Appunti su una questione cruciale: la figura del medico di Medicina generale nel SSN

IN VERSIONE INTERATTIVA http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-dicembre-2022/

SITO ARCHIVIO IN PDF http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-dicembre-2022/

E’ bene precisare che quelle che seguiranno sono soltanto alcune note che traggono spunto dall’articolata riflessione di Maurizio Bardi su Lavoro e Salute, che ho letto con grande interesse e alla quale rinvio per un inquadramento generale del problema cruciale del ruolo e delle caratteristiche che dovrebbe avere la figura del medico di medicina generale in un Sistema sanitario Universalistico liberato dai condizionamenti e dalle storture (non casuali) che rischiano di decretarne il fallimento, a tutto vantaggio di un Sistema di tipo privatistico. La mia esperienza professionale, che ha reso possibile la sperimentazione di pressoché tutti i ruoli resi disponibili dalla Sanità pubblica, da quello di medico di medicina generale a quello di Direttore Sanitario Ospedaliero e di Distretto, passando attraverso una lunga e formativa esperienza di medico Ospedaliero, di specialista ambulatoriale (internista, geriatra) e di dirigente medico prestato alla scommessa delle Cure domiciliari, è alla base di quanto proverò a sottoporvi.

Quanto sopra, naturalmente, al di fuori di qualsiasi ozioso biografismo, volendosi, casomai, porre in evidenza la complessità di un arcipelago di funzioni e competenze che è indispensabile conoscere bene per dire cose fornite di senso in questa materia. Precisazione non superflua se si considera la parzialità di visioni figlie di un punto di vista puramente settoriale che non consideri l’intero ma solo la parte. Detto questo, corro volentieri il rischio di stupire, affermando che la questione che stiamo affrontando è eminentemente culturale, ancora prima che economica e organizzativa. Dividerò quindi il mio ragionamento in due parti. Nella prima affronterò la questione da un punto di vista teorico generale, nella seconda mi occuperò degli aspetti organizzativi.

Della divisione esasperata del sapere e del fare

La materia è complessa e meriterebbe un intero saggio. Ma, viste le caratteristiche di questi appunti, mi intratterrò sull’essenziale, che può risolversi nella constatazione di come, negli ultimi decenni, si sia venuta affermando una divisione esasperata del fare e del sapere. Cartesio ha vinto mille volte su Spinoza. Il suo Discorso sul metodo è diventato il libretto delle istruzioni in tutti gli ambiti dello scibile e della sua traduzione in pratiche operative. Un percorso “al contrario” rispetto allo studio e alla considerazione dell’ ”intero”, tanto cari a Hegel. E così, in Medicina e in Sanità, l’iper-specialismo si è sostituito a quella visione integrale e unitaria che era propria di un clinico filosofo come Augusto Murri. Si è venuta imponendo la dittatura culturale e pratica di un nuovo machiavellico principe: lo specialista.

Questo fenomeno non solo ha oscurato il ruolo del medico di Medicina generale, ma persino quello dello specialista in Medicina interna, che fino a pochi decenni or sono veniva considerato un riferimento imprescindibile e indiscusso. Sarebbe lungo indagare sulle ragioni di questo fenomeno. In questa sede basterà dire che uno dei motivi principali che hanno contribuito alla definitiva affermazione di questo nuovo paradigma sono di natura economica. Infatti, la cancellazione di un approccio generalistico adeguato e il ricorso, pressoché in ogni caso minimamente significativo, a specialisti, spesso scelti a casaccio, ha moltiplicato a dismisura il numero e la complessità di consulenze ed esami da effettuare per arrivare a una diagnosi corretta, producendo una lievitazione pazzesca dei costi, del tutto funzionale alla voracità dell’accumulazione capitalistica. E’ proprio per questo che tale pratica è venuta darwinianamente imponendosi.

