Tra apocalissi e convergenze, quale futuro per la lotta ecologista?
L’azione che il 2 gennaio 2023 alcun3 attivist3 di Ultima Generazione hanno compiuto al Senato ha avuto senz’altro il merito di permettere all’emergenza climatica di tornare a irrompere nella scena politica e mediatica del nostro paese.
Eppure il tema dovrebbe essere quasi il nostro quotidiano, visto la drammaticità di quanto sta affrontando il pianeta.
Un anno fa, in questo periodo, si rideva e si discuteva a lungo su Don’t Look up, appena uscito nei cinema. A 12 mesi di distanza alcuni aspetti della realtà descritta in quel film sembrano ormai il nostro presente.
Nell’azione al Senato e nel dibattito dei giorni successivi, si intrecciano vari aspetti che legano assieme il ruolo dei media, la politica, le pratiche di lotta e lo scenario dei movimenti, proviamo a leggerne alcuni tratti.
I MEDIA
Forse è banale registrare quanto i media mainstream esercitino il ruolo di cassa di risonanza delle posizioni del potere: lo hanno sempre fatto. In questa occasione però ha forse destato scalpore il rifiuto dichiarato del TG1 di diffondere il video dell’azione di Ultima Generazione in quanto un atto a loro dire deprecabile. Tuttavia l’atteggiamento del sistema mediatico non è solo avverso alle istanze dei movimenti – un tratto a cui siamo ampiamente abituat3 – si tratta della scelta consapevole di venir meno a una funzione, almeno teorica, del sistema informativo: quella di comunicare correttamente rispetto ai gravi rischi a cui verrà esposta in un breve lasso di tempo la popolazione.
L’emergenza climatica non è mai quasi un tema affrontato seriamente, ma sempre aggirato o banalizzato. Il termine in sé non viene neppure quasi mai nominato ma sempre aggirato con perifrasi ed eufemismi (maltempo, ondata di calore, bomba d’acqua etc.). Quest’estate ci raccontavano quanto fosse torrida e raccomandavano di bere molta acqua. Ora alternano i commenti sereni e pacati sull’inverno mite all’impegno a difesa senza se e senza ma dell’industria devastante dello sci invernale.
foto da pagina facebook Ultima Generazione
Viviamo in un paese noto per la sudditanza dei media nei confronti della nostra multinazionale del fossile più inquinante, Eni. Le responsabilità dell’azienda nella produzione di gas climalteranti è un tema quasi tabù nel mainstream, mentre giusto in questi giorni, uno scandalo di portata significativa scoperto dalla ong Recommon, ossia il fatto che il gas di Eni venga venduto a Putin per fini militari, non è riuscito a uscire da una ristretta cerchia informativa.
Agire in un tale contesto è complesso. Le numerose azioni di XR alle varie sedi Rai sono state prive di risultati concreti, i cortei oceanici di Fridays For Future sono stati dimenticati in poco tempo, le azioni di UG spesso ricoperte di critiche e fortemente stigmatizzate. Rompere il cerchio e il silenzio appare sempre più arduo ma altrettanto necessario, magari immaginandosi nuove alleanze e nuovi strumenti.
PARTITI E ISTITUZIONI
Il governo Meloni ha risolto la crisi climatica a monte: ne ha ignorato l’esistenza. Non c’è un solo provvedimento nella Legge Finanziaria in ottica di difesa del clima, il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin è evidentemente di tale ignoranza in materia che ha sostanzialmente disertato gli incontri internazionali (sia la Cop sul clima di Sharm el Sheik che la Cop sulla biodiversità a Montréal) e non è mai riuscito a proporre una agenda sul clima. Dentro il ministero, intanto continua a lavorare come consulente Cingolani, ed è noto di chi faccia gli interessi quest’ultimo.
A riprova del suo spregio verso la tutela dell’ecosistema oltre che del clima, il governo Meloni ha deciso di dare il via libera a nuove perforazioni a finalità estrattive nel mare Adriatico anche a nove miglia dalla costa.
La scelta è gravissima ed in forte controtendenza rispetto alla maggioranza dei paesi UE. Ufficialmente è stata presa per rispondere alla crisi del gas, nella realtà per fare l’interesse di poche imprese visto che è risaputo che il quantitativo di metano presente nel nostro mare è davvero esiguo.
Vale la pena ricordare che viviamo in un paese estremamente a rischio calamità visto il combinato disposto di cementificazione selvaggia, fragilità idrogeologica e sempre più frequenti eventi atmosferici eccezionali. Le morti di Ischia e Senigallia sembrano però già dimenticate.
Il governo dovrebbe concludere a marzo l’iter ufficiale del Piano Nazionale Adattamento ai Cambiamenti Climatici che è in elaborazione dal 2012 (sic!). La bozza presentata a fine dicembre è imbarazzante. Non indica né priorità né risorse messe a disposizione, si ferma a descrivere alcuni degli eventi in corso e allega un file excel con 361 possibili azioni, una sorta di «adattatevi un po’ voi al cambiamento»
Il PD, anche in questa occasione, si comporta esattamente come la destra, con Emiliano che festeggia il sole pugliese anche a gennaio e Bonaccini che promette cannoni fantascientifici per innevare l’Appennino emiliano.
PRATICHE DI LOTTA E REPRESSIONE
L’azione al Senato ha riaperto il confronto sulle pratiche di lotta. All’interno del movimento ecologista la dialettica sul tema è aperta da tempo e in costante evoluzione come i dibattiti durante il Climate Camp a Torino dello scorso luglio hanno dimostrato.
