Lo sciopero dei netturbini a Parigi: strategia e rivendicazioni
Uno dei motori centrali delle mobilitazioni di queste settimane a Parigi è stato lo sciopero dei netturbini. Questo sciopero, articolato nei vari ambiti di questo settore, è stato particolarmente impattante mettendo, di fatto, in crisi tutto il sistema di gestione dei rifiuti della città.
L’accumulo di enormi quantità di sacchi della spazzatura nelle strade ha reso visibile il malcontento di questa categoria ma anche le grandi contraddizioni del sistema di produzione attuale. Questo materiale ha anche rappresentato una possibilità di contaminazione tra le lotte e tra le istanze di lavoratori e abitanti della città. I sacchi sono stati utilizzati per altre proteste, caratterizzati dai passanti con scritte e cartelli, diventando il simbolo di una società coesa contro il governo, le sue riforme pensionistiche e modello di sviluppo.
Per capire meglio le caratteristiche interne di questo sciopero, abbiamo intervistato A., lavoratore del settore e rappresentante della CGT. A. ci ha spiegato come si sono organizzati e quali sono le rivendicazioni portate avanti da questi lavoratori che sono riusciti ad uscire dall’ombra. A. sottolinea l’importanza di una mobilitazione interprofessionale con istanze comuni (per esempio a prescindere dalle differenze che contraddistinguono i contratti degli addetti ai lavori nel pubblico e nel privato), duratura nel tempo e che ponga al centro il vissuto di chi, le conseguenze di una società ingiusta e malata, le vive tutti i giorni, in prima persona.
Ci stiamo interessando agli scioperi dei netturbini a Parigi e una prima cosa che ci sembra interessante da approfondire è il fatto che portare avanti questo sciopero sia qualcosa che ha permesso di imparare tante cose rispetto all’organizzazione del vostro lavoro e del settore. Questo vi ha consentito di organizzare delle azioni che hanno avuto un impatto incisivo. Puoi raccontarci che cosa avete imparato rispetto alla logistica e all’organizzazione del lavoro in questo settore e quali sono i suoi punti di debolezza anche e quindi, per esempio, i punti dove bloccare qualcosa ha permesso di ottenere dei risultati.
Il fattore scatenante degli scioperi in tutto il settore della gestione dei rifiuti è stata la riforma delle pensioni voluta dal governo. Detto questo, l’ampiezza di questo movimento sociale è legato, da una parte, alla presenza dell’organizzazione sindacale e, dall’altra, al sostegno, in particolare degli studenti e dei pensionati. In generale, siamo un settore contestatario. Per noi questa era un’opportunità per esprimerci perché una delle caratteristiche dei lavoratori e delle lavoratrici del nostro settore è quello di essere una popolazione fortemente razzializzata. Questa significa anche, per esempio, nel mio caso, che oltre al contesto della CGT, non mi è stata trasmessa un’eredità di conoscenze rispetto alle nostre conquiste sociali (attraverso la mia famiglia o le mie conoscenze o legami con delle organizzazioni dal basso capaci di trasmettercele).
Quindi questa per noi è una contestazione fortemente legata alla realtà delle nostre condizioni di lavoro degradate che hanno un impatto certo e irreversibile sulla nostra salute. Il movimento è stato incisivo perché siamo riusciti a far fronte alla strategia del governo e del patronato di messa in concorrenza dei lavoratori che viene portata avanti in vari modi, in particolare attraverso la diversificazione di accesso al welfare tra lavoratori che fanno mestieri simili nel pubblico e nel privato. Ma anche attraverso tante differenze fatte internamente al privato.
Quello che abbiamo imparato attraverso questa esperienza è che quando riusciamo ad organizzarci in una lotta nel settore della gestione dei rifiuti questa deve essere intercategoriale e con un obiettivo specifico. Ovvero deve coinvolgere tutti i mestieri della filiera della gestione dei rifiuti e questi lavoratori devono essere al centro di queste mobilitazioni, a prescindere dalla presenza di sostenitori esterni. In questo modo, è la coerenza delle rivendicazioni e della lotta che rende il movimento incisivo.
