19° Congresso Cgil. Contro lo stragismo sociale DIRE, FARE!
In Versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-febbraio-2023/
Archivio http://www.lavoroesalute.org
Il 19° Congresso della Cgil ha superato la fase dei congressi territoriali di categoria e confederali, avviandosi verso quelli nazionali di categoria e il conclusivo Congresso di Rimini a marzo.
Come primo dato emerge la più bassa partecipazione alle assemblee nei luoghi di lavoro, segno che stride con le dichiarate intenzioni di arrivare alla mobilitazione generale sui 5 punti del documento votato a maggioranza del 97,6% degli iscritti consultati (un quarto circa sul totale) “Il lavoro crea il futuro”.
Questo è già un segnale che dovrebbe far riflettere i rinnovati gruppi dirigenti che dovranno guidare una delle più grandi organizzazioni sindacali d’Europa all’interno di una nuova fase storica segnata dalla guerra totale fra potenze nucleari e dalla recrudescenza dei nazionalismi sovranisti sull’onda di un ringalluzzito neoliberismo.
Gli obiettivi ambiziosi del testo congressuale di maggioranza dovranno calarsi all’interno di una realtà sociale della classe “operaia” (nel senso ampio del termine) sempre più devastata dalle piaghe della precarietà, della flessibilità, dell’intensificato lavoro, dal carovita e dalle insufficienti retribuzioni. Una classe sempre più dispersa e divisa nei luoghi di lavoro, poco aggregata e quindi scarsamente acculturata da un punto di vista politico-sindacale.
Ovviamente per lo più occultando il dato della partecipazione, le segreterie dell’organizzazione hanno voluto rimandare il problema del declino della presenza del sindacato nei luoghi di lavoro come dell’allentamento del rapporto con gli iscritti.
Il maggior utilizzo dei social e la migliore fornitura di servizi e tutele nei territori non è di per sé in grado di assolvere alla caduta del grado di partecipazione democratica che è legata a una diminuita capacità di ascolto e di interlocuzione, tipica delle vecchie e nuove stratificazioni burocratiche, alla quale bisognerebbe ovviare con nuove forme di coinvolgimento, ma soprattutto con una maggiore convinzione nel perseguire gli obiettivi proclamati nei congressi e nei media.
I lavoratori italiani, bisogna dirselo, non sono più quelli di anche solo venti o trent’anni fa. La sempre più ridotta e rarefatta presenza organizzata, accentuata dalla maggiore polverizzazione dei luoghi di lavoro ha inciso sulla capacità di orientamento e partecipazione.
La scarsa partecipazione allo sciopero del 16 dicembre riflette bene il rapporto attuale fra sindacato (Cgil) e lavoratori. Sicuramente quello sciopero contro la prima manovra economica del Governo Meloni improntata in un ottica di perfetta continuità con le linee di restaurazione delle politiche di austerità europee del governo Draghi, era da fare e proclamare.
Ma se da una parte vi è stata una resistenza burocratica da parte di pezzi della Cgil e della Uil che non ha favorito la riuscita dello sciopero, dall’altra abbiamo avuto la determinante mancata comprensione da una parte importante dei lavoratori iscritti e pure di delegati delle giuste ragioni e dell’utilità della mobilitazione. Una mancanza comunque misurabile pure nell’incidenza degli scioperi proclamati contro il nuovo governo dal sindacalismo di base.
Tutti elementi che testimoniano l’esistenza di una innegabile luna di miele del consenso della Meloni fra ampi settori popolari.
La stessa adesione al sindacato si sta spostando dai luoghi di lavoro ai servizi sul territorio, segnando una mutazione nei fatti della natura organica delle organizzazioni sindacali (ma anche di quelle politiche), sempre più sovradeterminate nelle loro scelte politiche dal peso dagli apparati burocratici rispetto a una base organizzata sempre più rarefatta, ancora presente in qualche realtà aziendale. Fenomeni come GKN sono ormai più unici che rari, e questo spiega da sé la difficoltà incontrata a generalizzare oggi quella battaglia nel solo mondo del lavoro.
Nelle assemblee congressuali territoriali delle categorie e della Confederazione questi temi sono stati sfiorati, ma non affrontati di petto. La consapevolezza della distanza del sindacato dalla propria base nei luoghi di lavoro esiste, ma non viene affrontata perché vedrebbe rimessa in discussione tutta l’organizzazione sindacale nel suo modo di operare, facendo saltare vecchie abitudini, ma soprattutto un modo di operare ereditato dagli anni ‘90, fondato sulla triangolazione sindacato-imprenditori-politica che si fonda sul reciproco riconoscimento senza la obbligatoria partecipazione democratica dei lavoratori.
Su questa triangolazione concertativa ha marciato per trent’anni il mondo sindacale confederale. Dal governo Monti si è definitivamente incrinata, parzialmente restaurata dai governi successivi, vedendo sempre e comunque la partecipazione dei sindacati come elemento di consenso e subalterno.
