Ancora più disuguali?
Non solo la pandemia da Covid-19 e la conseguente crisi sanitaria, occupazionale e sociale, ma anche la più recente emergenza energetica, le pressioni inflazionistiche e il rischio di una nuova recessione economica stanno impattando in maniera significativa sull’incremento della povertà e delle disuguaglianze, in Italia e nel mondo. I bisogni, oltre ad ampliarsi, stanno diventando sempre più complessi e multidimensionali, il caro-vita sta erodendo il potere d’acquisto non solo dei più fragili ma anche di quelle famiglie fino a poco tempo fa protette da tale pericolo, il passaggio intergenerazionale della povertà1 e il rischio di rimanere intrappolati nel cosiddetto “circolo dello svantaggio sociale” si stanno cronicizzando.
Aumenta la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi
L’ultimo Rapporto Oxfam La disguaglianza non conosce crisi, pubblicato in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos, mette in luce come nel biennio 2020-2021, per la prima volta negli ultimi 25 anni, a livello globale siano aumentate simultaneamente sia l’estrema ricchezza che l’estrema povertà. In particolare, nello stesso periodo di riferimento, l’1% più ricco del mondo ha visto crescere il valore dei propri patrimoni di 26 mila miliardi di dollari, accaparrandosi il 63% dell’incremento complessivo della ricchezza netta globale, quasi il doppio della quota (37%) andata al 99% più povero della popolazione. All’interno di tale trend, il nostro Paese non costituisce un’eccezione: alla fine del 2021, infatti, la distribuzione della ricchezza nazionale netta vede il 20% più ricco degli italiani detenere oltre 2/3 della ricchezza nazionale (68,6%), il successivo 20% risulta titolare del 17,5%, lasciando così al 60% più povero appena il 14% della ricchezza nazionale. Se poi si confronta il vertice della piramide della ricchezza con i decili più poveri, il risultato appare ancor più d’impatto: la posizione patrimoniale netta dell’1% più ricco della popolazione italiana equivale a oltre 40 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero.
Come ben sottolinea il recentissimo Rapporto Crescere in Italia, oltre le disuguaglianze di Fondazione Cariplo, considerando l’analisi del World Inequality Index, il nostro Paese presenta una disuguaglianza della ricchezza molto più alta rispetto a quella dei redditi. Dal 1995 ad oggi, la metà più povera della popolazione ha visto infatti ridursi la propria quota del patrimonio totale delle famiglie italiane (passando dal 10,2% al 2,5%), mentre lo 0,1% più ricco l’ha vista aumentare considerevolmente (dal 5,5% al 9,2%). Inoltre, rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea, l’Italia rappresenta un’anomalia nella dinamica del rapporto tra il valore del patrimonio rispetto al reddito: mentre le entrate annue delle famiglie ai diversi livelli di reddito hanno seguito tendenze non molto diverse dalle medie europee, la ricchezza finanziaria e immobiliare dei privati è fortemente cresciuta. In sostanza, i patrimoni sono passati in poco più di mezzo secolo da valere in media un po’ più del doppio delle entrate annue delle famiglie (225,7% dei redditi nel 1966) fino a valere sei volte le stesse (609,7% nel 2021), concentrando così sempre più ricchezza nelle mani di una minoranza relativamente esigua della popolazione.
Diseguaglianze economiche e differenziali lavorativi
Come più volte sottolineato2, il progressivo aumento della disuguaglianza nel nostro Paese, favorito dalle caratteristiche strutturali del nostro sistema socio-economico e spinto dalla crisi economica, occupazionale e sociale legata all’emergenza sanitaria, ha portato all’aggravamento di situazioni di per sé già disuguali in epoca pre-pandemica, andando a penalizzare in particolare lavoratori precari, donne, giovani e minori. È quanto emerge anche dalla Prima indagine elaborata dall’Osservatorio nazionale ACLI dei redditi e delle famiglie (ONRF) che ha analizzato le dichiarazioni dei redditi di oltre 974 mila contribuenti che, in Italia, hanno presentato il modello 730 tramite CAF ACLI per il triennio 2019-2020-2021, al fine di approfondire l’impatto della pandemia sulle loro disponibilità di reddito e scelte di spesa. Nel periodo considerato, il 3,6% del campione analizzato ha perso oltre il 35% del proprio reddito (valore mediano pari a 6.200 euro). Ad aver pagato maggiormente la crisi economica legata alla pandemia sono per lo più lavoratori a basso reddito che, a causa della crisi stessa, sono stati licenziati o hanno subito un deciso ridimensionamento del proprio impiego. Se si sposta invece l’attenzione sul profilo anagrafico, emerge come si tratti soprattutto di donne con almeno un figlio (66,6%) e di giovani adulti con meno di 40 anni (30,9%).
