Secessione: come risponde il sud?

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Il ministro Fitto ammette le difficoltà a centrare i target Pnrr della quarta rata. Difficile che si creeranno i 260mila posti attesi negli asili nido entro il 2025, difficile, anzi impossibile, uscire dalla gabbia illogica della spesa storica e vedere nascere qualche asilo al Sud. Entro un mese ci sarà un quadro preciso di tutti i ritardi del Pnrr: Palazzo Chigi sta infatti raccogliendo i documenti per la relazione semestrale al Parlamento. Fitto spera così di poter dimostrare le responsabilità diffuse che stanno rallentando l’attuazione del Piano e già gioca in difesa non assumendo nessuna colpa dei ritardi. Esponenti del governo e della maggioranza dicono tutto e il contrario di tutto, ma il governo comunque ancora non adempie al suo principale dovere: trasmettere al Parlamento la relazione sullo stato di attuazione.

Ormai è evidente a tutti, almeno a quelli che hanno ancora un minimo di onestà intellettuale, che quella del PNRR è solo una enorme partita di giro, ordita ai danni dell’Italia tutta e del Mezzogiorno in particolare, da parte dei Paesi “frugali” del Nord Europa ben consapevoli del fatto che per l’Italia e per il Sud Italia in particolare, dopo oltre un decennio di tagli e spending review, sarebbe stato impossibile riuscire a rispettare i tempi stringenti impostici dalla Commissione Ue per la presentazione dei progetti e per la loro realizzazione definitiva entro il 2026. Così da poterci tenere in “ostaggio” su altri fronti, mercanteggiando la concessione dei fondi, come infatti sta accadendo. Mentre non a caso mercati e agenzie di rating internazionali agitano lo spettro dello Spread e del debito pubblico italiano insostenibile.

L’Italia nel suo insieme dopo un decennio di tagli e spending review (sempre imposta dalla Ue) ha amministrazioni pubbliche irrimediabilmente dissestate, soprattutto nel Mezzogiorno, ed ora è impossibile rispettare i tempi imposti.
Qui non è questione di scendere dal carro e “mettersi alla stanga” a tirare accanto ai buoi. Non c’è stanga che tenga, quando i piedi sono spezzati e in più affondano nel fango.

I politicanti di centro-sinistra-destra del “ce lo chiede l’Europa” lo sapevano benissimo ma hanno tentato l’azzardo, speranzosi in un futuro accomodamento con la Commissione (che ora si sta purtroppo risolvendo un ulteriore “incaprettamento” fatto di sacrifici ai danni sempre e solo noi di cittadini), ma presi dall’ansia di accaparrare più denaro possibile non se ne sono preoccupati. Ora i risultati sono che i fondi sono bloccati e siamo alla trattativa con il cappello in mano da parte del governo. 
Non a caso, con le nuove regole proposte il 26 aprile dalla Commissione europea il 26 aprile scorso a proposito di revisione del Patto (Pacco) di stabilità, gli investimenti del Pnrr NON risultano esentati nella valutazione dei conti pubblici, imponendo così una rigorosa revisione della spesa pubblica, compresi gli investimenti. In altre parole, tanto per cambiare, presto altri sacrifici, privatizzazioni e altre manovre lacrime e sangue a solo danno delle fasce più deboli della popolazione…

Così il Mezzogiorno beffato non riceverà nemmeno il (già ridotto) 40% dei fondi totali promesso dal precedente governo Draghi. Arriverà poco o nulla. Nell’ottica dell’Autonomia differenziata e della visione di destra del governo, tutto o quasi andrà a chi ha già, mentre chi non ha nulla riceverà. Non si esce così dalla logica, illogica, dalla spesa storica pur sotto una forma diversa, classista. Non a caso i governatori e i sindaci del Nord da oltre un anno chiedono di poter disporre di tutti i fondi disponibili, per poi o fallire miseramente, come Sala che a Milano che ha “perso” 12 milioni del Pnrr perché non sa dove mettere i 300mila alberi che si era impegnato piantare o per tentare di sprecarli in stadi (Firenze e Venezia). Non sono ostacoli piovuti dal cielo quelli che frenano il Pnrr, ma sono evidenze facilmente prevedibili sin dalla nascita del piano. Gli ostacoli erano insiti nel Pnrr.
Nessuno ovviamente ricorda che I fondi del Pnrr dovevano servivano a colmare il divario economico ed infrastrutturale tra le 2 Italie, Nord/Sud.

