Il partito di Meloni tra neofascismo e liberismo
L’ascesa di Fratelli d’Italia a primo partito e la nomina di Giorgia Meloni alla guida del governo rappresentano indubbiamente una cesura nella storia dell’Italia Repubblicana. Per la prima volta, la massima carica politica è affidata a una figura politica che rivendica la piena continuità con il neofascismo italiano.
Fratelli d’Italia venne fondato proprio per evitare la scomparsa definitiva di quella tradizione che rischiava di dissolversi – secondo i suoi promotori – nel partito personale di Berlusconi, all’interno del quale non era possibile una competizione effettiva per la leadership.
La continuità con il fascismo e con il neofascismo
Nella definizione della propria identità e nella comunicazione pubblica, Fratelli d’Italia si è dovuto posizionare nei confronti della storia dell’estrema destra italiana, egemonizzata da coloro che avevano partecipato in vari ruoli all’esperienza del regime fascista e della Repubblica di Salò[1].
I discorsi di Meloni mantengono in precario equilibrio due contenuti. Il primo è una relativa presa di distanza dal “Ventennio”, soprattutto dagli aspetti più indifendibili come le leggi razziali, tacendo invece su molti altri crimini (ad esempio quelli commessi al di fuori dell’Italia). Ma queste prese di distanza, peraltro difficilmente evitabili dato che non è pensabile la ricostruzione di quel regime, non sono particolarmente nuove. Se ne possono rintracciare di simili sia in Fini che in Almirante.
Per certi versi, il primo (forse più convintamente). ma anche il secondo (in modo più opportunistico), si sono spinti a riconoscere i valori dell’antifascismo, senza per questo cessare di rivendicare l’adesione alle idee del fascismo. Per ora, il riconoscimento dell’antifascismo come protagonista del ritorno alla libertà e alla democrazia in Italia è una “linea rossa” (o nera) che Meloni, La Russa e gli altri si sono rifiutati di attraversare.
La parziale presa di distanza dal fascismo storico convive con la rivendicata continuità con il neofascismo del dopoguerra. Vengono celebrati anche quegli esponenti di derivazione missina che si sono opposti alla cosiddetta “svolta di Fiuggi”. Si esalta la “fedeltà all’idea” di Teodoro Buontempo (senza specificare di quale idea si tratti) o di Pino Rauti, che ha rappresentato l’ala più estremista ed evoliana dell’MSI.
Si tratta di un neofascismo italiano la cui storia viene largamente revisionata e abbellita fino alla falsificazione. Si cancellano la messa a servizio dei mazzieri per i grandi latifondisti negli anni ’50, le attività di supporto alla repressione antioperaia, l’ospitalità fornita alle frange squadristiche e stragiste, l’esaltazione del golpismo, dal Cile di Pinochet alla Grecia dei colonnelli.
La stessa Meloni offre una spiegazione di comodo sulla ragione della sua adesione nel 1992 al Fronte della Gioventù, nascondendosi dietro la figura di Borsellino, ucciso dalla mafia nel luglio di quell’anno. Quale fosse il profilo di quell’organizzazione nella quale è iniziata la socializzazione politica di Meloni e di molti altri dirigenti di FdI, lo spiegava Piero Ignazi nel suo libro Postfascisti? (Il Mulino, 1994): “Una ricerca condotta dal Fronte della gioventù nella primavera del 1991 sui propri militanti ha portato alla luce un profilo molto più ‘militante’ e imbevuto dei miti fascisti, autoritari e antidemocratici rispetto a quello dei loro ‘fratelli maggiori’ del partito. Il profilo di questi giovani membri del Fronte della gioventù è piuttosto inquietante.”
La definizione di “movimento dei patrioti”, adottata da FdI serve per agitare una vecchia retorica patriottarda ma anche come strizzata d’occhio a coloro che per convenienza ritengono di non potere utilizzare apertamente la parola “fascista” ma che trovano ospitalità dentro il partito. Si tratta per certi versi dell’uso di un discorso “esoterico” (rivolto all’interno alla “comunità dei fedeli”) e di uno “essoterico”, più tranquillizzante e sfumato destinato all’opinione pubblica.
La triade ideologica: nazionalismo etnico, darwinismo sociale, guerra
La continuità tra FdI e il fascismo (quello storico e quello “neo”, che si è organizzato all’interno della Repubblica) si ritrova anche in alcuni elementi cardine del patrimonio ideologico del partito.
Il primo e fondamentale di questi elementi è il nazionalismo a base etnica. La comunità nazionale deve essere fondata sulla tradizione, essere pura e non inquinata dallo straniero/immigrato, ancorata a una religione trasformata in strumento di lotta politica piuttosto che di condivisione universale di valori. Ciò che manca rispetto al fascismo storico è la proiezione imperialista, peraltro difficilmente sostenibile nell’attuale contesto. È un nazionalismo che gioca in difesa e si presenta come strumento di protezione dei settori economici legati a settori di capitalismo che fatica a reggere la competizione internazionale.