D’altro canto, gli ultimi dati ISTAT evidenziano una persistenza, anche per il 2021, dell’elevata incidenza della povertà assoluta già rilevata nel 20203, corrispondente a oltre 1,9 milioni di famiglie in tale condizione, per un totale di circa 5,6 milioni di individui. Tale stabilità, purtroppo a livelli significativi, risulta evidentemente correlata, da una parte, ad una generalizzata ripresa economica del paese (PIL + 6,6%) e, dall’altra, al ruolo giocato dagli interventi economici di sostegno alle famiglie. Il Report sulle condizioni di vita e reddito delle famiglie, pubblicato da ISTAT, mette in evidenza che il Reddito di Cittadinanza, insieme alle misure di sostegno straordinarie (integrazioni salariali, proroga indennità di disoccupazione, bonus baby-sitting, Reddito di Emergenza etc.), di cui ha beneficiato più di una famiglia italiana su tre, avrebbero attutito la caduta dei redditi, stimata allo 0,8% in termini reali rispetto all’anno precedente. Senza queste misure la caduta dei redditi familiari sarebbe stata molto più ampia, in particolare per le famiglie con stranieri (-9,1%), per quelle numerose (-6,7%) e, in generale, per le famiglie del primo quinto di reddito (-6,9%). Simile dinamica viene rilevata anche per la disuguaglianza: l’Indice di Gini, pari allo 0,329 nel 2020, sarebbe cresciuto fino allo 0,338 senza i trasferimenti emergenziali come anche senza il Reddito di Cittadinanza, mentre al netto di entrambi la concentrazione dei redditi sarebbe salita fino a 0,346. Sempre di fonte ISTAT, il recente Report sulla redistribuzione del reddito in Italia sottolinea invece il ruolo che le misure economiche di sostegno alla famiglia (riforma Irpef, Assegno Unico e Universale per i figli a carico, indennità una tantum, bonus per bollette elettriche e del gas etc.) hanno ricoperto, nel corso del 2022, nella riduzione, seppur contenuta, della diseguaglianza, che dal 30,4% scende al 29,6%, e del rischio di povertà delle famiglie italiane, che dal 18,6% passa al 16,8%.
Come sottolineato dal Rapporto Oxfam sopracitato, è bene ricordare come gli episodi di crisi che si sono succeduti negli ultimi anni abbiano generato un progressivo peggioramento della quantità e qualità del lavoro: la riduzione involontaria dell’orario di lavoro, i ritardi nell’adeguamento delle retribuzioni e nel rinnovo dei contratti stanno mettendo in ginocchio sempre più famiglie, rendendo ancor più vulnerabili le posizioni dei gruppi sociali meno abbienti e dei lavoratori meno tutelati. Accanto – e strettamente correlato – alla crescente diffusione del lavoro atipico, spicca l’allarmante fenomeno dei working poor, ovvero di quei lavoratori che vivono in un nucleo con reddito netto equivalente inferiore al 60% della mediana nazionale, ossia coloro ricevono compensi non adeguati al mantenimento dignitoso della propria famiglia. A questo si aggiunge un marcato tasso di inattività, in particolare delle donne e dei lavoratori residenti nel Mezzogiorno, e una elevata disoccupazione giovanile, associata all’alto tasso di NEET, ossia quei giovani tra i 15 e i 34 anni che non studiano, non lavorano e non seguono alcun percorso di formazione. Secondo le ultime stime Eurostat, nel 2021 la quota di NEET si aggira intorno ai 3 milioni con un’incidenza del 23,1%, contro una media europea del 13,1%, dando così all’Italia un triste primato a livello internazionale. Il recente Rapporto NEET tra disuguaglianze e divari, pubblicato da ActionAid in collaborazione con CGIL, analizza la distribuzione del fenomeno a livello nazionale, approfondendo e dividendo per cluster i diversi profili di NEET, mettendo così in luce un quadro caratterizzato da forti disuguaglianze territoriali, di genere e cittadinanza. L’incidenza della popolazione NEET raddoppia, infatti, nelle Regioni del Sud rispetto a quelle del Nord (39% vs 19%), risulta essere maggiore tra i cittadini italiani (82%) e tra le donne (56%), e nelle fasce di età adulta (30,7% nella fascia 25-29 anni e 30,4% in quella 30-34 anni).