Indubbiamente il movimento deve fare i conti con il divario sempre più grande tra il problema (cioè l’aggravarsi della crisi climatica) e la totale assenza di ascolto da parte della controparte che continua a perseguire scelte ecocide. Questo divario obbliga a rinnovare il ragionamento sulle pratiche e le strategie per poter agire in modo sensato il rapporto tra consenso e conflitto. Ovviamente una soluzione unica non c’è mai e la varietà di pratiche all’interno del movimento lo dimostrano. Non è facile però riuscire a mantenere alta la mobilitazione in un contesto di totale assenza di avanzamenti, se pur minimi, e con la consapevolezza invece di correre verso il collasso ecosistemico.
Il movimento climatico in Italia si trova di fronte a due ulteriori problemi. Il primo è che solo ora si sente fino in fondo il peso dei decreti sicurezza attuati dal governo Conte-Salvini nel 2019 e che poco si sono percepiti nei due anni di pandemia per la forte riduzione del conflitto sociale. Le gravi pene possibili per l’azione al Senato sono un prodotto di quei decreti che il successivo governo PD-M5S non ha voluto cancellare.
Il secondo problema è nell’ambito di quello che possiamo definire il discorso pubblico. In questi anni il sistema mediatico lavorato a lungo per alzare l’asticella di ciò che è accettabile secondo i canoni del perbenismo benpensante e ci si trova a leggere che schizzi di vernice diventano un’offesa alle istituzioni democratiche. Non abbiamo strumenti per definire con certezza come venga percepita dalla maggioranza del paese una azione come quella di UG, ma è indubbio che chi lavora alla costruzione della cosiddetta opinione pubblica ha forzatamente ristretto lo spazio di ciò che è legittimo e di ciò che è lecito. Poco più di dodici anni fa, per dire, si faceva irruzione in quello stesso portone del Senato, a seguito di un corteo del movimento dell’Onda: fu un atto decisamente più forte che era tuttavia riuscito, in un momento di conflitto sociale, ad apparire legittimo nonostante la ovvia repressione che ne seguì.
Se media e politica riducono progressivamente lo spazio democratico in cui agire il conflitto, la magistratura ha allora mano libera per completare il disegno in ottica repressiva. Tra i tanti esempi che si possono fare, ricordiamo che la questura di Pavia ha chiesto la sorveglianza speciale per Simone, attivista ventenne di Ultima Generazione coinvolto negli ultimi anni in decine di azioni dimostrative.
Rompere l’asticella perbenista/repressiva di ciò che è lecito e modificare il “discorso pubblico” a partire dalla legittimità della lotta ecologista è assolutamente necessario, quasi l’unico modo possibile per continuare a fare politica dal basso, ma anche questo è un processo per nulla scontato.
LO SCENARIO GLOBALE
Inevitabilmente la questione climatica rimarrà un elemento chiave sia dello scenario politico che dei movimenti. Se nel 2022 il filo rosso è stato la condivisione della parola convergenza, soprattutto grazie all’impegno del movimento operaio legato al collettivo GKN, ora lo sforzo sarà mettere in pratica quanto quella parola possa significare. Alcuni esempi importanti in Gran Bretagna ma anche in Spagna vanno proprio nell’ottica dell’intersezione tra lotta di classe e lotta ecologista.
Tra i tanti appuntamenti che riempiranno il calendario va segnalato che il prossimo sciopero globale per il clima è già stato convocato per il 3 marzo, in prossimità, che può essere un vantaggiosa ma pure problematica, dell’8 marzo transfemminista. Il momento in cui lo sciopero si convocherà assieme è ancora nel futuro.
Un dato di fatto è che al momento in Italia il movimento climatico rimane fortemente caratterizzato in un segmento generazionale under 30. Viene da chiedersi se questo carattere rimarrà tale o se finalmente anche altre componenti della società decideranno di prendere posizioni più radicali e conflittuali sul tema, a partire dai sindacati che hanno avuto sempre posizioni morbide e accomodanti verso l’industria fossile. Ci si potrebbe chiedere anche se quella società civile che si è giustamente mobilitata contro la guerra in Ucraina il 5 novembre scorso riuscirà mai a fare altrettanto per la catastrofe climatica, che in fondo è una progressiva, ma altrettanto apocalittica guerra al pianeta.
Viene da chiedersi infine se l’articolazione di collettivi, sindacati di base e gruppi che portano avanti fondamentali battaglie anticapitalistiche nei luoghi di lavoro e contro l’ideologia stessa del lavoro, coglieranno l’opportunità di attacco frontale al sistema capitalistico che la lotta ecologista offre.
La crisi climatica è in fondo la prova inconfutabile, sotto gli occhi di chiunque, che il sistema capitalistico è semplicemente incompatibile con la sopravvivenza sul pianeta. Può emergere una convergenza a partire da questa semplice constatazione?
Tutto questo, in Italia ma anche altrove, deve avvenire in un arco di tempo necessariamente breve, perché le stime che la scienza periodicamente mette a disposizione dimostrano che il count down stia accelerando paurosamente. L’IPCC stessa ha ammesso che l’emissione di gas climalteranti a partire dal 2025, al più tardi, DEVE solo diminuire, e deve dimezzarsi entro il 2030. Se ciò non avverrà, la crescita della temperatura sul pianeta sarà superiore a 2 gradi o addirittura a 3 gradi nella seconda metà del nostro secolo, con conseguenze drammatiche e in parte ancora inimmaginabili.
Nel 2022, rispetto all’anno precedente, la quantità di gas climalteranti immessi nell’atmosfera è invece ancora aumentata vertiginosamente.
Riccardo Carraro
10/1/2023 https://www.dinamopress.it
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