GUERRA: GRAVE PATOLOGIA DELLA RAZIONALITA’ UMANA. IL SUO ANTIDOTO: L’OBIEZIONE DI COSCIENZA COLLETTIVA

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Già nel XVI secolo Erasmo da Rotterdam definiva la guerra come “oltraggio alla ragione”. E nel XVIII secolo Immanuel Kant sosteneva che, ancora prima di costruire una federazione sovranazionale sulla base del diritto per garantire le condizioni di una “pace perpetua”, occorreva come priorità porre la ragione, cioè persone ragionevoli, al governo degli Stati perché la pace deve essere costruita e può provenire soltanto da uno sforzo cosciente, quindi razionale.

Dopo la seconda guerra mondiale conclusa con la catastrofe nucleare che colpì le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki e in presenza di una sempre più agguerrita e sofisticata “deterrenza” basata su armamenti anche nucleari migliaia di volte più distruttivi, l’ipotesi e la pratica della guerra tra nazioni appare sempre più come opzione pericolosamente priva di logica e di ragione, anche perché nemmeno più funzionale all’obiettivo che si propone: assicurare un ordine mondiale basato sulla sicurezza data dalla forza prevaricatrice del “vincitore”.

Il convincimento che le guerre siano ancora utili deve essere quindi indotto sulla base di spinte completamente irrazionali, che coinvolgano le opinioni pubbliche dei vari Paesi attraverso delle “distorsioni cognitive” notevoli.
Alcune di esse sono ben evidenziate nell’opera del filosofo francese Edgar Morin “Di guerra in guerra”.
Ogni guerra racchiude in sé manicheismo, propaganda unilaterale, isteria bellicosa, spionite, menzogna, preparazione di armi sempre più mortali, errori e illusioni, imprevisti e sorprese…
Ma un’altra grave distonia cognitiva, quando ci chiedono di schierarci da una parte o dall’altra, è il rischio della “decontestualizzazione”, che produce giudizi e prese di posizione unilaterali basate su conoscenze quanto meno lacunose e parziali. Già in tempi cosiddetti normali, è predominante la conoscenza compartimentata e decontestualizzata. Quando imperversa l’isteria fanatica o l’isteria di guerra, essa diventa sovrana e provoca l’odio di ogni conoscenza complessa e di ogni contestualizzazione.

Oggi purtroppo assistiamo a tali fenomeni di regressione delle capacità di giudizio razionale. Ma la guerra presenta altri paradossi che ne dimostrano l’illogicità perversa. In tempi normali, l’omicidio è considerato in quasi tutti gli Stati del mondo, pur nella differenza dei sistemi giuridici, un grave reato da sanzionare e da punire. In tempo di guerra uccidere non solo è permesso, ma diventa obbligatorio. In tempi normali si è in qualche modo tutelati dalla legge contro il rischio di perdere i propri beni. In tempo di guerra bisogna obbedire all’ingiunzione di mettere a rischio il massimo bene che si ha, la propria vita, fino a perderla. E questo viene chiamato eroismo. Ma, ancora paradossalmente, le modalità di fare la guerra come oggi si fa la mettono contro il diritto internazionale, quindi ogni guerra sarebbe illegittima e illegale. Infatti, secondo il Diritto Internazionale, l’uso della forza nell’ambito di un conflitto armato deve:

  • essere limitato ai combattenti e interessare soltanto collateralmente la popolazione civile;
  • essere circoscritto agli obiettivi militari;
  • escludere armi particolarmente insidiose e micidiali, come quelle chimiche;
  • essere limitato alle zone di guerra.

Tali regole vengono ampiamente disattese. Infatti, lo stragrande numero di vittime sono vittime civili (il 90%), gli armamenti colpiscono frequentemente obiettivi pubblici civili come scuole e ospedali, i bombardamenti a tappeto, e le bombe all’uranio impoverito sono armi altamente insidiose e micidiali. Le mine antiuomo colpiscono soprattutto i bambini, come ha ben spiegato Gino Strada nell’opera “Pappagalli verdi”. D’altronde, su una sempre più radicale divergenza tra diritto sancito e reale condotta di guerra così si esprime Norberto Bobbio nell’opera “Il problema della guerra, le vie della pace”:

“Il diritto si ritira da un territorio che non sembra più tollerare il suo dominio. Col graduale e sempre più rapido accrescimento del potere distruttivo delle armi, le limitazioni un tempo accettate dagli Stati belligeranti nella condotta della guerra non reggono all’urto dei nuovi mezzi offensivi…Si potrebbe dire…che la guerra termonucleare è “legibus soluta”.