Così facendo – fra le altre cose – si è disatteso il più grande degli insegnamenti della dottrina medica classica che può riassumersi nell’aforisma: “non esistono malattie, esistono malati”. Lo specialista per definizione non si occupa di un malato: nel migliore dei casi si interessa di un organo o di un insieme di organi, se non addirittura della singola funzione di un organo. Quanto finora affermato – come è intuitivo – non intende banalizzare o sottovalutare l’importanza degli specialisti, né tantomeno della tecnologia (diagnostica per immagini, laboratorio ecc.), quando usate come mezzi e non come fini. Gli specialisti possono contribuire in modo sostanziale alla risoluzione di casi clinici complessi. Ma la loro opera deve essere non sostitutiva ma integrativa rispetto a quella del medico generalista e dell’internista (o del geriatra), i quali, essendo gli unici abilitati ad avere una visione integrale del paziente, della sua storia e del suo inserimento sociale, possono in molti casi arrivare alla diagnosi direttamente e con costi minori, oppure – ove sia indispensabile – possono procedere alla richiesta di consulenze specialistiche sulla base di un ragionamento clinico ponderato e personalizzato, non frutto, cioè, dell’influenza del marketing applicato alla sanità. Comunque tutto questo potranno e dovranno fare tenendo presente una verità elementare: i loro pazienti non sono un insieme di organi, ma creature complesse uniche, irripetibili e socialmente (storicamente) connotate.

Naturalmente perché questo accada il medico di medicina generale deve godere, meritandola, della stima del paziente e della collettività. Deve essere consapevole della centralità del proprio ruolo. Deve essere colto e aggiornato, inverare gli esiti di una formazione universitaria di tipo nuovo, capace di riconsiderare la centralità del medico di medicina generale in un’ottica umanistica e sensibile ai problemi della sostenibilità di un sistema universalistico che, per sopravvivere ed affermarsi, deve emanciparsi dalle follie dell’iper-specialismo e dell’iper-prescrizione di esami diagnostici e terapie farmacologiche. Naturalmente chi scrive è perfettamente consapevole delle mutazioni regressive che tanto hanno mortificato l’attività del medico di medicina generale nel corso degli ultimi decenni.

Del processo di burocratizzazione che ha conosciuto una delle professioni – insieme a quella degli insegnanti – più fondative e nobili per la società.

Non vi sono dubbi che una modificazione del paradigma che si è venuto affermando richiederebbe una vera e propria rivoluzione copernicana, capace di produrre l’integrale rovesciamento di un sistema (tolemaico) di valori e competenze che ha relegato ai margini un’intera categoria di professionisti. Augusto Murri soleva ripetere: “Nullus medicus nisi philosophus” (nessuno può essere medico senza essere filosofo). Lo deve essere, evidentemente, non in senso scolastico ma inverando un principio totalmente evaporato: quello che annette alla medicina una complessità irriducibile alla banale applicazione di semplici protocolli e alla disponibilità, invece, a valutare il mondo della sofferenza sociale e individuale e quello della fragilità come un “insieme”, per affrontare il quale non si può fare a meno di un bagaglio di conoscenze integrate e di sensibilità che deve essere formato e coltivato tutta la vita.

Quanto questo richieda un coinvolgimento e una trasformazione dei processi di formazione universitaria sarebbe degno di una valutazione a parte, profonda e ancora tutta non solo da fare ma da concepire. In un tempo in cui è già una fortuna se si prendono in considerazione le esigenze di finanziamento della Sanità pubblica e le problematiche delle liste di attesa o le follie che derivano dalla congestione dei pronto-soccorso o dalla scarsità di posti letto disponibili. Senza, purtroppo, che l’esperienza tragica – direi biblica- della pandemia sembri averci insegnato niente.

Concludo queste brevi e provocatorie considerazioni sottolineando la consapevolezza che, all’interno della prospettiva delineata, i processi di rettifica nella formazione dei medici di medicina generale richiederebbero anni, oltre che una determinazione senza precedenti, nel produrre un sostanziale cambiamento di orizzonte, che ritrovi nella ri-considerazione del ruolo del medico di medicina generale il fulcro di una nuova riforma sanitaria. E’ chiaro che, nell’attesa che questo possa verificarsi, anche nel migliore dei casi, dovrebbero essere valutate delle soluzioni-ponte.