Il secondo elemento è la concezione gerarchica della società. Gli uomini (e le donne) sono per loro natura diseguali ed è giusto che la struttura sociale e politica riconosca questa diversità. Questa visione sta al fondo di diverse battaglie politiche di FdI: come il presidenzialismo che spinge a incarnare il potere politico in un solo “capo” o il rigetto di politiche fiscali redistributive. Permane una concezione legata al “darwinismo sociale”, secondo il quale i “forti” e i ricchi lo sono per “merito” proprio.
L’idea della nazione come “comunità organica” è strettamente correlata a quella della sua struttura gerarchica. Come creare un legame sociale tra persone che devono accettare di essere tra loro insopprimibilmente diseguali? Attraverso il richiamo al sangue e al suolo comune e sollecitando l’unità nei confronti del nemico esterno, che oggi è soprattutto l’immigrato.
Un terzo elemento, coerente con i due richiamati, è la concezione della guerra come costitutiva delle identità nazionali. FdI vorrebbe cancellare il riferimento al 25 aprile (“divisivo”) per porre al centro la prima guerra mondiale e tutta la retorica che l’accompagna: militarismo, Vittorio Veneto, “Canzone del Piave”, ecc. Nella sua autobiografia, Meloni riconosce l’esistenza di un’identità europea, ma la collega esclusivamente a episodi di guerra contro popolazioni non europee, preferibilmente islamiche. L’Europa si forma a Roncisvalle, a Lepanto e così via. Lo stesso libro si conclude indicativamente con l’affermazione “sono un soldato” (ovviamente al maschile): una concezione della politica come prosecuzione della guerra con altri mezzi.
Si scrive conservatorismo, si legge liberismo
Sarebbe riduttivo però sottolineare solo gli elementi di continuità con la tradizione dell’estrema destra italiana. Il partito di Meloni ha anche cercato una ricollocazione politica sul piano internazionale e attraverso questa di inserirsi in una corrente politico-ideologica che ne evitasse la ghettizzazione (come accaduto a “Identità e Democrazia”, a cui aderisce la Lega).
I “conservatori e riformisti” sono nati dalla rottura dei Tory britannici con il Partito Popolare perché troppo europeista e dall’alleanza con la nuova destra reazionaria, clericale e autoritaria polacca. I conservatori britannici anche dopo la Brexit continuano a mantenere un legame con il partito di livello europeo di cui Meloni è presidente. Così come vi sono associati i Repubblicani Usa e il Likud israeliano.
Meloni ha cercato di dare a questa scelta politica anche una vernice ideologica richiamandosi al filosofo britannico Roger Scruton (scomparso qualche anno fa), che era un ardente sostenitore della Brexit oltre che della caccia alla volpe. Il “conservatorismo” per sua natura costituisce più un atteggiamento di fronte allo stato delle cose, nel quale si privilegia la continuità e la tradizione rispetto al progresso e al cambiamento, piuttosto che una vera e propria ideologia. Si ricollega al pensiero controrivoluzionario, ostile alla rivoluzione francese e ai sui principi, di cui Edmund Burke fu uno dei primi teorizzatori.
In Italia un vero e proprio pensiero conservatore non ha mai attecchito, al di là di qualche pensatore isolato (Prezzolini, Longanesi), anche se poi ha trovato una espressione politica nella destra democristiana e nell’ala meridionale dell’MSI. Il conservatorismo in cui si inserisce Meloni è però quello rinnovato e radicalizzato a destra da Thatcher e Reagan, apertamente rivendicati come riferimenti ideologici, che hanno aperto il ciclo globale neoliberista, all’inizio degli anni ’80. Gli ideologi del trumpismo e della destra suprematista israeliana sono stati anch’essi inseriti nel pantheon ideologico di FdI.
Rispetto al passato e rafforzando una tendenza già presente in Alleanza Nazionale, FdI ha del tutto archiviato l’astratto dibattito tra “socializzatori” e “corporativisti”, per aderire pienamente ai fondamentali del progetto economico e sociale liberista. La visione gerarchica della società che appartiene a FdI è del tutto adattabile all’oltranzismo competitivo proprio del liberismo. Nel quadro globale in cui ci troviamo oggi, nemmeno gli altri due aspetti richiamati (nazionalismo e legittimazione della guerra) sono in contraddizione con le tendenze prevalenti nelle classi dominanti. Anzi. per questo il partito di Meloni, lungi dall’essere un “underdog” può essere pienamente accettato come forza pro-sistema.
[1] Per altri approfondimenti sul tema rimando ai miei articoli pubblicati da Transform! Italia, Rivista Il Mulino, Jacobin.
Franco Ferrari
20/1/2023 https://www.sulatesta.net
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