Naturalmente, si sa benissimo che dietro queste forme di irrazionalità indotte per sostenere i convincimenti a favore della guerra si nascondono “ragioni” che riguardano interessi cospicui di chi le guerre le decide, le fomenta, le organizza ma di cui non subisce le conseguenze. Anzi, da cui pensa di poter ottenere grossi vantaggi, in termini di potere e di ricchezza.

Tuttavia, anche queste convinzioni oggi come oggi appaiono, in prospettiva, oltremodo illusorie e quindi irrazionali. La rovina degli ecosistemi non resta mai limitata e circoscritta. La contaminazione dell’aria, dell’acqua, dei suoli provoca ormai danni planetari, di cui tutti pagheranno le conseguenze. Le crisi economiche dovute ai conflitti si abbattono su tutte le popolazioni, anche su quelle che si dice di voler proteggere. Il rischio di una catastrofe nucleare ormai non risparmierebbe nessuno. E poiché non si possono portare beni e ricchezze personali in un altro pianeta, anche queste “ragioni” appaiono assolutamente irrazionali, se non addirittura ridicole.

Allora, quale può essere l’antidoto nei confronti di questa pericolosa irrazionalità collettiva incoraggiata e stimolata da chi si propone, per quanto illusoriamente, di trarne vantaggi? L’antidoto è dire chiaramente e apertamente NO alla guerra. Ovverossia, l’obiezione di coscienza CONTRO la guerra. L’obiezione di coscienza contro azioni militari ha una lunga storia, molto contrastata, ma alla fine, bon gré mal gré, è stata accettata e riconosciuta come diritto della persona dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, dalla Convenzione Europea e con una legge apposita anche dallo Stato italiano, la legge 15 dicembre 1972, n. 772 che dava il diritto all’obiezione e al servizio civile sostitutivo per motivi morali, religiosi e filosofici.

Oggi non ne abbiamo più bisogno in Italia perché, non essendoci più l’obbligo del servizio militare, ovviamente decade anche il diritto a non farlo. Quello del militare (in aeronautica, in marina oppure nell’esercito) è diventato un mestiere scelto e pure ben pagato. Pertanto l’Italia partecipa con le sue “truppe” di mestiere, sia alle esercitazioni che alle azioni militari in corso. D’altronde, l’art. 11 della Costituzione “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”
è ben bilanciato dall’art. 52: “La difesa della patria è sacro dovere del cittadino”.
Dove poi comincino e finiscano i confini della patria, non sta al cittadino deciderlo.
L’obiezione di coscienza riguardante il rifiuto di svolgere attività di carattere militare in tempo di pace è stata una graduale “concessione” da parte dei governanti, poi tramutata in leggi apposite, per rispetto a particolari convinzioni religiose, politiche o morali delle singole persone o di singoli gruppi. Se è in atto una guerra il diritto all’obiezione di coscienza è molto più contrastato e chi desidera che sia riconosciuto per sé e per gli altri corre grossi rischi, dalla perdita di diritti civili e sociali, alla detenzione fino addirittura alla pena capitale.

In Israele, diversi giovani obiettori sono stati condannati dal governo a pene detentive di durata variabile, per essersi rifiutati di fare il servizio militare e rendersi così complici dell’occupazione. Come, ad esempio, il giovane israeliano Atalya Ben Abba il quale, secondo quanto riportato in un articolo di Irene Masala del 2021, per essersi rifiutato di fare il servizio militare, ha dovuto scontare 110 giorni di prigione.

E non è l’unico: diversi giovani in Israele per la loro renitenza alla leva finiscono nelle carceri militari. In Turchia, in un report dell’Associazione Sava? Kar??tlar? Derne?i (Associazione contro la guerra) sempre del 2021, è detto che “ci sono 85 cittadini obiettori di coscienza che devono fare i conti con multe salate, il rischio di finire in carcere e con una vita di morte civile”.

Vitaly Alekseenko, un cittadino ucraino, è stato condannato lo scorso 23 febbraio a un anno di carcere per essersi rifiutato di combattere. Vitali Dvarashyn, bielorusso, per essersi rifiutato di obbedire agli ordini di Lukashenko sui suoi obblighi militari è fuggito in Lituania, dove però, in quanto bielorusso, è considerato “persona indesiderabile”. Se tornasse al suo Paese, Vitali rischierebbe una condanna fino a 7 anni perché ha partecipato a iniziative pacifiste. Il 19 giugno l’Autorità lituana delle migrazioni ha rinchiuso Vitali in un campo profughi a 100 chilometri da Vilnius.