Un’altra cosa importante che abbiamo imparato riguarda la complementarità delle nostre forze nella lotta. In particolare, la nostra professione è riuscita senza volerlo a mettere insieme la solidarietà di tante anime del movimento, in tutta la loro diversità. Questo, tra l’altro, non è vero solo per i lavoratori e le lavoratrici francesi del settore ma anche nel contesto internazionale. Per esempio, anche in Italia, dove nel 2022 ci sono stati dei movimenti sociali a seguito di una fusione tra Véolia e Suez che ha squilibrato il mercato del settore della gestione rifiuti e ha messo in difficoltà i lavoratori e le lavoratrici. È anche così che hanno preso coscienza dell’importanza di avere un contratto collettivo unico per tutto il settore, proprio per rompere i meccanismi di messa in concorrenza dei dipendenti.
Per cercare di capire meglio come vi siete organizzati: prima facevi riferimento ai vari mestieri che compongono tutta la filiera della gestione dei rifiuti. Ci sono stati dei settori che si sono mobilizzati prima di altri? Si sono mossi prima i lavoratori sindacalizzati? Insomma, come è nata e come è stata ampliata la lotta in tutta la filiera?
La filiera della gestione dei rifiuti è composta di varie professioni: i mestieri della pre-raccolta, quelli della raccolta, i mestieri dello smistamento, dell’incenerimento e quelli dello stoccaggio. Quindi il ragionamento è stato questo: senza raccolta non poteva esserci il trattamento, senza trattamento non poteva più esserci la raccolta. Questo dimostra il fatto che siamo in un certo senso un’economia circolare trasversale a tutti i settori. E quindi dal momento in cui c’è un ingranaggio della catena che è in arresto, allora la catena non può più funzionare in modo efficiente e quindi si può provocare eventualmente un blocco di tutta la catena.
Quindi la strategia iniziale era quella di scioperare gli uni dopo gli altri, di modo da ottenere un blocco del settore duraturo nel tempo. Però quando i colleghi hanno visto i grossi numeri di scioperanti nei vari settori nessuno è riuscito a rimanere disciplinato e tutti hanno scioperato in contemporanea!
E, come dicevo prima, siamo un settore di attività che è contestatario per definizione, a prescindere dalla sindacalizzazione di chi lavora. Lo siamo per via delle nostre condizioni di lavoro, per via della nostra prossimità ai rifiuti. Noi riusciamo ad avere uno sguardo ampio e critico su tutta la società del consumo. Chiaramente i lavoratori sindacalizzati sono stati un motore, ma non li distinguiamo dagli altri scioperanti, si tratta di un’azione collettiva sul lavoro.
Come dicevi l’altra sera: avete pensato al vostro sciopero nel settore dei rifiuti come qualcosa che tocchi in modo trasversale tutta la società quindi in un certo senso avete avuto un ruolo centrale in tutto il movimento attuale.
Non l’abbiamo pensato, è il contesto della nostra professione nella società.
Prima dicevi che uno dei temi principali è stato quello delle pensioni ma che non è stato l’unico. Hai accennato a delle condizioni di lavoro degradanti e molto impattanti sulla salute di chi lavora. Questi scioperi sono stati un’occasione per discutere di questi impatti collettivamente e pensare a delle strategie per tentare di migliorare sicurezza e salute sul posto di lavoro?
