Nanterre: la vecchia bidonville parigina
A Nanterre i disordini vengono gestiti con i blindati del nucleo antiterrorismo, ma basta un colpo di pistola di una agente di polizia per ammazzare un adolescente. Nanterre è la vecchia bidonville parigina e il meccanismo è quello del razzismo sistemico
Dal supermercato di Noisy-le-Sec si sono portati via soprattutto alcolici e flaconi di shampoo, strafogandosi di patatine confezionate e devastando il resto. A restringere il campo si potrebbe quindi supporre che i tumulti dei giorni scorsi abbiano una loro coerenza e il problema sembrerebbe quello solito di una certa teppaglia che sta in fissa coi capelli mentre si abbuffa di schifezze industriali per chetare la fame chimica.
Tutto peraltro plausibile, se non fosse che altrove hanno distrutto banche e farmacie, stazioni di servizio e ristoranti, dando fuoco alle auto in sosta senza fare alcun bottino. Passino le farmacie, dal momento che i devastatori hanno mediamente diciassette anni e rientrano nella fascia di età per la quale in Francia sono più che raddoppiate, dal 2010, le prescrizioni di sedativi. Le incursioni al megastore della Nike o al commissariato di Reims: anche qua non è impossibile ipotizzare un movente, ma che dire delle piccole botteghe e delle merci riversate sulla strada come le budella di un animale squartato?
Per il moralista impanicato e le sue centrali di riferimento ideologico non ci sono dubbi, perché parleremmo di gente fatta esattamente così, che se muore un coetaneo ne approfitta per continuare a marcire. Mentre a Nanterre si rifanno vivi i blindati del nucleo antiterrorismo, i disordini vengono quindi ricondotti a un determinismo endogeno che a seconda delle circostanze può indifferentemente degenerare nella strage al Bataclan come nelle predazioni della settimana scorsa.
Un tempo, del resto, proprio dove adesso tornano a circolare i mezzi corazzati e la polizia ha freddato un adolescente, sorgeva la vecchia bidonville parigina, nella preistoria di un territorio che ancora oggi obbliga le politiche a schiantarsi contro i propri accomodamenti.
L’esigenza di smantellare la bidonville venne avvertita negli anni della guerra di liberazione algerina, quando il nuovo dispositivo al quale ricorsero le autorità fu quello delle cités de transit, soluzioni abitative espressamente inadeguate ma che da un lato avevano lo scopo di correggere i comportamenti degli immigrati per adattarli in modo graduale agli standard europei, perché al momento di una vasca da bagno non avrebbero saputo cosa farsene, mentre dall’altro risultavano appunto transitorie e dunque indegne di un investimento più importante.
Nei fatti, però, quel dispositivo servì soltanto a cronicizzare una forma di «urbanità incompiuta» che in nome del provvisorio avrebbe consolidato uno specifico assetto dei rapporti postcoloniali, assumendo un carattere permanente che nel caso della cité des Potagers, per esempio, si protrae da più di sessant’anni e dovrebbe terminare soltanto nel 2025 con la sua definitiva riconversione in un quartiere di alloggi a canone calmierato.
Un caso estremo, certo, ma che può illustrare una più complessiva tendenza a fare della temporaneità una tecnologia di governo a buon mercato, mimetizzando lo scandalo di una prassi e la rendita dei suoi beneficiari nelle presunta anomia di chi ne patisce gli effetti. Alcuni francesi sono intrappolati in questo esperimento della quasi-cittadinanza da svariate generazioni, la sospensione è il tratto ereditario delle loro vite legalmente e moralmente deprezzate.
Non cambiano mai, si dice, rimangono quelli che nella vasca da bagno tenevano il carbone e nonostante i generosi sforzi della République continuano a rifare ovunque la loro bidonville: ecco il razzismo perfettamente sistemico, la macchina che si alimenta dei propri gas di scarico.
Ma quando il deprezzamento giunge al limite delle vite che non valgono più nulla, come è accaduto a Nanterre la mattina del 27 giugno, non si capisce cosa dovrebbe più trattenere la folla dallo sfondamento di qualunque altro limite, ricercando nel frastuono della devastazione quello che Elias Canetti chiamava «l’applauso delle cose» e ricavando dalla minaccia di morte un valido motivo per vivere il tempo che rimane prendendosi tutto e senza rispetto di niente.
Perché domani chissà, ma intanto le donazioni a favore dell’agente che ha sparato superano il milione di euro, mentre la madre del ragazzo ucciso ne ha ricevuti soltanto duecentomila, vale a dire che avere diciassette anni a Nanterre significa farsi strada in un mondo che tende a condividere le ragioni del tuo assassinio.
Ed è stato proprio Canetti a sostenere che violando la proprietà o dando alle fiamme un Palazzo di Giustizia, la massa sta consentendo ai suoi componenti di capovolgere il terrore della preda nella sensazione di essere finalmente tutti uguali.
Pierpaolo Ascari
8/7/2023 https://www.dinamopress.it
Immagine da Openverse di David McKelvey
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