e su quello serbo-croato – e attendono l’arrivo della stagione primaverile per continuare a muovere verso i paesi del Nord Europa.
Quest’anno, sin dalla tarda estate si è registrato un numero di arrivi maggiore rispetto agli scorsi anni; a Trieste nei primi dieci mesi del 2022, gli arrivi ai confini esterni dell’Unione Europea sono stati circa 275 mila, con un aumento del 73% rispetto ai primi dieci mesi dell’anno precedente.
La rotta più attiva rimane quella dei Balcani Occidentali, dove si sono registrati 128.438 attraversamenti, un aumento del 168% (dato di Frontex); ad agosto nella provincia di Trieste sono stati registrati 1.700 ingressi – e già questo numero è rilevante, dal momento che negli anni scorsi non si superava il migliaio di persone. Ma i dati più interessanti vengono dai mesi autunnali, e sono anche i piccoli paesi di confine a presentarli: durante il mese di ottobre, nell’area dell’amministrazione della polizia di Capodistria, sul confine italo-sloveno, le aree di Rakitovec, Podgorje e Sočerga sono state le più battute dai migranti.
Da inizio anno fino al 24 ottobre, i poliziotti di questa amministrazione si sono occupati di 11.679 persone migranti (7.812 a fine settembre). La fotografia della realtà data da questi dati si riflette quasi come uno specchio sui numeri registrati su territorio italiano: solo nei primi 18 giorni di ottobre, nella provincia di Trieste sono stati registrati 1.166 arrivi; a novembre, a Trieste si è registrato un arrivo di oltre cento migranti al giorno per vari giorni consecutivi.
Queste cifre, oltretutto, non danno la reale misura del fenomeno, dal momento che rappresentano soltanto il numero di migranti effettivamente tracciati, identificati e registrati in Friuli-Venezia Giulia; dietro questi dati si nasconde l’universo sommerso dei migranti che, non intendendo fermarsi in Italia, riescono a eludere i meccanismi di identificazione messi in atto alle frontiere e a raggiungere i paesi del nord Europa senza farsi intercettare sul suolo italiano.
Giornalisti, volontari e attivisti, dalla Bosnia al Friuli-Venezia Giulia, riferiscono che le ragioni di questo incremento dei flussi viene da lontano: se negli scorsi anni il confine croato-bosniaco era “confine di fuoco”, duramente presidiato dalla polizia, e i migranti diretti verso i nostri paesi tentavano anche nove o dieci volte prima di riuscire ad attraversarlo, quest’anno la Croazia ha cambiato le sue politiche confinarie, limitandosi a consegnare un “pass”: i migranti hanno sette giorni di tempo per lasciare il paese. Pertanto, anche l’attraversamento del confine croato-bosniaco sembra essere molto meno duro degli anni passati – una conseguenza di questo cambio di passo è anche il numero di presenze nel cantone bosniaco di Una-Sana, nettamente inferiore rispetto agli scorsi anni, quando il confine nord-occidentale della Bosnia costituiva un vero e proprio collo di bottiglia, su cui i migranti si accalcavano nel tentativo di varcare la prima frontiera con l’Unione Europea.
E il sistema di accoglienza?
Di fronte al flusso di migranti di questo autunno, il sistema di accoglienza ha dimostrato carenze strutturali, frutto di una precise scelte politiche, che hanno finito per assottigliare sempre di più il sistema di prima ricezione delle persone migranti e con il delegare la responsabilità dell’accoglienza e del supporto legale all’associazionismo volontario.
Anche se Trieste e i paesini carsici di confine risentono in maniera più diretta del flusso migratorio, l’emergenza si riverbera anche in Comuni meno prossimi alla frontiera, e poi in tutta la regione. I migranti accolti nell’ex Caserma Cavarzerani di Udine, centro di prima accoglienza con 320 posti disponibili, rasentavano le 900 unità a metà settembre, quando la struttura è stata costretta a chiudere i battenti a nuovi richiedenti asilo. Durante l’autunno, aldilà del caso Trieste, la vera emergenza in Friuli è stata registrata tra Gorizia e Gradisca d’Isonzo, dove si dirigono i migranti che intendono fermarsi e fare richiesta di asilo presso il CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo).
