“PESSIMA IKEA”, LA LOTTA NON SI FERMA
Della lotta dei lavoratori dell’Ikea ci siamo già occupati anche su questo giornalequando, il 6 giugno, è stato indetto uno sciopero nazionale che aveva portato la stragrande maggioranza dei lavoratori (circa l’80% del totale, su tutti i 21 punti vendita sparsi sul territorio nazionale) a mobilitarsi contro l’intenzione dell’azienda di disdire unilateralmente il contratto integrativo aziendale, apportando delle gravi decurtazioni agli stipendi, se non si fossero accettate delle modifiche peggiorative improponibili, in particolare, in un settore come quello commerciale, nel quale i lavoratori vengono spremuti senza tregua (peggioramenti quali, tra gli altri, una forte diminuzione della maggiorazione per lavoro domenicale, la modifica del premio di partecipazione, un nuovo sistema orario).
Sono passati più di due mesi da quello sciopero che, data l’incredibile adesione, aveva fatto ben sperare, e i lavoratori di Ikea sembrano essere più combattivi che mai, nonostante la difficoltà della situazione.
A Luglio, infatti, dopo la prova di forza della mobilitazione che era riuscita a creare un blocco significativo degli store Ikea in tutta Italia e preso atto del fatto che i sindacati e i lavoratori non erano affatto disponibili ad accettare le condizioni imposte senza trovare una mediazione, l’azienda aveva risposto facendo saltare il tavolo delle trattative; e i lavoratori hanno dunque indetto un secondo sciopero nazionale, l’11 Luglio.
E anche Agosto non è stato da meno: nonostante il torpore tipico dei mesi estivi le lotte non si sono fermate e sindacati e lavoratori si sono mobilitati, in tutta Italia, a partire dal 1 Agosto, organizzando ripetutamente presidi dentro e fuori i negozi, cortei interni, scioperi a macchia di leopardo, improvvisi o, in svariati casi, prolungati per giorni (nove a Genova, sei a Padova, ad esempio, ma, a quanto pare, i giornali nazionali non ritengono di dovere dare particolare risalto a tali avvenimenti).
L’agitazione prosegue imperterrita, insomma, nonostante le difficoltà dovute al fatto che Ikea ha tentato di ammortizzare l’impatto delle proteste e dei malfunzionamenti chiamando lavoratori interinali e temporaneamente dislocando ad hoc verso mansioni diverse i lavoratori interni che hanno un potere contrattuale minore e che sono ancora restii ad unirsi alla lotta dei colleghi. E ciononostante, in alcuni casi, gli store hanno dovuto rassegnarsi ad anticipare l’orario di chiusura per contenere il disagio verso i clienti.
Resta il fatto che, come accade in ogni vertenza di questo genere, non mancano dubbi circa le modalità di azione prescelte dai sindacati maggiori i quali, pur avendo dichiarato di essere disponibili alla trattativa con l’azienda nella misura in cui quest’ultima rinunci a mettere mano agli stipendi ed alle maggiorazioni, hanno d’altro canto spinto, quanto meno inizialmente, per impostare le lotte a un livello quanto più territoriale possibile, sgonfiando di fatto le potenzialità della mobilitazione. Dai numerosi report scritti dai lavoratori – ad esempio a Roma e Milano (store nei quali risultano maggioritari i sindacati di base), ma non solo – risulta evidente come, a detta di chi la lotta la sta vivendo in prima persona, assumendosi rischi, sarebbe stata maggiormente incisiva l’indizione, sin da subito, di scioperi unitari a livello nazionale. Essi avrebbero avuto l’effetto di paralizzare l’azienda, impedendole di sostituire gli scioperanti attraverso nuove assunzioni, e sarebbero risultati più incisivi rispetto alla scelta degli scioperi e proteste a singhiozzo.
Ikea, nel frattempo, sembra rimanere ferma sui suoi capisaldi che, a detta dell’azienda, sono quattro e costituiscono “le quattro gambe che reggono il tavolo delle trattative”: riduzione delle maggiorazioni festive e domenicali, premio aziendale riassorbibile con gli aumenti di salario dei prossimi contratti e in parte legato all’accettazione individuale del nuovo sistema di turnazione oraria improntato ad un aumento di flessibilità, divisione del lavoro non più a reparto ma a macro-aree e, infine, premio di partecipazione da fisso a variabile a seconda di parametri stabiliti dall’azienda a livello nazionale e non.
Settembre è il mese in cui spiegherà i suoi effetti la disdetta contrattuale decisa a fine Maggio da Ikea, contravvenendo sfacciatamente a quanto esplicitamente previsto dall’attuale contratto integrativo che vieta le reformatio in peius unilaterali da parte dell’azienda. E mentre in queste ore, con l’avvicinarsi della fatidica data, i lavoratori organizzano febbrilmente le loro prossime mosse, non mancano diverse forme di solidarietà a questa lotta, che vanno dalle concrete iniziative di sostegno di comitati, gruppi e singole persone durante i giorni di sciopero, alle dichiarazioni espresse di appoggio provenienti dai lavoratori di altri settori ( dagli insegnanti, ad esempio), alle migliaia di messaggi di protesta sulla pagina facebook del colosso del mobile, in diversi dei quali era scritto: “Ikea, se tagli il personale perdi un cliente abituale”.
E nonostante la genuinità di questo particolare gesto di solidarietà tipico di quest’era dominata dai social, una cosa bisogna però averla ben chiara: la lotta contro le quotidiane minacce dei padroni, contro i ricatti e i soprusi che gravano sulle nostre teste, sulle teste di questi “lavoratori in giallo e blu” (come recita l’intestazione del portale creato dai lavoratori Ikea per testimoniare l’andamento della vertenzahttp://lavorareingialloeb.wix.com/onstrike), è una lotta strenua e rischiosa, che richiede l’impiego unitario di tutte le forze per essere vinta. L’aggressione è perpetrata senza sosta, a volte in modo palese, a volte strisciando, essa colpisce e non conosce ostacolo. Come nel caso di Ikea, che gode di ottima salute, tanto da pianificare nuove aperture in tutta Italia. Aperture che, evidentemente, è più comodo finanziare attingendo agli stipendi dei suoi lavoratori, succhiando le uniche loro risorse e tutto il loro tempo.
Perché sia chiaro che, per dirla proprio con le parole dei lavoratori che hanno alzato la testa, “tutto questo si presenta più come una volontà di imporre un nuovo rapporto di forze tra azienda e lavoratori, volto a renderli ancor più manipolabili, a discapito della qualità della vita” (http://lavorareingialloeb.wix.com/onstrike#!manifesto/c24vq).
Selena Di Francescantonio
30/8/2015 www.lacittafutura.it
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