Per una didattica sovversiva

È possibile conciliare la didattica e la ricerca a livello universitario con l’attivismo e la mobilitazione attiva finalizzata a produrre un cambiamento sociale o politico che tuteli la salute? Abbiamo bisogno di vedere il mondo attraverso gli occhi degli emarginati e agire contro i processi e le forme che riproducono le condizioni oppressive ideologiche e istituzionali. Questo riposizionamento comporta un impegno verso le politiche e le pratiche che incarnano i principi dell’educazione critica e la revisione sostanziale del ruolo dell’università nella società contemporanea.

Una cellula eretica: questo l’appellativo con cui alcuni professori della Facoltà di Medicina di Bologna amavano beffardamente definire il gruppo di giovani studenti e assegnisti (ora conosciuto come Centro di Salute Internazionale – CSI)[i] che si era formato attorno a un non più giovane docente di sanità pubblica da poco rientrato in Italia da varie esperienze in Africa rurale e in una università anglo-sassone. La sua colpa era di non parlare di malattia ma di salute, spingendosi addirittura fino a trattare della natura politica della salute, della sua iniqua distribuzione e stretta dipendenza dalla organizzazione sociale. Come luogo di eresia, il CSI era implicitamente accusato di corrompere i giovani studenti allontanandoli dall’ortodossia biomedica tutta incentrata nello studio della biologia del corpo e “avulsa dal mondo circostante e dai suoi problemi” [ii], ossia da come e dove nasce e muore la salute.

Eppure, una domanda ineludibile, soprattutto tra i futuri medici di medicina generale e professionisti della salute operanti sul territorio in diretto contatto con la comunità,  riguarda i valori e il ruolo sociale a cui la loro formazione dovrebbe essere improntata.[iii] La stessa etica medica, che sembra faticosamente entrare nel corso di studio, troppo spesso enfatizza problemi individuali e dilemmi di particolare appeal mediatico (come costose tecnologie, terapia genica, clonazione), mentre pone scarsa importanza alla produzione sociale della salute. Ciò che è trascurato, omesso o spesso coscientemente occultato è la valenza etica e politica della responsabilità sociale del medico e del professionista sanitario. Non è sufficiente rilevare l’importanza della deontologia medica quale “base della tutela della professione” identificandola con l’”etica della salute e della cura”, non basta fare appello a una responsabilità professionale di taglio velatamente corporativo omettendo di proclamare con forza la necessità della assunzione di obblighi nei confronti dell’intera società umana.[iv]

La responsabilità sociale del professionista della salute pone l’accento sulla presenza di una coscienza sociale, è attenta alle strutture e ai meccanismi di disuguaglianza, potere e privilegio, e opera per promuovere la giustizia sociale e la pace[v] nell’interesse del bene comune. Riguarda una scelta che è personale e libera e “non ha bisogno di una legge che obblighi a compierla”.[vi]  Qual è il ruolo della formazione nel creare laureati che, consci del servizio che dovranno prestare alla comunità di appartenenza, intendano farsi carico di questi obblighi? È possibile conciliare la didattica e la ricerca a livello universitario con l’attivismo e la mobilitazione attiva finalizzata a produrre un cambiamento sociale o politico che tuteli la salute?

Angelo Stefanini

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3/7/2023

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