LEA e LEP, per contenere il potere gestionale delle Regioni

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Oltre alla previsione di legislazione concorrente di cui all’art 117 la riforma del titolo V° fissa dei limiti al potere legislativo e regolamentare delle Regioni.
In particolare l’articolo 120 della Costituzione si prevede che :” Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.”

Tale norma in materia di legislazione concorrente è di garanzia del rispetto del principio di uguaglianza e di uniformità.
E dovrebbe garantire che non solo i LEA ma anche gli indirizzi, i criteri di base e le linee fondamentali (anche di organizzazione) dovrebbero essere individuati a livello centrale. “In più si tratta, per quelli sociali, di diritti la cui garanzia non si esaurisce nella mera enunciazione normativa, ma per i quali riveste significativa importanza l’aspetto della relativa “organizzazione”, poichè essi necessitano di misure, strumenti e mezzi (tanto regolativi, quanto amministrativi) che ne assicurino l’attuazione in concreto come dice la prof.ssa A. TROJSI ordinario di diritto del lavoro.

Sulla base dell’art. 120 venne poi approvata la “legge La Loggia” del 5/6/03 n. 131 con il quale si intendeva adeguare l’ordinamento della Repubblica alle modifiche introdotte al titolo V della Costituzione dalla legge n. 3 del 2001, prevedendo le norme necessarie per rendere operative le nuove funzioni delle Regioni e degli enti locali. 
All’art 1 comma 3 si prevede infatti che “Nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti.
Ed al comma 4. che ..” fino all’entrata in vigore delle leggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi princìpi fondamentali, il Governo è delegato ad adottare, uno o più decreti legislativi meramente ricognitivi dei princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti
Art. 2 comma11. Il Governo è delegato ad adottare, entro il 2005, uno o più decreti legislativi diretti alla individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento.

Le deleghe previste dalla legge la Loggia però non hanno trovato attuazione per cui non sono mai stati definiti principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato e neppure quelli desumibili dalle leggi statali.
Non si è mai proceduto inoltre alla individuazione delle funzioni fondamentali–, essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento.
Pur in mancanza di ciò lo Stato, più o meno in accordo con le regioni, si è ritagliato ampi spazi di potere sia con atti cogenti (standard ospedalieri, LPI, blocco delle assunzioni …) attraverso i patti per la salute e con la forza derivante della assegnazione del FSN in tempi di risorse limitate, sia con atti di indirizzo.

In questa situazione si potrebbe anche fare riferimento alla Legge 833/78 art 5.
Indirizzo e coordinamento delle attività amministrative regionali.
La funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative delle regioni in materia sanitaria, attinente ad esigenze di carattere unitario, anche con riferimento agli obiettivi della programmazione economica nazionale, ad esigenze di rigore e di efficacia della spesa sanitaria nonché agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali e comunitari, spetta allo Stato e viene esercitata, fuori dei casi in cui si provveda con legge o con atto avente forza di legge, mediante deliberazioni del Consiglio dei Ministri.

Ripartizione dei poteri

Già in forza del citato art.5 e se si fosse dato attuazione alla legge La Loggia lo stato ben poteva dare indirizzi per esigenze di carattere unitario ed esigenze di rigore ed efficacia della Spesa.
In realtà qualcosa è stato fatto ad esempio il corrispettivo per i direttori aziendali di tutta Italia e determinato dallo STATO mentre la nomina degli stessi dalle REGIONICON ciò determinando evidenti discrasie nell’uno e nell’altro caso. Quello che però ha fatto più danno è la nomina regionale su base fiduciaria dei direttori generali da cui sono derivati diversi modelli come diversi erano e sono le regioni.

Innanzitutto quindi bisognerebbe contenere il potere gestionale delle Regioni, troppo condizionate da una politica maggioritaria e lontana dai cittadini, da scelte clientelari basate sulla appartenenza e soprattutto alla fedeltà al governatore di turno più che sulle competenze e capacità.

Alcuni poteri (Lea, assegnazione del finanziamento del FSN ai fondi sanitari regionali, criteri generali anche di tipo organizzativo, professioni, sanitarie ..) vanno quindi ri-attribuiti allo Stato in nome della necessaria uniformità (uguaglianza e solidarietà) a livello nazionale.

Altri poteri e funzioni gestionali spettano invece ai comuni, singoli i associati, che li esercitano tramite la AUSSL, per quanto da essi gestibili, in nome della partecipazione e della trasparenza e della vicinanza alla domanda ed al controllo dei cittadini.

«Relazione del Presidente Giancarlo Coraggio sull’attività della Corte costituzionale nel 2020
«Il fatto è che la peculiarità implicita in un servizio nazionale, ma a gestione regionale, può essere risolta solo con un esercizio forte, da parte dello Stato, del potere di coordinamento e di correzione delle inefficienze regionali: il suo esercizio inadeguato non solo comporta rischi di disomogeneità, ma può ledere gli stessi livelli essenziali.

Separazione delle funzioni di governo e di gestione

Trasferire a dirigenti pubblici competenze e funzioni decisionali che non comportano scelte discrezionali di tipo politico, assicurando l’indipendenza e la competenza degli organi tecnici (svincolati e tutelati dalla norma rispetto il livello di governo politico) in modo che possano svolgere i propri compiti in autonomia, ma anche assumendosi le conseguenti responsabilità.
La distinzione fra Politica e Amministrazione implica l’eliminazione di ogni ingerenza politica nella gestione delle pubbliche amministrazioni.
Compiti dell’autorità politica: I politici sono responsabili degli indirizzi generali definire politiche e strategie; valutare i risultati;
I dirigenti sono responsabili della gestione amministrativa: hanno poteri più ampi, maggiori responsabilità e stipendi adeguati alle responsabilità e ai risultati.
Scegliere i responsabili della gestione e della direzione dei servizi sulla base di competenze e capacità documentate.

La sanità possibile

Il ruolo degli enti locali del territorio si realizza nella nomina di un ristretto comitato di garanti (da 7 a 9 membri) con compiti di formulare proposte, dare pareri obbligatori e vincolanti su programmazione, obiettivi e risultati attesi e su bilanci esercitando il controllo sui provvedimenti dell’Amministratore Unico.
La gestione operativa dovrebbe essere affidata ad un unico amministratore (AU) manager, esperto di pubblica amministrazione e di sanità, nominato dallo Stato e scelto all’interno di una rosa di cinque candidati proposta dal comitato dei garanti fra quelli dell’elenco nazionale formato e gestito a livello ministeriale.

Le diversità che non si riconducono ad unità portano solo a confusione; l’unità che non deriva da diversità è tirannica.. ( B. Pascal)

Contributo di Amedeo Amidei
Medico igienista

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