Per la situazione in Russia così riferisce Oleg Bodrov in una intervista rilasciata a Reiner Braun, direttore esecutivo dell’International Peace Bureau: “Sono previste (per gli obiettori) delle sanzioni che vanno da una pesante multa di diverse decine di migliaia di rubli alla reclusione fino a 15 anni…
Il Ministero della Giustizia della Federazione Russa continua ad assegnare lo status di “agente straniero” alle organizzazioni ambientaliste e per i diritti umani che collaborano con partner di altri Paesi”

Riguardo a Yurii Sheliazhenko, obiettore di coscienza, ricercatore per la pace, educatore e attivista ucraino, così scrive il giornale “Azione Nonviolenta” : “Il leader pacifista ucraino, accusato di “giustificare la guerra di aggressione russa”, in sostanza di essere un “amico di Putin”, … dovrà presentarsi al Tribunale distrettuale di Solomianskyi, a Kiev in via Maxim Kryvonos 25, davanti al giudice Sergiyenko che dovrà pronunciarsi sulla richiesta del Procuratore di assegnare Yurii gli arresti domiciliari per 60 giorni, 24 ore al giorno, e convalidare il sequestro del computer, telefono e documenti prelevati nel corso del blitz del 3 agosto quando alcuni agenti dei Servizi Speciali sono entrati nella sua casa sfondando la porta”.

Molto recente è il caso di Olga Karatch, attivista pacifista bielorussa. Accusata nel suo Paese di terrorismo, rischia una condanna a morte e per questo ha chiesto asilo politico in Lituania, ma il governo lituano ha respinto la sua richiesta. La Karatch rappresenterebbe “una minaccia per la sicurezza nazionale della Repubblica di Lituania”. Repubblica entrata a far parte dell’Unione Europea.

Questo è un altro tragico paradosso irrazionale della guerra: si impedisce a chi obietta e diserta di trovare asilo e protezione in quei Paesi che sostengono di essere “dalla parte giusta”, perché sedicenti contrari all’aggressione armata! Un’altra donna, Elena Popova, coordinatrice del Movimento Obiettori contro il servizio militare, vive a San Pietroburgo e da lì raccoglie tutti gli appelli degli obiettori che si trovano in difficoltà o sono perseguitati.
“Azione Nonviolenta” riporta il suo accorato messaggio: “Penso sempre agli amici ucraini che sono sotto le bombe, penso a chi sta perdendo le proprie case e i propri cari e quindi non devo lasciarmi prendere dal panico e devo continuare a lavorare per la pace. Vengono arrestate ogni giorno circa 3 o 5 mila persone.Fatelo sapere”.

Questi citati possono sembrare casi isolati di obiettori di coscienza che per convinzioni etiche, politiche o religiose rifiutano la guerra. In realtà, sono meno isolati di quanto sembra.

E’ che negli ultimi tempi si va facendo strada un fenomeno molto interessante: l’obiezione alla guerra, da rifiuto personale sta diventando sempre di più fenomeno di massa, coscienza collettiva. E questo è molto incoraggiante. Tant’è che persino la stampa occidentale sta cominciando ad occuparsene. Un articolo pubblicato su “Il Manifesto” in data 12 settembre 2023 riporta questo titolo: “Gli uomini contro dell’Ucraina: quasi 200.000 i «disertori». E all’interno è scritto: “Un fenomeno tutt’altro che trascurabile, in un Paese che ha fatto del patriottismo militarista il proprio brand – e che ha costretto a uniformarsi alla moda tutti i cittadini arruolabili di età compresa tra i 18 e 60 anni, ai quali, come noto, è severamente vietato spostarsi oltreconfine”.

Quando l’obiezione di coscienza contro la guerra, da testimonianza personale diventa coscienza collettiva, allora può assumere davvero la configurazione di “disobbedienza civile” di massa. E questo può fare la differenza, sia a livello culturale, sia a livello politico. I fantocci del potere cadono e con loro tutti i loro armamentari ideologici.

Che qualcosa del genere stia avvenendo, più o meno sotto traccia, in quei Paesi coinvolti nella guerra, dove la censura è forte, me lo fa sospettare anche un altro fatto in cui mi sono casualmente imbattuta, ma che mi ha aperto un nuovo scenario di comprensione di quella realtà. Forse perché sono in contatto, attraverso Face Book, con alcuni obiettori di coscienza sia ucraini che russi, ogni tanto mi vedo capitare sulla mia bacheca dei post relativi a Pagine Face Book di persone ucraine o russe.