Già da luglio 2022, i trasferimenti dalle strutture di prima accoglienza di Trieste, Udine e Gorizia verso il resto del territorio nazionale – operazione fisiologica per una terra di confine – sono stati quasi del tutto interrotti, una scelta che ha portato al sovraffollamento dei grandi casermoni dell’accoglienza concentrazionaria. Il CARA di Gradisca ad agosto era saturo. La situazione, seppur critica già a fine estate, è diventata però emergenziale da novembre, quando il sopraggiungere del freddo ha scoperchiato le conseguenze del sovraffollamento delle strutture di accoglienza sul territorio, con migranti costretti a dormire all’addiaccio lungo l’Isonzo e a soffrire temperature sempre più rigide. Da metà novembre i migranti rimasti fuori dal CARA dormono nell’area circostante, montando tende e gazebi provvisori.
Chi colma il vuoto delle istituzioni?
Di fronte all’emergenza invernale, gruppi di attivisti e volontari del territorio si sono mobilitati. A Trieste, Linea d’Ombra continua a presidiare la piazza della stazione ferroviaria, appoggiandosi al Consorzio Italiano di Solidarietà per il supporto legale dei richiedenti asilo. Insieme a loro, ci sono gli operatori di un centro diurno aperto e sostenuto con i fondi della Chiesa Valdese.
Ad Udine restano attivi la Caritas e i volontari di Ospiti in Arrivo, attivi dal 2014 e impegnati fin dalla nascita non soltanto nel garantire le forme più immediate dell’accoglienza (un pasto caldo, vestiti puliti e scarpe nuove), ma anche forme di supporto legale: i migranti incontrati in strada, spesso giunti in Italia da pochi giorni e indirizzati da amici o dalle forze dell’ordine presso le autorità competenti a esaminare la loro condizione giuridica, mostrano agli attivisti documenti di vario tipo (documenti personali, note di appuntamenti rilasciati dalla Prefettura, richieste di permessi di soggiorno), e chiedono loro quali passaggi fare, dove recarsi e con quali richieste – su questo confine, sono le équipe di strada i veri ricettacoli di confusione e spaesamento dei migranti non che non riescono a inserirsi nei canali istituzionali dell’accoglienza e del supporto legale.
Proprio Francesco Rodaro di Ospiti in arrivo racconta che nei territori di Gradisca e Gorizia, apparentemente i due Comuni del Friuli più interessati da transito e sosta dei migranti in questi ultimi due mesi, vecchi gruppi di volontari sono tornati in strada, ricostituendosi dopo mesi o anni in cui le contingenze non avevano reso necessari i servizi di bassa soglia; anche a Udine, a novembre Ospiti in arrivo ha ricomposto dopo anni l’équipe di strada, che si affianca agli insegnanti volontari di italiano nella scuola per stranieri e ai volontari impegnati sul fronte legale.
A Gradisca collaborano il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR) e la Caritas. Presso la canonica della chiesa di San Valeriano, proprio la Caritas a novembre ha istituito un dormitorio provvisorio con 30 posti letto per tentare di dare accoglienza ai richiedenti asilo rimasti fuori dal CARA, con l’intenzione di stabilizzarlo nel tempo – un servizio di fondamentale importanza per strappare i ragazzi appena arrivati al freddo e all’umidità della notte, ma insufficiente di fronte alle oltre cinquanta persone che in quelle settimane erano in attesa di una sistemazione. La Caritas qui ha dunque chiamato a raccolta nuovi volontari per mantenere attivo il servizio, tra l’accoglienza, la preparazione e la distribuzione della colazione, la gestione delle docce e l’assistenza notturna. Nonostante il dormitorio avesse 30 posti letto, a fine novembre è arrivato a ospitare fino a 40 persone ed è stato perciò ampliato a metà dicembre.
A Gorizia, da fine ottobre i volontari “Insieme con Voi” si ritrovano alla stazione di Gorizia Centrale in tarda serata per supportare i migranti in transito con generi alimentari, scarpe, giubbotti, coperte per le lunghe notti all’aperto. «E’ il primo anno che registriamo solo transitanti», racconta Tamara Lauri dell’associazione Insieme con Voi, «di solito, abbiamo sempre incontrato persone che intendevano fermarsi e fare richiesta di asilo in regione».