Aspetti normativi e organizzativi

E’ dalle premesse suesposte che si ricavano quegli elementi che vanno emendati per ridisegnare ruolo e funzioni del medico di medicina generale. In primo luogo l’attenzione va posta al carattere “ambiguo” dell’identità e del ruolo del medico di medicina generale nell’attuale Ordinamento. Ci troviamo, infatti, dinanzi a un ossimoro vivente: quello che rende possibile l’esistenza di un libero professionista pagato dallo Stato. Il medico di libera scelta infatti incarna il paradosso di un professionista, praticamente libero da vincoli gerarchici, che può agire da solo o con minimi controlli da parte di un Distretto sanitario non attrezzato a fornire strumenti di coordinamento e di verifica, liberamente scelto da un’utenza in tutto e per tutto simile a una clientela privata la quale gode, però, di prestazioni pagate dal Pubblico.

L’utente sceglie il proprio medico di famiglia dalle liste messe a disposizione dagli uffici del Distretto sanitario. Ma il più delle volte non conosce i professionisti presenti nelle liste e, comunque, il suo interesse prevalente sarà ricevere quelle prestazioni che lui ritiene rientrino fra i propri diritti, a partire da due cose fondamentali: la prescrizione di esami e di farmaci, la compilazione di certificati in caso di malattia.

Purtroppo, per come è ridotta la reputazione di questa tipologia di professionisti (lo dico con sincero rammarico), la competenza clinica è ritenuta una variabile secondaria. Nel senso comune vincente, infatti, se si profila un problema serio sarà lo specialista (privato o meno) che dovrà intervenire (le ragioni di questo incredibilmente diffuso sentire sono sommariamente elencate nella prima parte di questa disamina). Tradotto in termini pratici e in un’ottica certamente non assoluta ma sicuramente tendenziale: il medico di libera scelta preferito sarà quello che prescrive farmaci magari consigliati da altri, se non addirittura dal paziente stesso auto-formatosi su internet (sic!!!) e redige certificati che non rendano problematici i rapporti con il datore di lavoro.

Naturalmente, la consapevolezza di questo perverso metro di giudizio rappresenta a sua volta un pesante condizionamento per il medico di famiglia, il quale specie se non massimalista, esiterà fortemente a negare una prescrizione o un certificato a un paziente che può, senza difficoltà alcuna, sostituirlo con un altro, appunto, medico “di libera scelta”.

Questo tipo di rapporto in buona sostanza risulta essere manicomiale perché incardina la reputazione del medico a qualità e valori che nulla hanno a che vedere con la professionalità del medico stesso. Secondo questa scala di valori, un ottimo medico che sia attento all’interazione fra farmaci e giudichi con cauta circospezione l’auto-prescrizione di essi, risulta meno stimato di un medico mediocre o clinicamente latitante che, però, si mostri zelantemente disponibile di fronte a tutte le richieste del proprio assistito. Ecco, se pensate che gran parte degli equilibri della Medicina territoriale sono fondati su questo tipo di rapporto, avrete almeno un’idea di come siamo messi. Delle prescrizioni immotivate e nocive, degli esami inutili, della valanga di soldi spesi inutilmente. Si ribadisce ad abundantiam che quella descritta è una realtà statistica e tendenziale che non esclude affatto circostanze e personaggi virtuosi e in controtendenza. Rimane il fatto che la pessima qualità di questo rapporto ha avuto la sua conferma più clamorosa durante la pandemia da Covid. E su questo non sembra utile soffermarci per brevità.

Sarà utile invece, da queste premesse, trarre indicazioni su come riemergere da questa palude, provando, se non a bonificare, almeno a introdurre degli elementi di razionalità nel panorama descritto. E allora, se parliamo di razionalità, non si vede perché i medici ospedalieri debbano essere dei dipendenti e i medici di medicina generale no. Si tratta di un’evidente aberrazione, visto che in entrambi i casi essi si occupano degli stessi utenti che, pagando le tasse, finanziano e usufruiscono del medesimo Sistema sanitario. In un caso in regime ambulatoriale e in un altro in ambito ospedaliero. Questa semplice constatazione rappresenta la più solida delle basi su cui fondare una proposta che non è affatto scontato che piaccia a molti dei medici di medicina generale e a quei sindacati, a vocazione corporativa, che ne tutelano gli interessi.