È quello di cui parliamo di più. È al centro delle nostre discussioni, fa parte della nostra realtà, del nostro quotidiano. Per esempio la settimana scorsa, i netturbini di Nantes erano in sciopero a seguito di un cambiamento di gestione di appalti che gli imponeva un cambiamento dell’organizzazione del lavoro in termini di turni e ritmi del lavoro. Prima avevano degli orari fissi, per esempio, la mattina e sono passati a un’organizzazione del lavoro che chiamano di squadra in cui ci si alterna una settimana su due, il pomeriggio e la mattina. Questo è stato un fattore scatenante degli scioperi dei netturbini in quel contesto. C’erano problemi anche da un punto di vista salariale o altri problemi più piccoli ma questo è stato un punto centrale per una questione di equilibrio tra lavoro e vita personale. Capovolge tutto, non ci aiuta se dobbiamo occuparci dei nostri figli, per avere un equilibrio familiare, per il nostro ritmo biologico, in termini anche dei nostri riferimenti sul territorio e contatti con gli abitanti. Questi esempi mostrano come questo cambiamento di organizzazione possa stravolgere le nostre vite.
Quali sono i vostri legami con le lotte ecologiste? È successo qualcosa di nuovo sotto questo punto di vista?
Il legame è evidente per noi, anche se spesso siamo gli ultimi a dichiararci ecologisti. Invece siamo i primi e le prime attori e attrici dell’ecologia. Le lotte chiamate ecologiste sono sconnesse dalle nostre realtà professionali e dalle nostre rivendicazioni. Al di là degli slogan come “fine del mese, fine del mondo, stessa lotta”, la questione non è inserita in un DNA realmente comune. Gli slogan sono delle frasi che servono a far cambiare i contesti politicizzati da ora in avanti, rappresentano per loro un primo momento di presa di coscienza per avvicinarsi al mondo del lavoro.
Ma le cose stanno evolvendo in modo positivo. Come dicevo prima, questo sciopero ha reso visibile i rifiuti nelle strade di una delle principali metropoli del mondo. Questo ha fatto muovere diverse cose nell’inconscio collettivo.
State portando avanti delle rivendicazioni anche rispetto alla salute?
Si, per esempio, la riforma delle pensioni è nociva per la nostra salute. Se allunghiamo il tempo del lavoro, che sia giornaliero o mensile o annuale, su tutta una carriera professionale, questo ha un impatto sulla nostra salute. Potenzialmente possiamo rimanere al lavoro per tutta la durata della nostra vita, fino alla morte in un certo senso. Ma questo ha necessariamente delle conseguenze irreversibili sulla nostra salute. Questo è il problema. Il quadro legale che è trasversale all’insieme dei paesi del mondo, almeno spero, prevede degli obblighi per datori di lavoro sia in termini di sicurezza che di salute sul lavoro, questo nei codici del lavoro. Questo è sicuramente vero in Francia ed in Italia. Questo allungamento degli anni di lavoro non permetterebbe ai datori di lavoro di rispettare i loro obblighi in materia di salute e sicurezza. Proprio per questo nasce la frase “questa riforma è ingiusta”. È più che ingiusta, è morticida, se posso inventare questa parola.
Infatti noi per esempio, per tornare alle prime domande, rivendichiamo un contratto collettivo per tutti i lavoratori e le lavoratrici del settore della gestione dei rifiuti. Questo per poter avere una sistema di welfare comune e per portare avanti delle azioni collettive rispetto a delle rivendicazioni comuni e che facciamo nostre.
Questo è quello che posso rispondere in modo generale, poi ci sarebbero tanti esempi da fare perché il tema della salute è veramente un problema per noi. Abbiamo uno dei tassi di incidenti sul lavoro tra i più elevati, abbiamo delle inidoneità, delle invalidità, con dei tassi altissimi rispetto alle medie delle altre professioni. Abbiamo numerosi licenziamenti per inidoneità sviluppate sul posto di lavoro, molti di noi hanno avuto un collega o una collega che hanno visto morire sul posto di lavoro. Vi faccio degli esempi che sono solo l’apogeo di un vasto insieme di problemi.
Cosa puoi dirci di questa professione in termini di composizione? Anche in termini di composizione di genere per esempio.