«A quanto pare», spiega Francesco Rodaro di Ospiti in Arrivo, «il passaparola tra di loro permette una veloce distribuzione dei migranti tra Gradisca e Gorizia. A Gradisca affluiscono i richiedenti asilo, perché sanno che c’è il CARA; a Gorizia, chi intende proseguire il viaggio».
Le associazioni di attivisti e volontari di Gradisca, Gorizia e di Udine cercano dunque di colmare il vuoto istituzionale dell’accoglienza, intessendo una rete di aiuti che non resta confinata ai singoli comuni, ma diventa un travaso continuo di energie e di risorse verso le aree in cui c’è più bisogno di supporto in strada. Da varie settimane ormai vengono distribuiti pasti caldi in quella sorta di “camp improvvisato” creatosi a Gradisca, in cui i volontari giungono anche da fuori Gradisca. «Molti di questi migranti», commenta Ospiti in Arrivo «sarebbero nella posizione di fare richiesta di asilo, ma non vi è un luogo preposto per questa procedura». Per una situazione emergenziale come questa, anche associazioni e reti di avvocati come ASGI sono state mobilitate per il supporto legale di queste persone.
«Non c’è una vera e propria rete di volontari», racconta ancora Francesco. «E questo è forse proprio il punto centrale di quanto sta succedendo. L’emergenza ha rimesso insieme una rete di veri volontari, persone che scendono in strada per dare supporto come possono, senza inquadramenti o vincoli, ma per la pura volontà di essere lì».
La ricomposizione di reti volontaristiche in Friuli dà la misura di due fatti. In primis, rivela dei bisogni: gli arrivi in regione non si sono arrestati dopo i mesi estivi, e le temperature sempre più basse hanno scatenato un’emergenza; inoltre, le risorse messe a disposizione dalle istituzioni per garantire forme temporanee o durature di accoglienza alle persone migranti sono carenti, e a colmare questi vuoti subentra l’associazionismo volontario.
Niente di nuovo sul fronte orientale
Il 6 dicembre il sottosegretario agli Interni Emanuele Prisco ha dichiarato che il Governo riattiverà la procedura delle “riammissioni informali” sul confine italo-sloveno, procedura frutto di un accordo bilaterale stipulato tra Italia e Slovenia nel 1996 e mai ratificato dal Parlamento Italiano, pertanto “nullo” dal punto di vista giuridico, eppure lungamente sfruttato nel 2020 per giustificare il sistematico respingimento dei migranti su questo confine da parte delle autorità italiane. Con un ricorso presentato da due avvocate di ASGI, il 18 gennaio 2021 le “riammissioni informali” erano state dichiarate illegittime e da quel momento non si erano più verificate.
Organizzazioni e Onlus del Friuli-Venezia Giulia hanno espresso preoccupazione; ICS e e la rete RiVolti ai Balcani definiscono questa scelta «una chiara violazione del diritto in materia di asilo», mentre OIKOS Onlus, che di accoglienza e inclusione si occupa da anni nell’udinese, ha dichiarato che «In questo modo, con un accordo non valido sul piano giuridico, l’Italia si rende complice di una dinamica in aperta violazione della Costituzione italiana, del principio di non-refoulement stabilito nell’articolo 33 della Convenzione di Ginevra e di numerosi principi sanciti dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea in materia di immigrazione e di asilo».
Di fronte all’incremento dei flussi su questo confine divenuto così caldo per il fenomeno migratorio, il nuovo governo ha subito dato i primi segnali di un cambio di rotta radicale che non ha giustificazioni sul piano giuridico. Un segno inequivocabile che il tema dei migranti e del riconoscimento dei loro diritti su questo confine e in tutta Italia continuerà a ricadere dentro le solite narrazioni; forme alternative di operato nei confronti delle persone migranti provengono dalle reti che agiscono al di fuori della via istituzionale, e che silenziosamente si adoperano per restituire dignità alle persone, a partire dall’incontro con i loro corpi, per le strade delle città.
Rossella Marvulli
23/12/2022 https://www.meltingpot.org/
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