Ed è proprio per iniziare a colmare questa vergogna che la Ue aveva concesso all’Italia la più alta somma di prestiti fra tutti i Paesi Ue.
Ma come da prassi italiana si è preferito sottrarre i soldi ai territori del Mezzogiorno per tentare di destinarli alla ristrutturazione di stadi, per poi vedersi bocciare la proposta dalla Commissione Ue che ha giudicato ad esempio «L’area del Franchi non degradata» e negato i relativi fondi o per destinarli all’aumento del numero di buche dei campi di golf e così via in un vero e proprio festival dello spreco.
Ora i cittadini del Mezzogiorno, già vessati da una mancanza storica di welfare e infrastrutture, si troveranno nelle condizioni di dover ripagare con le proprie tasse il prestito ricevuto dalla Ue nella stessa percentuale dei cittadini del Centro-Nord pur ricevendo per i propri territori poco o nulla (ricordando che da indicazioni Ue almeno il 65% dei fondi dovevano andare al Mezzogiorno). Una vera e propria truffa.

Inoltre i ritardi del governo sul PNRR mettono in luce la follia del progressivo processo di distruzione dello stato durante l’era neoliberista. Dopo un quindicennio di tagli, imposti dalla Ue, ora tutti ammettono che per crescere servono investimenti pubblici. Solo che manca il personale minimo, con una retribuzione adeguata, per gestire piani così abnormi.

L’Italia è uno dei paesi europei con il numero minore di dipendenti pubblici ogni 1.000 abitanti. La Macroregione del Mezzogiorno, malgrado le idiozie propagandistiche della Lega, è quella più colpita fra i Paesi OCSE. A causa dell’austerità e della spending review imposta a partire dal 2010 e alle politiche di blocco del turnover, il pubblico impiego oggi non solo è ridotto numericamente, ma è anche più anziano e meno preparato.
Invece di pensare a porre rimedio adesso c’è chi spera che i piani del PNRR possano essere stravolti con la scusa dei ritardi, mandando tutti o quasi i fondi al Nord e il PNRR trasformato in una ennesima regalia per le imprese, con sussidi senza alcuna condizione per i soliti amici. La regionalizzazione fatta nel 2001, con la riforma del Titolo V, con il contributo essenziale del centro-sinistra ha contribuito non poco ad indebolire lo Stato.

“Secondo lo studio Svimez “I Comuni alla prova Pnrr” l’occasione è stata colta dalle amministrazioni comunali che hanno partecipato in massa ai bandi ministeriali (con tassi di adesione anche superiori nel Mezzogiorno tra i Comuni con meno di 30.000 abitanti), nonostante procedure giudicate troppo complesse dal 63% dei Comuni del Sud (57% al Centro-Nord). I tempi di realizzazione delle opere osservati nell’ultimo decennio evidenziano che i Comuni del Mezzogiorno impiegano quasi tre anni per completare un’infrastruttura sociale, nove mesi in più della media nazionale. Un gap di capacità realizzativa che si determina già nelle prime fasi di avvio dei lavori, rallentate dalle carenze di competenze tecniche e dirigenziali interne alle amministrazioni”. Va però detto che anche in Emilia-Romagna il Pnrr “non ha molte chance di essere concluso nei tempi previsti”. Questo è l’allarme lanciato sui giornali del 30 marzo dal dirigente della Regione, Francesco Frieri, che ha messo l’accento sulla difficoltà dei Comuni, in particolare più piccoli,a gestire grandi cantieri e progetti con il personale a disposizione.

Un rilievo che viale Aldo Moro muove da tempo, confermato dalla relazione della Corte dei Conti che è stata presentata in Senato.

