Tutti parlano dello spot della pesca, nessuno dello sfruttamento in Esselunga
Vi sarà capitato in questi giorni di vedere o (almeno) di sentire parlare della famiglia e della pesca protagoniste dello spot pubblicitario di Esselunga. Un piccolo cortometraggio realizzato dalla nota catena milanese di supermercati che nel giro di poche ore ha stimolato sul web un copioso dibattito fatto di commenti, opinioni e analisi. Un flusso che, se ve lo stavate chiedendo, non vogliamo ulteriormente alimentare. Lascia infatti sconcertato l’effetto che un frutto, una bambina e una coppia di genitori divorziati hanno avuto su giornalisti e lettori (e pure sulla nostra Premier, che ha gradito la scenetta): tre elementi narrativi in grado di catalizzare l’attenzione e spostarla dal resto. Viene da chiedersi se forse l’intento di Esselunga non fosse proprio quello di sviare il dibattito pubblico e spegnere i riflettori su una questione che la riguarda e che l’ha posta anche al centro dell’attenzione di magistratura e guardia di finanza: le pessime condizioni di lavoro cui sottopone i propri lavoratori.
Solo tre mesi fa la Guardia di Finanza di Milano ha effettuato un maxi sequestro di circa 48 milioni di euro ai danni della catena, con l’accusa di “somministrazione illecita di manodopera” con conseguenti “ingentissimi danni all’erario”. Comportamenti che secondo i pm, in possesso di numerose testimonianze, si sarebbero protratti per diversi anni (tra il 2016 e il 2022). Lasso di tempo durante il quale la società avrebbe allestito un sistema di “sistematico sfruttamento dei lavoratori di carattere fraudolento”. Un vigilante ha per esempio raccontato di essere riuscito ad ottenere tre giorni di ferie «solo al momento in cui mio padre stava per morire», mentre in un altro verbale si legge «mediamente effettuo 80 ore di straordinario al mese».
In pratica Esselunga – così come già accaduto in altre grandi aziende – sarebbe riuscita ad ottenere “tariffe altamente competitive appaltando manodopera” in maniera irregolare. Reclutando lavoratori cioè da cooperative, consorzi e altre società, per cui contrattualmente risultavano dipendenti mentre in realtà svolgevano mansioni per Esselunga. Questi serbatoi di manodopera, come li chiama Unione Sindacale di Base, «hanno emesso fatture false per un importo stimato di oltre 221 milioni di euro con una equivalente frode fiscale di circa 48 milioni di euro. Un risparmio di cui si sarebbe avvalsa Esselunga». Ma «non si tratta solo di tasse evase. Ben più tartassati risultano i lavoratori a cui sono stati fregati i contributi previdenziali, il TFR e quant’altro».
Quello di Esselunga non è un caso isolato. A luglio di quest’anno, per esempio, la società Mondialpol, una delle aziende leader nei servizi di vigilanza privata, è stata sottoposta a controllo giudiziario per caporalato e sfruttamento dei lavoratori. Il commissariamento è stato deciso dal pm di Milano Paolo Storari con un decreto d’urgenza, nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla Guardia di finanza. I lavoratori sarebbero stati pagati 5,37 euro lordi all’ora e minacciati di trasferimento in caso di mancata accettazione delle condizioni. Una situazione di forza che avrebbe fatto leva sullo stato di bisogno dei dipendenti, costretti di fatto ad accettare retribuzioni ben al di sotto della soglia di povertà e comunque sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato.
E pochi mesi prima, a marzo, BRT (ex Bartolini) e Geodis, due aziende leader nelle spedizioni internazionali e nei servizi di logistica, sono finite nei guai per lo stesso motivo. La procura di Milano, tramite un’inchiesta condotta dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza, ha disposto per entrambe l’amministrazione giudiziaria per un anno con l’accusa di caporalato e truffa fiscale realizzata attraverso l’impiego di manodopera priva di tutele, fornita da cooperative in subappalto.
Per il fatto che episodi di questo tipo continuino ad accadere c’è da indignarsi ma non da meravigliarsi. Se una pesca è in grado di totalizzare la nostra attenzione, come possiamo accorgerci di un lavoratore sottopagato, sfruttato e senza diritti? Tuttavia basterebbe cambiare prospettiva: non è sbagliato creare una discussione attorno ad una pesca, a patto che ci si chieda, per esempio, come è arrivata sugli scaffali di quel supermercato, e per quanti chilometri abbia guidato quel lavoratore e per quanti pochi spiccioli l’abbia condotta fino a lì.
Gloria Ferrari
30/9/2023 https://www.lindipendente.online/
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!