In Francia c’è la volontà da parte del patronato di femminilizzare alcuni mestieri. Questo processo si inserisce nel quadro del tema uguaglianza uomo/ donna che è al centro dei dibattiti. Ci sono anche tanti mestieri femminilizzati di cui non si parla e nel contesto dei quali la presenza degli uomini è minoritaria. Nei nostri gruppi di lavoro abbiamo anche diverse caratteristiche comuni in particolare il colore della pelle.
Nei paesi occidentali i mestieri di questo settore sono il riflesso della società: per esempio, spesso la nostra organizzazione del lavoro riflette l’organizzazione domestica. In Francia, sono le donne in casa che smistano i rifiuti nelle cucine e gli uomini che mettono la spazzatura per strada. Anche noi abbiamo molte più donne nello smistamento che nella raccolta dei rifiuti. Abbiamo anche molti mestieri femminizzati nella parte delle fatturazioni, nel commercio, e abbiamo ancora oggi un soffitto di cristallo per quanto riguarda l’accesso alle posizioni di dirigenza. Anche se le cose stanno cambiando. Al livello della dirigenza c’è una tendenza femminista che però può essere di destra come di sinistra.
In questi giorni qui siete in una fase di pausa, quale è la vostra strategia in questo momento e per le prossime mobilitazioni? E come vi muovete di fronte alla repressione crescente?
Inizialmente la nostra strategia era quella di assicurare una continuità dello sciopero nel tempo. E non si porta avanti uno sciopero nel lungo periodo allo stesso modo in cui lo si porta avanti nel breve periodo. Quindi può sembrare che questa sia una pausa ma non lo è. Alcuni sindacati hanno parlato di una sospensione. Ma questa non è neanche una sospensione. È solo che bisognava trovare delle parole ma lo sciopero nel settore della gestione dei rifiuti sta continuando a crescere in tutta la Francia. Nelle più grandi metropoli francesi: a Tolosa, a Nantes, a Orleans. Con delle fasi diverse. A Parigi siamo in questa fase che coincide con una forte diminuzione degli scioperanti e un aumento della repressione ma con l’aumento delle réquisitions (requisiti minimi di lavoro garantito). Questi elementi possono essere visti come il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Per vedere il bicchiere mezzo pieno possiamo notare che se il governo ha messo in atto le réquisitions vuol dire che c’era un rapporto di forza con delle conseguenze importanti e che gli abbiamo creato dei problemi. Sennò non avrebbero avuto bisogno di utilizzare le loro ultime cartucce. Per quanto riguarda il numero decrescente di scioperanti: come in ogni movimento ci sono alti e bassi e c’è stato bisogno di ricentrarsi un attimo e prendersi del tempo per ri-discutere collettivamente. Per ripartire più forti. Questo riguarda questa fase a Parigi, ma la temporalità della lotta nelle varie metropoli francesi non è la stessa. Ci sono attualmente in altre città mobilitazioni forti. Questo è un conflitto che si inserisce e che va letto al livello nazionale. Non è un conflitto locale o che riguarda una città. Poi era anche importante mobilitarsi più fortemente nei contesti dove i politici si agitano più velocemente. Detto questo ci sono tante periferie che stanno iniziando a mobilitarsi anche esse, che si aggregano al movimento, in particolare nel contesto del SIVOM.
Per quanto riguarda la repressione: abbiamo sempre vissuto una repressione crescente quando il rapporto di forza diminuisce. La repressione ha coinciso con la diminuzione degli scioperanti e di conseguenza chiamiamo anche ad esporsi meno alla repressione in questo periodo in cui il nostro rapporto di forza è minore. Perché non vogliamo esporre le persone a dei rischi smisurati, spontanei e non organizzati. Perché il nostro rapporto di forza non è nel confronto con la polizia ma nello sciopero e nell’articolazione del nostro rapporto con chi ci sostiene. Ma abbiamo una grossa creatività nella lotta sociale.
21/4/2023 https://www.infoaut.org/
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