Di fronte ai preoccupanti segnali di rallentamento del Pnrr, il Governo è davanti a un bivio”, così come detto dal Ministro Fitto: “alcuni interventi da qui a giugno del 2026 non possono essere realizzati…è matematico, è scientifico, dobbiamo dirlo con chiarezza”.

Nel frattempo gli ultimi governi italiani hanno utilizzato i fondi di coesione e quelli europei destinati alle arre svantaggiate per fare cassa, impegnandosi a ricostituirli con i fondi del Pnrr che però ora forse non arriveranno più.
Un film già visto decine di volte, come detto una vera e propria truffa, l’ennesima sottrazione sempre e solo ai danni del Mezzogiorno.

Così, causa applicazione della spesa storica, gli asili al Sud non ci sono mai stati e continuando così non ci saranno mai, mentre al Nord si insiste sulle privatizzazioni anche degli asili, sulla sanità hanno già tagliato da anni tutto il tagliabile commissariando intere Regioni e adesso hanno appena approvato il Ddl Calderoli per cancellare definitivamente, con l’autonomia differenziata, anche solo la speranza di ricevere qualche fondo statale in un Paese in cui i meridionali sono da sempre solo cittadini di serie B.
Di questo stato di cose, certo non molto veicolato dai media, i cittadini meridionali dovrebbero iniziare a prenderne atto e cambiare nelle urne il loro voto, fino ad oggi in misura preponderante sempre a vantaggio del centro-sinistra-destra consociativista che opera con le solite logiche distorte di favorire la cosiddetta “Locomotiva” del Nord del Paese.
È sconfortante ad esempio la mappa delle tasse sulle imprese tracciata dalla Cna, la maggiore confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa. Da questo quadro risulta che nel 2022 una piccola attività di Agrigento ha avuto bisogno di lavorare oltre un mese in più per far fronte al carico fiscale rispetto a una di Bolzano.

In generale, dalla cartina dell’Italia emerge una maggiore concentrazione dei valori più alti di tassazione nell’Italia centro-meridionale. “Nei territori del Paese dove i servizi sono peggiori si pagano più tasse e di questo bisogna andare a discutere con chi ci governa anche sui territori”.

Basti pensare che pochi giorni fa un incidente ferroviario ha letteralmente spaccato l’Italia a metà per ore, ma l’Italia anche per quanto riguarda le infrastrutture è spaccata da sempre in due e Salvini, ora ministro dei trasporti, dovrebbe spiegare perché il suo partito è sempre stato in prima fila nella richieste di investire sempre e solo al Nord, con recita il suo slogan “prima il nord”…

In Europa non c’è Paese in cui l’Alta Velocità ferroviaria non si sia sviluppata equamente fra Nord e Sud, Est e Ovest. Non c’è da nessuna parte uno scandalo dettato dal razzismo di Stato come quello italiano. E se da Milano a Torino c’è un treno da 300 Km all’ora ogni 30 minuti, la velocità media dei treni al Sud è di 65 chilometri orari, spesso a binario unico.
Perché al Sud le ferrovie si devono costruire con fondi europei e al Nord con fondi italiani, cioè anche con le tasse e i biglietti pagati dai viaggiatori meridionali? E come mai i fondi europei non si aggiungono alla spesa nazionale come dovrebbero? Dal 2000 al 2017, gli investimenti delle Ferrovie dello Stato non solo non hanno mai raggiunto al Sud il livello medio del 45% indicato a suo tempo per iniziare un minimo di riequilibrio, ma non hanno mai nemmeno sfiorato il 34%, pari alla percentuale della popolazione meridionale, attestandosi sul 20% con l’80% destinato ai territori della “Locomotiva “. Addirittura Trenitalia investe e costruisce Ferrovie all’estero, ma non nel Mezzogiorno e noi paghiamo…

Dagli anni ‘50 a oggi, la spesa nazionale per lo sviluppo del Sud è scesa ulteriormente. Dimenticando che il miracolo economico italiano si è avuto quando con la Cassa del Mezzogiorno si è incluso il Sud nello sviluppo, confermando che l’unica maniera per crescere è includere il Sud, non escluderlo. Che il motore del Paese puó essere anche il Sud. Ora per predare ancora e disintegrare il Paese arriva l’Autonomia differenziata. Tutto il resto sono chiacchiere, razzismo e furti di Stato da parte dei soliti politicanti del centro-sinistra-destra, anche del Sud, con la testa rivolta esclusivamente a Nord.

