Caporalato e corruzione. Dietro la morte dei migranti c’è la filiera malata del cibo (che mangiamo)
Incontravo i migranti estivi del foggiano ogni mattina alla fermata del bus: io dal lato della strada che portava alla città e alla scuola, loro dall’altro, quello che andava verso il rurale. Non senza paura cominciai a salutarli distrattamente, poi a parlare con loro, quindi a chiedere che cosa andassero a fare. Erano i tempi in cui non si parlava nei media di caporalato, e per tutti erano solamente “gli stagionali”.
Una mattina bigiai, presi anch’io l’autobus che portava verso le campagne e vidi. Vidi che appena fuori la città era un alternarsi di furgoni sgangherati per strada e campi con decine di migranti per ogni raccolto.
In quella breve esperienza cambiai la mia percezione delle cose e decisi di cambiare anche le mie aspirazioni di vita: mi convinsi, con lo slancio dell’adolescenza, di voler provare a “fare qualcosa”. Solo dopo conobbi la storia di Hiso Telaray.
Qualche anno dopo scrissi la mia tesi sulla creazione di alternative reali al modello di produzione del cibo dominante; un modello che troppo spesso utilizza sfruttamento e circuiti illegali, rendendoli invisibili. Scrissi come possano diventare invisibili anche i corpi, quelli appunto dei lavoratori migranti. Scrissi che, se Feuerbach ha ragione, ossia se è vero che “l’uomo è ciò che mangia”, allora è ugualmente vero che l’uomo è anche ciò che fa degli alimenti. E che chi gestisce il cibo ha in potenza una forte capacità di condizionamento dell’umano.
È per questo che il fenomeno del caporalato e la morte dei migranti nelle campagne (e sono certo che negli anni passati ne sono morti ugualmente, seppelliti in fosse di fortuna chissà dove) non si può combattere con le inchieste, seppure è giusto e necessario informare. Non è la rincorsa all’accadimento più cruento che può servire ad invertire la rotta, né la narrativa più efficace per far breccia nel lettore.
Non sono neanche le sole politiche del lavoro, sebbene il contrasto al lavoro nero o grigio sia precondizione. Non basta nemmeno considerare il solo aspetto della tratta degli esseri umani, che pure esiste e spesso è violentissima.
Il caporalato si combatte agendo all’origine della filiera, e proprio della filiera agroalimentare, andando a rimuovere le opacità che sono all’interno del modello di produzione, trasformazione e distribuzione del cibo e che creano opportunità illegali per clan, corrotti, corruttori, affaristi senza scrupoli.
Molti passaggi, nella grande distribuzione organizzata, permettono infatti micro e macro-illegalità: il caporalato è la faccia più violenta e vicina della fase di produzione del cibo, che disturba perché può fare rumore. Ci sono poi le truffe all’Inps con i finti contratti agricoli, le truffe all’Unione Europea e la distruzione illegale di derrate alimentari per ottenere più sostegni, l’enorme e pericoloso mondo della contraffazione del cibo, il rischio poco monitorato di corruzione di veterinari e controllori, la fase di trasformazione della materia prima non sempre adeguatamente vigilata, il trasporto su gomma preda facile dei clan, l’imposizione della vendita di un certo prodotto con metodi mafiosi in certe zone, la corruzione privata tra operatori di ingrosso e di dettaglio. Ma l’Italia è solo parte di un processo globale: le grandi leggi internazionali sul cibo sono decise da organi – il più importante tra questi è la Codex Alimentarius Commission – affatto impermeabili all’azione opaca dei grandi gruppi agroalimentari. Contemporaneamente, Stati e grandi corporation stanno comprando terreni agricoli in altre parti di mondo: è il land grabbing. Impossibile infine non citare gli enormi squilibri nell’accesso al cibo: fenomeni talmente enormi che chiamarli illegali è riduttivo.
Ecco perché occorre guardare alla questione alimentare sempre nella sua interezza, per comprendere che la morte del migrante nelle campagne meridionali riguarda il cibo che mangiamo. Occorre una grande mobilitazione, non solo italiana, che sappia invertire la rotta e chiedere quindi integrità e giustizia per ciò che, almeno due volte al giorno, ci troviamo sotto il naso.
Leonardo Ferrante
referente scientifico di Riparte il futuro
27(8/201 Fonte: http://www.riparteilfuturo.it/blog/community/caporalato-e-corruzione/
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