Negli ultimi anni Landini ha cercato disperatamente di riportare su un piano di parità il confronto con il Governo e gli imprenditori. Ma ai proclami di fuoco non ha fatto conseguire il più delle volte azioni conseguenti. E forse anche in questo si può leggere una certa stanchezza e lontananza della classe dei lavoratori.
Riduzione dell’orario di lavoro, lotta alla precarietà, salario minimo, carovita, fiscalità equa, riforma delle pensioni, più lavoro e servizi pubblici, più Sanità e Scuola pubblici, opposizione all’Autonomia differenziata, il condizionamento sul fronte occupazionale delle ricadute della transizione verde e digitale, sono stati i temi centrali all’interno del dibattito congressuale.
Il come perseguire questi obiettivi viene però rimandato ai futuri gruppi dirigenti delle segreterie, delle assemblee generali e direttivi, a tutti i livelli dell’organizzazione.
Certamente si parla di mobilitazione futura, necessitata dal peggioramento del welfare (sanità, scuola, pensioni), del costo della vita, delle condizioni di lavoro. Rimandando all’idea di confronti futuri su vari tavoli istituzionali a tutti i livelli (governo, ministeri, regioni, enti locali).
Sul fatto che primi rinnovi contrattuali (contratto dei chimici) prevedano aumenti dell’8% su tre anni a fronte di un’inflazione annuale del 10-11% nessuno ha avuto da ridire, rimandando tutto a cunei fiscali, bonus energia, salari minimi, possibili automatismi contrattuali, per ridurre le cospicue differenze e nascondere le grandi inefficienze di un sistema contrattuale tutto da ridiscutere.
Di fatto il dibattito vero, quello strategico, nel Congresso Cgil è stato ed è circoscritto agli attuali gruppi dirigenti, a livello delle diverse segreterie di categorie e della Confederazione.
Le assemblee congressuali di categoria e confederali sono state parzialmente svuotate, ridotte a una via di mezzo fra riunioni aziendali motivazionali, convention americane e momenti di analisi consuete sull’universo-mondo private di risposte concrete.
La partita vera decisiva, giocata sul rinnovo dei gruppi dirigenti vedrà un riposizionamento delle forze interne e di quello che rappresentano.
Da una parte il segretario Landini e la sinistra sindacale di ispirazione “ingraiana” legata alla Fiom, dall’altra la vecchia guardia dello SPI legata all’area riformista da sempre collateralista al PD, nel mezzo le altre anime: quella delle ex-camussiane ispirate da una battaglia di genere dentro e fuori del sindacato, le ex sinistre eretiche di derivazione “consiliarista”, le varie eclettiche burocrazie legate al miglior offerente, da sempre le più compatibili e accomodanti con le controparti. Poi, un po’ al di fuori, in eburneo isolamento l’opposizione del documento “Le radici del sindacato” che si è strappato il suo diritto di parola, senza per adesso voler entrare pesantemente nel gioco della formazione dei gruppi dirigenti. E’ un’altra modalità e altro livello rispetto alle passate opposizioni interne degli anni ‘90. Ma è evidente l’intenzione di aprirsi dei varchi nel futuro, magari in attesa di qualche spinta proveniente da qualche movimento della base sociale, che solitamente è destinata a cambiare tutti gli equilibri interni di un’organizzazione di massa, come è già capitato più volte nella storia del sindacato.
Da quanti riuscirà a legare al proprio carro, Landini, da Rimini in avanti, sarà in grado di cambiare la faccia della Cgil e il suo passo.
Tutto però dipenderà da quanto questa eterogenea “Corte dei Miracoli” sarà una zavorra o un convinto alleato nel voler velocizzare i processi, dando al sindacato nuovamente maggior peso e un ruolo nuovo nella difesa degli interessi della nuova classe dei lavoratori che sta emergendo in questi anni. Avrà solo 4 anni e poi dovrà passare il testimone a una nuova generazione.
Tutti sanno che fra dieci anni l’attuale classe dirigente sarà pensionata e con essa buona parte degli iscritti attuali. C’è da chiedersi se questi dirigenti di oggi si faranno carico degli interessi generali degli iscritti rinnovando il sindacato, abbandonando i suoi vecchi corporativismi, aprendosi al nuovo rappresentato dai giovani, dalle donne, dagli immigrati, dai precari, invece di guardare il calendario pensando solo alla propria sopravvivenza per lasciare a chi verrà l’incombenza della soluzione dei problemi dell’oggi.
C’è da aggiungere che altre due variabili esterne per nulla indifferenti avranno una ricaduta non pesante sulle dinamiche sociali, potendo anche risvegliare dal nulla le coscienze attualmente assopite di gran parte dei nostri lavoratori: la guerra con le dinamiche della politica internazionale e la crisi economico-sociale globale.
I lavoratori in Gran Bretagna e in Francia si sono già svegliati, dando vita a incredibili lotte e scioperi di settimane. Da loro abbiamo tutto da imparare sul come fare e dove. Segnale che non tutte le speranze muoiono in un congresso.
Marco Prina
CGIL Moncalieri (TO)
Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
In Versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-febbraio-2023/
Archivio http://www.lavoroesalute.org
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!