Israele. Addestrare i cani a incutere terrore

L’utilizzo di cani appositamente addestrati dai militari israeliani per terrorizzare la popolazione civile palestinese è stato denunciato e documentato da tempo. Questa foto è tratta da https://euromedmonitor.org https://euromedmonitor.org/en/article/741/Caught-on-Video:-Israeli-Soldiers-Use-Dogs-to-Terrorize-Palestinian-Child

Fu nel 1942 che Heinrich Himmler impose l’utilizzo dei cani nei lager nazisti. Posto al comando della più orrenda delle macchine del terrore di cui abbiamo avuto notizia, l’uomo che pianificò e organizzò i campi di sterminio lo fece, probabilmente, per risparmiare sul “personale di sorveglianza” ma certo anche per l’efficacia mostrata dagli animali, una volta indotti a dilaniare inermi relitti umani. Non è naturalmente il solo caso di sfruttamento abietto del più “intelligente” e “fedele” degli amici dell’uomo, ma resta particolarmente evocativo negli orrori della storia moderna. Anche per questo, forse, colpisce – e non poco – l’addestramento spietato che i soldati israeliani impartiscono ai loro cani, spesso equipaggiati con giubbotti antiproiettili e telecamere montate sulla testa, fin dal 1974. Quei cani servono soprattutto a incutere terrore nella popolazione palestinese. Alessia Ricci ha incontrato una donna ferocemente addentata da un pitbull durante l’irruzione notturna nel campo profughi di Jenin dei primi giorni di luglio: Fatima stava dormendo in casa, con la sorella, quando una quarantina di soldati ha fatto saltare la porta della sua casa con l’esplosivo. Il braccio dato in pasto al cane-soldato adesso rischia di perderlo. Quel che di certo la sua memoria conserverà per sempre è il ricordo del terrore. Esattamente l’obiettivo che quel tipo di raid si propone di suscitare. La sua è una testimonianza importante. Non solo per la crudeltà che mostra, ma soprattutto perché riesce a dare almeno un’idea di cosa significhi, per la gente di Palestina, vivere in un incubo che i media non riescono ormai a raccontare che con un paio di numeri, quelli dei morti e dei feriti, che lascia da tempo del tutto indifferente chi legge o chi ascolta

atima ha 52 anni, è sposata, senza figli. All’una di notte del 3 luglio scorso, era sola in casa con la sorella, di poco più giovane, nubile. Il marito non c’era, era andato a fare visita ai genitori, spiega. L’irruzione dell’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin era iniziata intorno alle 11 di quella stessa sera. I bulldozer avanzavano per le strade strette del campo. I cecchini erano posizionati ovunque. I proiettili colpivano all’impazzata. Droni ed elicotteri apache sorvolavano i tetti con un frastuono tremendo. La casa delle donne si trova alla sommità del campo, una posizione strategica, di controllo. Era già stata scelta come base nel 2002, durante gli attacchi della seconda Intifada, ricorda la donna. 

La storia si ripete ora, nel 2023: all’improvviso, più di 50 militari fanno irruzione abbattendo la porta di ingresso con l’esplosivo. Si genera una fitta nube di fumo e detriti. Appena si rischiara, il pitbull al guinzaglio di un militare, viene liberato e si avventa sull’avambraccio di Fatima. La sorella immobile in un angolo, sotto tiro. Alcuni soldati ispezionano i due piani dell’abitazione, altri ridono guardando Fatima, paralizzata dalla paura e dal dolore, il cane non la molla. 

Un messaggio sul muro dell’apartheid a Betlemme. Questa e le altre foto sono di Alessia Ricci

Dopo una ventina di minuti, non trovando niente, i soldati decidono che può bastare, provano ad aprire la mascella dell’animale ma la trovano bloccata nella morsa, come è tipico di queste razze di cani. Solo un terzo soldato riesce ad aprire la bocca e il cane, libero, si rivolge allora sull’altra preda, la sorella di Fatima. A quel punto i militari gli mettono la museruola.