Questi post sono scritti in una di queste due lingue, più frequentemente in russo. Sotto, ovviamente, sono riportati i commenti ai post. Da questi commenti, di cui posso vedere la traduzione (a volte orribile) mi sono resa conto che molte persone, sia russe che ucraine, espongono il loro pensiero critico, anche nei confronti della guerra. Soprattutto da parte di Ucraini mi hanno colpito dei commenti che rivelano altro rispetto al solito, vieto nazionalismo. Molti infatti si rendono conto che, oltre al nemico esterno, aggressore, esiste anche il “nemico interno”.

Le donne soprattutto protestano per i figli che sono mandati a morire. E, altro dato interessante, da qualche post emerge chiara la consapevolezza che la gente normale è mandata a morire, mentre “loro” (in un post si citano chiaramente “gli oligarchi”), mandano altrove i loro “guadagni”. Una donna ucraina ha riportato una serie di citazioni, prese da vari autori europei, tutte sul tema della pace. Sono frasi significative, perché decisamente critiche nei confronti anche del proprio governo e perché testimoniano una coscienza “di classe”.
Ne riporto alcune, a mo’ di esempio:

“La guerra è sempre la stessa. Si cambiano solo i nomi dei morti. Si tratta sempre di una cosa: quale gruppo di ricchi condividerà i trofei.“
“Se i pensieri e le forze dell’umanità smettessero di essere spesi in guerra, noi per una generazione potremmo porre fine alla povertà in tutto il mondo.”
“La guerra è un modo dei ricchi per proteggere i propri interessi mandando a morte i bambini della classe media e povera.” “Lasciate che i principi combattano tra di loro, perché spingere gli uomini al macello? “
“Dopo la guerra, pensava sempre: che felicità è vivere! E in confronto a questa felicità, tutto gli sembrava insignificante”.

Un altro aspetto che mi ha colpito di questi commenti è che Russi e Ucraini spesso comunicano tra loro e si scambiano le loro impressioni senza astio e senza odio. E’ come se la Rete, per quanto controllata, fornisca comunque l’occasione sia per poter criticare i “potenti”, sia per poter creare un ponte di comunicazione tra i “nemici”. Naturalmente, non sono tutte rose e fiori, devo dire per onestà che mi sono anche imbattuta in post che inneggiano alla Gloria e alla Vittoria. Tuttavia mi sembra incoraggiante e di buon auspicio il fatto che ci sia una presa di coscienza più diffusa e consapevole su chi vuole realmente la guerra. “L’Avvenire” del 18 Agosto 2023, in un articolo in cui parla di Olga Karathc, la “pasionaria” bielorussa, riporta anche questa dichiarazione di Mao Valpiana, Presidente del Movimento Nonviolento: “La verità …è che l’obiezione di coscienza, la diserzione, la renitenza alla leva, sia in Bielorussia che in Russia come in Ucraina, sono ormai un fenomeno di massa che inizia a fare paura ad entrambi i fronti. Sottrarre persone agli eserciti, rifiutare la logica della armi, opporsi alla mobilitazione militare, è la strategia della nonviolenza, che è efficace perché senza soldati che sparano, la guerra non si può fare. È necessaria ora una azione politica che punti ad un obiettivo preciso: chiediamo che da parte dell’Unione Europea e dei governi nazionali (dunque anche del governo italiano) venga riconosciuto lo status di rifugiati politici a tutti quei giovani russi, bielorussi e ucraini che rifiutano di combattere e si tolgono la divisa. La via della pace passa innanzitutto dal ripudio concreto della guerra”.

Il problema, il grande problema, resta il fatto che molti, troppi “disertori” russi, ucraini e bielorussi vorrebbero concretamente uscire da questa trappola infernale che mette a rischio le loro vite, ma non ce la fanno senza un aiuto concreto e un sostegno. Il Movimento Nonviolento, la rivista “Azione Nonviolenta” e l’organizzazione “War Resisters’ International” sono al loro fianco. Concludo questo articolo riportando il sito di “Azione Nonviolenta” https://www.azionenonviolenta.it/about

Chi lo volesse, può trovare su questo sito altre informazioni, eventualmente può aderire alla Campagna promossa dal Movimento Nonviolento “Obiezione alla Guerra” e anche con un piccolo contributo sostenere gli obiettori.

Rita Clemente

Scrittrice. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

Versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-ottobre-2023/

Archivio http://www.lavoroesalute.org/

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