Ma la disparità è anche energetica, sanitaria, alimentare ed educativa
La disuguaglianza di reddito esplosa negli ultimi anni porta con sé, come in una reazione a catena, disparità relative alla maggiore o minore capacità delle famiglie italiane di far fronte a bisogni primari, come quello energetico, sanitario, alimentare ed educativo. È così che la “pura” disuguaglianza economica si trasforma in iniquità di accesso a servizi e beni essenziali, aggravando ulteriormente le posizioni già compromesse dei gruppi di popolazione più vulnerabili.
Come sottolinea un recente approfondimento di Openpolis, la quota di famiglie italiane che dichiara di non potersi permettere di riscaldare adeguatamente la propria abitazione è cresciuta dopo la crisi del 2008, raggiungendo il picco nella prima metà del decennio scorso. In particolare nel nostro Paese, i nuclei con minori a carico che si trovano in questa condizione hanno superato il 20% nel 2012, per poi ridiscendere gradualmente negli anni successivi. Ad invertire la rotta è il 2021, anno in cui tale quota di popolazione – complice anche l’attuale crisi economica ed energetica – si attesta attorno all’8%, valore non solo in crescita rispetto all’anno precedente (7,5%) ma anche superiore alla media europea (6,6%). Ricordiamo che la povertà energetica di una famiglia può essere calcolata a partire da due elementi: la necessità energetica della famiglia stessa (strettamente connessa al clima presente sul territorio, alla condizione abitativa e alla presenza di eventuali soggetti fragili) e la sua condizione economica. Dall’incrocio dei due dati emerge come in Italia oltre 1.100 Comuni siano collocati nella zona più fredda e come quasi l’8% di tali territori presenti più di 4 contribuenti su 10 che si trovano nella fascia più bassa di reddito, compresa tra 0 e 10 mila euro.
Altro snodo è rappresentato dalle difficoltà di accesso alla sanità, sia rispetto all’acquisto di farmaci che al posticipo o rinvio di visite specialistiche, interventi e screening, con impatti significativi sulla prevenzione e la cura delle persone. Il X Rapporto sulla povertà sanitaria in Italia del Banco Farmaceutico mette in luce come nel 2022 circa 390 mila individui si trovino in condizioni di povertà sanitaria, dovendo cioè chiedere aiuto ad una delle 1.806 realtà assistenziali convenzionate con Banco Farmaceutico per ricevere gratuitamente farmaci e cure. I dati evidenziano inoltre come oltre 4,7 milioni di famiglie, di cui quasi 639 mila in povertà assoluta, riducano le spese sanitarie rinunciando o rinviando visite mediche o accertamenti periodici. La differenza tra famiglie povere e non povere si evidenzia soprattutto nel budget stanziato per la salute: se una persona indigente dispone per tale spesa in media di 9,9 euro al mese, una persona non povera ha a disposizione 61,8 euro mensili, circa sei volte tanto. Trend che peraltro permane costante rispetto all’anno precedente, quando la spesa sanitaria mensile di una persona non povera era pari a 10,2 euro contro i 60,9 euro di una persona non povera. Andamento del tutto identico si rileva anche rispetto alla capacità di acquisto di farmaci: 5,8 euro mensili per i poveri, contro 26 euro per i non poveri.