E qui tocchiamo un altro punto delicatissimo. Lo stato di cose sopra descritto, infatti, ha selezionato interessi e posture di significato etico dubbio che producono, a fronte delle assurdità logiche sopra evidenziate, medici di famiglia che difendono lo stato di cose presenti, pur lamentando (giustamente) carichi di lavoro burocratico abnorme (nella realtà ridimensionabili nella medicina di gruppo in presenza di collaboratrici/collaboratori che abbiano dimestichezza con i sistemi informatici). Insomma, detto in poche parole: non è detto che le prime vittime di questo sistema perverso (i medici) siano consapevoli della miseria del proprio status (non economica ma professionale) e mostrino interesse a un cambiamento profondo di questo assurdo ordinamento.

Resta il fatto che se non si procederà in questa direzione, è molto probabile che la sanità pubblica imploda e i pronto-soccorso esplodano. La pars construens di questo ragionamento è presto detta, Si tratta di prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di trasformare i medici di Medicina generale in dipendenti del tutto assimilabili ai medici ospedalieri. Con gli stessi riconoscimenti e lo stesso trattamento. Anzi, con la possibilità di abbattere le barriere che oggi separano la medicina territoriale da quella ospedaliera. Le stesse che fanno sì che tanta considerazione venga data agli ospedalieri (specialisti) e tanto poca ne venga riservata ai medici di base (sia detto con chiarezza: anche per loro responsabilità a volte). Uno stesso ruolo, un medesimo trattamento, un ‘insieme di doveri ma anche di diritti che configurino il profilo di un medico unico al servizio del Sistema sanitario nazionale. Questa figura potrebbe persino transitare da una collocazione all’altra e cioè, ad esempio, passare dall’ambulatorio alla corsia e viceversa a seconda delle esigenze del territorio e del medico stesso. E’intuitivo capire
come gli standard di professionalità migliorerebbero e come l’elasticità delle risposte alle esigenze della Sanità pubblica risulterebbe tonificata.

Nel frattempo il medico del territorio risulterebbe liberato dai “ricatti” dei suoi assistiti, disposti a cambiare scelta se il loro medico di base non è disponibile a trascrivere la prognosi richiesta o esita a prescrivere un farmaco consigliato dalla vicina di casa. Il Distretto sanitario, all’interno di questa nuova organizzazione, potrebbe garantire una funzione di raccordo preziosissima e, fornito degli strumenti e delle figure competenti, di controllo, verifica e coordinamento dell’attività ambulatoriale e dei rapporti con l’Ospedale.

In questo contesto, lo strumento preziosissimo delle Cure domiciliare potrebbe riprendere fiato e troverebbe un freno il fenomeno spaventoso dell’istituzionalizzazione di pazienti geriatrici assistibili a casa propria.
Il tutto in un ‘ottica di razionalizzazione che restituirebbe ai medici di medicina generale la professionalità perduta, comporterebbe dei risparmi enormi, decongestionerebbe gli ospedali e i pronto-soccorso e contribuirebbe a salvare la Sanità pubblica. Che a ispirare questa visione vi siano convincimenti che antagonizzano le derive iperliberiste, che hanno mostrato il loro vero catastrofico volto durante la pandemia, chi scrive non ha il minimo interesse a negare. Non senza la precisazione finale che quelle espresse sono considerazioni frutto di intuizioni che necessitano di uno studio approfondito e di una verifica di fattibilità multidisciplinare. E’ proprio di intuizioni innovative, però, che abbiamo bisogno e non di stanche tiritere sempre uguali a se stesse, fin troppo attente a non intaccare interessi consolidati. Qui si tratta di salvare il SSN: insomma la questione è cruciale.

Roberto Gramiccia

Medico internista, geriatra
Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute

IN VERSIONE INTERATTIVA http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-dicembre-2022/

SITO ARCHIVIO IN PDF http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-dicembre-2022/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *