Liste di attesa, malattia gravissima
I tempi delle prestazioni sono incompatibili con la salute dei cittadini. E il governo finanzia i privati. Barbaresi, Cgil: “Disuguaglianze in aumento”
Sono 22 milioni le prestazioni sanitarie che i cittadini e le cittadine italiane attendono di effettuare. Non solo, c’è stata una riduzione di oltre 11 milioni di prestazioni ambulatoriali tra il 2019 e 2023. A queste condizioni il primo caduto sul campo è la prevenzione, il secondo è la possibilità di cura delle patologie. In sostanza si abbassa la salute complessiva del Paese.
Un po’ di numeri
Secondo l’ultimo Rapporto presentato da Cittadinanzattiva, costruito attraverso l’integrazione dei dati provenienti dalle 14.272 segnalazioni dei cittadini, giunte nel corso del 2022 alle sedi locali e ai servizi PIT Salute di Cittadinanzattiva, “l’accesso alle prestazioni è risultato l’ambito più critico per i cittadini che nel 2022 si sono rivolti a Cittadinanzattiva. In questo ambito i temi specifici riguardano: le liste d’attesa (49,5%), le difficoltà di accesso alle prestazioni (43,5%), l’intramoenia (6,9%). Le lunghe liste d’attesa da anni ormai rappresentano un elemento di enorme disagio e stress per i cittadini; nel corso degli ultimi tre anni (2020-2023) è esploso in maniera incontenibile a causa di tutti i ritardi ulteriori dovuti all’emergenza da covid che si sono sommati alle ‘disfunzioni’ già presenti nella gestione delle liste d’attesa”.
Queste percentuali si traducono in disfunzioni vere e proprie: “Due anni per una mammografia di screening, tre mesi per un intervento per tumore all’uteroche andava effettuato entro un mese, due mesi per una visita specialistica ginecologica urgenteda fissare entro 72 ore, sempre due mesi per una visita di controllo cardiologicada effettuare entro 10 giorni. Sono alcuni esempi di tempi di attesa segnalati dai cittadini che lamentano anche disfunzioni nei servizi di accesso e prenotazione, ad esempio determinati dal mancato rispetto dei codici di priorità, difficoltà a contattare il Cup, impossibilità a prenotare per liste d’attesa bloccate”.
Gioisce la sanità privata
Secondo l’Istat, solo nel 2022 i cittadini e le cittadine italiane hanno speso 42 miliardi per curarsi, 37 miliardi di spesa che proviene direttamente dalle loro tasche e 5 miliardi dalla sanità integrativa. Con un livello medio pro-capite di 624 euro e con enormi differenze territoriali. Per Daniela Barbaresi, segretaria nazionale della Cgil, è “un fenomeno che non solo accresce le diseguaglianze nell’accesso a prestazioni e cure ma incide notevolmente nelle condizioni economiche e nell’impoverimento delle famiglie”. È sempre l’Istat a stimare che il 7,0% della popolazione ha rinunciato a prestazioni sanitarie ritenute necessarie per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso ai servizi: si tratta di 4 milioni di persone. Un valore ancora superiore a quelli del 2019, quando rinunciava alle cure il 6,3% della popolazione. Una situazione inaccettabile per un Paese civile.
Si impoveriscono le famiglie italiane
Ad attestarlo è il professor Antonello Maruotti, docente di statistica all’Università Lumsa di Roma, che racconta come ben 1.348.473 famiglie, il 5,17% del totale, utilizzino oltre il 20% della propria capacità di spesa per pagare cure mediche per uno o più dei loromembri (quelle che l’Oms definisce addirittura “spese mediche catastrofiche”), e 378.629 sostengono spese mediche che le portano a finire sotto la soglia di povertà relativa. “Queste cifre – sottolinea il docente – rimarcano come le spese mediche siano sempre più a carico delle famiglie: il 74,8% mette mensilmente mano al portafoglio per spese di assistenza medica, farmaci, visite, ecc. Vale la pena ricordare che il Servizio sanitario nazionale si basa – forse meglio si basava -su tre principi cardine: universalità, uguaglianza, equità”.
Povertà sanitaria
Se 4 milioni di persone rinunciano a curarsi perché non riescono a pagare visite, diagnostica e farmaci, se 378.629 famiglie per farlo finiscono sotto la soglia di povertà, se 5,6 milioni di persone che vivono in Italia sono povere, come ha recentemente fotografato l’Istat, ci si domanda con quale coraggio Giorgia Meloni, presentando la manovra di bilancio, affermi che il suo governo è quello che ha predisposto lo stanziamento maggiore per la sanità pubblica. Questo governo è quello che ha previsto di ridurre il Fondo sanitario nei prossimi 3 anni fino a portarlo al 6,1% del Pil che, secondo l’Oms, è ben sotto la soglia che mette a rischio la sanità pubblica. Ed è sempre lo statistico della Lumsa ha ricordare come “osserviamo una sorta di circolo vizioso, le famiglie si impoveriscono per le spese sanitarie, riducono quantità e qualità di consumi a cominciare da quelli alimentari, e questo ha ricadute sulla salute”.
Federalismo sanitario e diseguaglianze
Sembra un paradosso ma ovviamente non lo è, le Regioni dove le famiglie sono costrette a spendere di più per curarsi, sono anche quelle dove il reddito pro capite è più basso, il tasso di disoccupazione è più alto, la povertà incide di più. Dice ancora Maruotti: “A fronte di un solo 3% di famiglie che consumano più del 20% del consumo mensile per spese mediche in Toscana e Liguria, in Calabria ci si avvicina a quasi il 10% di famiglie che ogni mese vedono una larga fetta di consumi assorbita da spese mediche. Differenze regionali, con un’Italia spaccata in tre (Nord, Centro e Sud), ancor più evidenti se si guarda l’impoverimento delle famiglie a causa delle spese mediche. Se al Nord non si supera mai l’1% di famiglie a rischio impoverimento e al Centro ci si aggira intorno all’1%, al Sud la situazione è drammatica con il 3% circa di famiglie a rischio impoverimento in Molise, Campania e Sicilia, circa il 4% in Basilicata e circa il 4,4% in Calabria”.
E la manovra?
La manovra non prevede nulla o quasi: 3 miliardi in più (cifra ben lontana da quello che servirebbe anche solo per recuperare l’inflazione). Di questa cifra 2,3 serviranno per il rinnovo contrattuale, gli altri 700 milioni serviranno per il recupero delle liste di attesa. Come verranno impiegate? Per il rifinanziamento dei Piani Operativi Regionali per l’abbattimento delle liste d’attesa (anche utilizzando il privato accreditato): la bozza della manovra non indica la cifra, ma fa riferimento a una quota non superiore allo 0,4% del finanziamento indistinto del FSN, che corrisponderebbe a circa 520 milioni di euro. Il resto verrà impiegato per incrementare le tariffe orarie delle prestazioni aggiuntive di medici e personale sanitario del comparto (280 milioni per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026). Il resto per l’aggiornamento del tetto di spesa per gli acquisti di prestazioni sanitarie da privati.
Nulla per un piano straordinario di assunzioni, non è stato abolito il tetto di spesa per il personale sanitario mentre si continua a finanziare straordinari e orario aggiuntivo quando ormai non solo in Puglia si è superato il tetto orario legale di medici e infermieri. Molto per continuare a finanziale la sanità privata a scapito di quella pubblica.
Roberta Lisi
27/10/2023 https://www.collettiva.it
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