Bisognerebbe fare come in Francia e non solo per le pensioni, ma in Italia e nel Mezzogiorno ancora in pochi protestano.

Fra chi protesta con iniziative concrete credo sia da segnalare la nascita nello scorso gennaio del “Fronte Meridionalista la Riscossa del Sud”, che vede al momento l’adesione del Partito del Sud, del Laboratorio la Riscossa del Sud, della Carta di Venosa, del Comitato Salvemini a cui si sono uniti recentemente gli studenti universitari del CSAR, Comitato Studentesco di Padova.

Interessante l’appello lanciato in questi giorni in cui si chiede ai Sindaci e di rendere forte la contrarietà al disegno di AD con un gesto simbolico ma importante: apponendo dalla propria Casa Comunale uno striscione “Questo Comune è Contro l’autonomia Differenziata”, favorendo così la diffusione di una presa di posizione di contrarietà allo Spacca-Italia.

Da segnalare poi il lavoro particolarmente significativo che porta avanti da qualche anno il “Tavolo nazionale No autonomia differenziata”, come luogo di confronto fra diversa realtà, analisi e organizzazione e i Sindaci del “Recovery Sud”, anche loro molto attivi contro l’AD e che da tempo organizzano manifestazioni come quella recente del 17 marzo scorso a Napoli.

La lotta viene portata avanti anche a livello regionale, come giusto che sia, ad esempio con l’iniziativa del “Comitato dell’Emilia-Romagna contro ogni AD” che sta per lanciare una raccolta firme per una Lip regionale e, ormai prossima all’avvio, la raccolta firme per il referendum in Basilicata, sempre contro l’AD, promosso dalla “Carta di Venosa”. Sono squilli di rivolta, focolai, significativi.
Bisogna infatti, possibilmente insieme, cercare di capovolgere la prospettiva geografica e in ottica euromediterranea iniziare ad operare politicamente per costruire una grande blocco politico del Sud che possa controbilanciare la logica che da più di 160anni prevale e mantiene ogni centro di potere finanziario, politico, culturale al Nord e che vede il Mezzogiorno solo come una Colonia interna estrattiva. E’ovvio che questo può avvenire solo in un’ottica marxista e deve necessariamente fare leva con quei Partiti della Sinistra non compromessi da decenni di connivenza con i “poteri forti”, al fine di dare una degna rappresentanza ai territori del Sud. Il tutto non in ottica revanscista, ne scaturirebbe solo una specie di “Lega del Sud”, ma di equità nazionale, in rispetto dei i principi costituzionali e andando a creare una sinergia positiva per tutti i cittadini a prescindere dalla residenza.

Importante quindi ricordare che per costruire l’alternativa popolare di sinistra alle parole d’ordine antiliberista, ambientalista, anticapitalista, antifascista, femminista e pacifista, è doveroso aggiungere meridionalista; visto che il Mezzogiorno non solo è il territorio più povero d’Europa, ma soffre di discriminazioni e di un razzismo di Stato che addirittura penalizza volutamente anche la durata di vita dei suoi abitanti e quindi ha bisogno di un richiamo e di una sua specificità riconoscibile e riconducibile.

Bisogna unirsi tutti su più battaglie, in questo caso sul Mezzogiorno dandogli voce e rappresentanza. Il meridionalismo non è una corrente politica, ma un’attività di ricerca e di analisi storica ed economica sulla Questione Meridionale al fine di risolverla. Pertanto o la Sinistra è, anche, meridionalista o è automaticamente protoleghista, cioè non è sinistra.

Natale Cuccurese

Comitati contro ogni Autonomia Differenziata
Presidente del Partito del Sud

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