Culle sempre più vuote
Lo dice l’Istat: nel 2022 meno nascite da coppie italiane e meno anche dalle straniere. Barbaresi, Cgil: “Servono misure e politiche integrate e strutturali”
Ogni anno va un po’ peggio, la curva demografica è rivolta inesorabilmente verso il basso e non sarà certo il motto Dio, patria, famiglia a farle cambiare direzione. E nemmeno un ministero dedicato alla natalità e alla famiglia. Servono politiche adeguate e lungimiranti che rendano assecondabili i desideri delle donne. E già perché il punto è questo, non è in discussione la libertà femminile, ma il desiderio di genitorialità di donne e uomini. Non tutti i figli desiderati vedono infatti la luce e non sarà la logica dei bonus e delle una tantum a correggere la rotta.
Un po’ di numeri
L’Istat ha appena pubblicato il Rapporto sulla natalità e leggendolo si scopre che nel 2022, in Italia: “le nascite scendono a 393mila, registrando un calo dell’1,7% sull’anno precedente”. E il futuro certo non appare roseo, dice ancora l’Istituto nazionale di statistica: “La denatalità prosegue anche nel 2023: secondo i primi dati provvisori a gennaio-giugno le nascite sono circa 3.500 in meno rispetto allo stesso periodo del 2022”. Oltre a contare i bimbi e le bimbe nati occorre guardare quanti ne nascono per ciascuna donna. “Il numero medio di figli per donna scende a 1,24, evidenziando una lieve flessione sul 2021 (1,25); la stima provvisoria elaborata sui primi 6 mesi del 2023 evidenzia una fecondità pari a 1,22 figli per donna”.
Perché le culle si svuotano
Innanzitutto perché rispetto agli anni del baby boom oggi sono “poche” le donne in età fertile e quelle che ci sono non sempre riescono ad assecondare il desiderio di maternità. Meno donne, meno nati, meno nati meno donne e così si è innescato un circolo vizioso pericoloso. Se a questo si aggiunge che si è anche alzata l’età media alla nascita del primo figlio salita a 31,5 anni il gioco è fatto. D’altra parte è davvero difficile pensare di mettere al mondo figli se non si ha un lavoro stabile e con un reddito minimamente dignitoso che consenta il loro mantenimento.
Straniere e italiane quasi pari son
Se fino a pochissimi anni fa il tasso di natalità italiano era sostenuto dalle donne straniere, l’Istat rileva come punti verso il basso anche la loro curva. “I nati da genitori in cui almeno uno dei partner è straniero continuano a diminuire nel 2022, attestandosi a 82.216 unità e costituendo il 20,9% del totale dei nati. Dal 2012, ultimo anno in cui si è osservato un aumento sull’anno precedente, queste nascite sono diminuite di 25.789 unità. I nati da genitori entrambi stranieri sono 53.079 (26.815 in meno sul 2012) e costituiscono il 13,5% del totale dei nati”.
Le ricette del governo sono sbagliate
Daniela Barbaresi, segretaria nazionale della Cgil con delega al welfare, riflette: “Quelli che fornisce l’Istat sono numeri di una vera e propria emergenza demografica che richiede misure e politiche integrate e strutturali che riguardano congedi ben remunerati e paritari, servizi di cura e servizi educativi per la prima infanzia, universali e gratuiti, e scuole a tempo pieno, soprattutto per garantire pari opportunità e contrastare la povertà educativa e, naturalmente, occupazione, orari, retribuzioni, stabilità e qualità del lavoro”.
Retorica vuota
Giorgia Meloni è stata bravissima a raccontare “misure a favore della famiglia e della natalità” della prossima manovra economica. Peccato che dall’enfasi delle parole ai fatti c’è davvero un abisso. Ma facciamo un passo indietro, secondo la statistica Linda Laura Sabbadini: “La vera emergenza del Paese è il basso tasso di occupazione femminile, non è la natalità che è l’effetto di non aver investito sul lavoro delle donne. Si fanno meno figli spesso non perché non li si voglia fare, ma perché le donne non sono messe in condizione di vivere normalmente e armoniosamente questa esperienza”. E allora vien da chiedere a Meloni, dove sono le politiche per l’occupazione femminile visto che anche le clausole previste dal Pnrr sono disattese?
Il sostegno alla famiglia
Davvero un bel segnale l’aumento dell’Iva sui prodotti per la prima infanzia. E poi a guardare a fondo gli annunci della presidente del Consiglio di quelle politiche integrate e strutturali non troviamo proprio nulla. Qualche esempio? “Gratis l’asilo nido per i secondi figli”, peccato che gli asili non ci siano (meno di 1 bimbo su 4 riesce ad entrare) e i pochi posti disponibili sono concentrati al Nord, forse sarebbe stato meglio non ridurre quelli previsti dal Pnrr e incentivare la loro diffusione proprio in quei territori che ne sono privi. E poi se ci fossero i nidi, si scoprirebbe che in manovra le risorse per assumere educatrici e personale ausiliario non ce ne sono. Così come con i tagli agli enti locali come faranno i comuni a pagare le spese correnti dei nidi?
Decontribuzione e congedi
Sempre Meloni ha annunciato il taglio dei contributi alle donne che hanno tre figli. Ma se il tasso di occupazione femminile è il più basso d’Europa è davvero questo lo strumento per incentivare la natalità? Il 75% di questo provvedimento, poi, andrà di nuovo a lavoratrici del Nord. Ciò che davvero servirebbe, invece, è un vero piano di assunzioni nei servizi pubblici, dalla sanità alla scuola, ai servizi per gli anziani. Ci sarebbero tante più donne al lavoro perché quelli sono settori a predominante occupazione femminile, e tante donne avrebbero “tempo liberato” dal lavoro di cura che potrebbe loro consentire di lavorare. E poi, a quando un congedo di paternità obbligatorio degno di questo nome?
La retorica della famiglia
Attesta l’Istat che nel 2022 il 41,5% dei bimbi e delle bimbe sono nati fuori dal matrimonio, sono figli di un Dio minore o di serie B? A legger una recente intervista della ministra della Famiglia Roccella sembrerebbe di sì. Le risponde Barbaresi: “per la ministra definire “tradizionale” la famiglia sarebbe un assurdo perché quella Famiglia non ha bisogno di aggettivazione alcuna, essendo l’unica possibile e costituendo per lei un modello unico e insuperabile. Da una ministra della Repubblica ci si aspetterebbe una più attenta osservazione della realtà, essenziale per chi fa politica per poter regolare i fenomeni. E la realtà dei fatti è di un’elevata varietà con cui le persone costituiscono e vivono la loro dimensione familiare”. Conclude, quindi, la segretaria della Cgil: “Pensare di eleggere a paradigma un unico modello di famiglia e pretendere che l’universo mondo debba adeguarsi a esso non è solo ideologico e totalitario, ma è profondamente sbagliato, antistorico e irrealistico”.
Per invertire quella curva sarebbe il caso di fidarsi delle donne, della loro libertà e dei loro desideri sostenendole con politiche che favoriscano l’occupazione femminile stabile e dignitosa, con politiche di condivisione della genitorialità, e facendo della cura un valore condiviso su cui ricostruire la società.
Roberta Lisi
1/11/2023 https://www.collettiva.it
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