A questo si aggiungono disparità relative alla possibilità di accesso ad un’alimentazione quantitativamente e qualitativamente adeguata, in particolare per le famiglie con minori. Non sappiamo esattamente quante siano oggi le persone che vivono in povertà alimentare nel nostro Paese: Eurostat stima una media nazionale del 9% della popolazione, con picchi del 17,1% al Sud. Secondo i dati EU-SILC, almeno 5,5 milioni di persone in Italia non possono permettersi di mangiare regolarmente un pasto proteico (con carne, pesce o un equivalente vegetariano). ActionAid, nel Rapporto Cresciuti troppo in fretta. Gli adolescenti e la povertà alimentare in Italia, ricorda come le statistiche ufficiali non riescano a cogliere la complessità del fenomeno, sottolineando come i numeri delle persone aiutate dagli enti di assistenza alimentare (circa 2,8 milioni nel 2022) rappresentino solo la punta dell’iceberg di un problema molto più esteso. Ma anche molto più complesso: si tratta infatti non solo di mancanza di cibo adeguato e di qualità, ma anche di situazioni di stress e stigma, restrizioni delle occasioni sociali legate al cibo, che impattano sul benessere fisico e psicologico delle persone che si trovano in tale condizione, soprattutto dei più giovani.
È infine noto come la deprivazione materiale delle famiglie, legata spesso a bassi titoli di studio e condizioni lavorative precarie dei genitori, generi diseguaglianze educative e di apprendimento nei figli minori, in quanto il fenomeno della povertà economica e quello della povertà educativa sono strettamente correlati. Il già citato Rapporto di Fondazione Cariplo, a partire dall’analisi longitudinale dei dati Invalsi4, rileva il contributo del percorso di istruzione obbligatoria nella riduzione delle disuguaglianze tra gli studenti nei livelli di apprendimento, già molto marcate all’inizio della scuola e determinate da una molteplicità di fattori, tra cui le condizioni economiche, culturali e sociali delle famiglie d’origine. I risultati mostrano come tali disuguaglianze di partenza penalizzino soprattutto i maschi, gli stranieri, gli studenti provenienti da famiglie svantaggiate dal punto di vista socio-economico e gli alunni residenti al Sud, che mostrano quindi livelli di apprendimento iniziali più bassi dei loro coetanei. Se questa tendenza non desta grande stupore, il risultato più interessante riguarda ciò che accade negli anni successivi: osservando infatti gli stessi studenti in terza media, emerge come la maggior parte di quanti sono partiti svantaggiati non riesca a recuperare tali divari. Sarebbero soprattutto la provenienza, l’istruzione e la condizione occupazionale dei genitori ad esercitare un ruolo determinante nello sviluppo della carriera scolastica dei figli e nella loro mobilità.
La ricognizione pur rapida di un insieme di dimensioni e volti che insieme considerati concorrono a connotare la povertà evidenzia una situazione e un problema grave e drammatico, ed è purtroppo verosimile pensare che nel corso del 2023 anche le diseguaglianze, trainate dall’incremento della povertà, aumenteranno ulteriormente. Si rende dunque sempre più necessario un aumento della protezione sociale, anche proseguendo con una politica di reddito minimo universale, peraltro fortemente raccomandata dall’Europa mediante la Risoluzione relativa a un adeguato reddito minimo che garantisca l’inclusione attiva (2022/2840(RSP) del 15 marzo scorso. L’auspicio è che la nuova misura nazionale di contrasto alla povertà, che entrerà in vigore nei prossimi mesi in sostituzione del Reddito di Cittadinanza, non sia troppo ridotta non solo nell’ammontare dei benefici ma anche nella copertura, superando la penalizzazione delle famiglie numerose e la discriminazione nei confronti degli stranieri, migliorando così la capacità di raggiungere un numero più ampio di persone in stato di bisogno.
Eleonora Gnan, Daniela Mesini
5/4/2023 https://www.welforum.it/
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!