Separano le donne e iniziano a interrogarle:  “Dove sono le armi? Dove sono i bastardi della resistenza?” Fanno saltare in aria una parete. “Shut up and don’t make problems“, intimano loro. Le due donne che devono star zitte e non creare problemi vengono portate nel cortile della casa e lasciate lì, sotto il tiro dei cecchini fino al giorno dopo, senza acqua, cibo, cure.

Fatima è diabetica, le lacerazioni create dal cane sono profonde, sanguina, soffre. Quando vengono rilasciate con altri civili ostaggi nel quartiere, la strada per l’ospedale pubblico, che confina col campo, è bloccata dall’esercito: devono camminare oltre 3 km per raggiungere quello privato, nell’altra direzione, dove ricevono i primi soccorsi.

Il caso di Fatima è gravissimo, rischia l’amputazione e il 5 luglio viene trasferita presso il Khalil Suleiman Government Hospital, l’ospedale pubblico di Jenin, dove resterà sino al 13 luglio. Al momento del nostro incontro, il 3 agosto, la donna è ancora fasciata e ha bisogno di medicazioni. 

Fatima al centro, con la sorella e il marito

Fatima ha uno sguardo profondo, bellissimo, non ha versato una sola lacrima durante il racconto. Piuttosto si è preoccupata di accoglierci con un sorriso nella casa dove ha voluto tenere l’intervista sebbene non ci viva più perché è inagibile. In totale, 430 case del campo sono state completamente distrutte nel raid e altre parzialmente. Nelle incursioni anche il poco oro e i soldi vengono  portati via, aggiunge.

Le ferite sul braccio di Fatima

Svuotata di tutto, dentro e fuori, Fatima non si arrende e rivolge un messaggio, alle donne palestinesi e a tutte le donne del mondo: “Parlate del terrore e delle violenze che subite. La paura è propria di tutti gli esseri umani ma bisogna trovare la forza di superarla per raccontare. In Palestina viviamo un’occupazione barbarica, io sono psicologicamente distrutta. Non dimenticherò mai, ma la denuncia è l’unica forma di riscatto e di solidarietà che noi donne possiamo e dobbiamo trovare, per restare unite, supportarci e vincere sull’odio e la violenza di questo mondo”.

I casi di civili palestinesi attaccati da cani militari duranti i raid del 3 e 4 luglio scorsi nel campo profughi di Jenin, sono almeno 6. 

I cani militari, addestrati per attaccare fino a uccidere, sono in uso da decenni con le forze armate israeliane (e non solo). La prima unità canina, Oketz, risale al lontano 1974. L’esercito considera i cani dei veri e propri commilitoni, spesso essi sono equipaggiati con giubbotti antiproiettili e portano telecamere in testa. 

Le aggressioni dei cani militari sui civili sono invece per lo più taciute dai media.

A partire dal 2012, sono però sempre più frequenti i casi di palestinesi che raccontano di aver subito assalti di cani. Hamzeh Abu Hashem, vittima di attacco nel 2014, a soli 16 anni, ha intentato una causa nei Paesi Bassi alla Four Winds K9, azienda che addestra e vende cani a Israele, un’altra causa è diretta contro il governo israeliano per l’uso che ne fa.

Con riferimento ai raid di luglio, Medici Senza Frontiere riporta: “Il 6 luglio 2023, siamo entrati nel campo profughi di Jenin. Abbiamo trovato case distrutte, pazienti con malattie croniche bisognosi di cure. Abbiamo incontrato residenti le cui case erano state utilizzate come base per i soldati durante l’operazione. Un uomo ci ha raccontato che mentre i soldati erano in casa sua, un cane militare gli è saltato addosso facendolo cadere a terra. Diversi residenti hanno lamentato problemi con i cani dei soldati e ne abbiamo visti molti con morsi di cane”, Jovana Arsenijevic, coordinatrice delle operazioni di MSF a Jenin.

Alessia Ricci

10/8/2023 https://comune-info.net/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *