Club Bilderberg, tra lotta di classe e mito borghese.

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Se l’ipotesi che sta alla base del bel saggio di Franco Ferrari fosse priva di fondamento, probabilmente vedremmo il suo “Il Dossier Bilderberg” (Youcanprint, versione cartacea € 16,00, digitale € 4,99) reclamizzato nelle vetrine e sugli scaffali delle più grandi librerie e nei programmi televisivi più seguiti. I poteri forti avrebbero tutta la loro convenienza a farne un best seller. Invece non è così. Facciamo un passo indietro, allora. Cosa sostiene Ferrari, nel suo libro?

Che il Club Bilderberg, occasione annuale di incontro tra alcune delle personalità più influenti delle istituzioni, dell’economia, della finanza e del giornalismo su scala planetaria, non è il governo segreto del mondo, come in diversi sostengono. In modo estremamente rigoroso, ma anche piacevole e scorrevole, Ferrari indaga le origini e la costruzione del mito del Bilderberg, più paragonabile ad una lobby di alcuni rappresentanti di determinate élite che alla scacchiera su cui si decidono, in una manciata di giorni, le sorti del pianeta.

Il mito del Bilderberg si radica, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, inizialmente in alcuni settori politici piuttosto ristretti e minoritari, in gran parte riconducibili all’estrema destra. In fondo è una leggenda appetibile per chi sostiene una lettura estremamente schematica e un po’ paranoica della storia e del tempo presente, inseguendo l’idea secondo cui pochi sconosciuti, in un luogo segreto, decidono per tutti. E il libro di Ferrari mette al centro della propria attenzione i meccanismi più generali e le suggestioni su cui si basano le tante teorie del complotto, di cui il Bilderberg rappresenta solo un esempio. Lo sguardo di Ferrari è quello del marxista, convinto che la storia sia soprattutto legata al conflitto tra le classi sociali, e non alla trasmissione del potere del governo del mondo tra sette segrete che agiscono alle nostre spalle. Certamente vi sono stati anche piccoli gruppi di estrazione marxista a coltivare il mito del Bilderberg, poi deragliati e arrivati non a caso a posizioni politiche opposte: è il caso del movimento statunitense capitanato da Lyndon LaRouche, che ha dimenticato da tempo le origini trotskiste.

In questi ultimi anni le teorie sul Bilderberg sono uscite dal minoritarismo degli anni Sessanta e Settanta e hanno conquistato un’attenzione piuttosto ampia, grazie soprattutto ai libri di Daniel Estulin. Quest’ultimo, senza alcuna reale documentazione e riciclando le leggende del passato (Ferrari è molto chiaro ed efficace nella sua azione di “smascheramento”), simula il giornalismo d’inchiesta appoggiandosi spesso a strutture e apparati di destra. Non a caso la casa editrice che, in Italia, ne pubblica i libri è riconducibile proprio alla galassia nera. Ma, intelligentemente, Estulin punta ad una legittimazione e ad un riconoscimento ampio, che coinvolga anche posizioni politiche distanti dalla sua – peraltro mai dichiarata – impostazione. Se l’ipotesi di Ferrari è corretta, perché – seppure in forma aggiornata – le teorie del complotto trovano oggi tanto seguito? La risposta potrebbe stare proprio nella sconfitta, avvenuta in questi decenni, della politica come spazio collettivo di elaborazione, di lotta e di emancipazione, in assenza della quale prendono quota inevitabilmente letture ed interpretazioni dei rapporti di forza e delle dinamiche del potere semplicistiche e distanti sideralmente dall’analisi delle classi. E’ inoltre comprensibile, in una lunga fase in cui i processi decisionali hanno espulso e marginalizzato le masse e si sono strutturate e istituzionalizzate modalità ademocratiche e prive di qualsiasi trasparenza, che teorie del genere appaiano verosimili. Ma, come spesso capita, la realtà ha superato la fantasia e non c’è nessun bisogno di un governo segreto ed occulto: le istituzioni del liberismo economico e politico funzionano da anni già così. In questo senso, mitizzare il Bilderberg (e non descriverlo per ciò che è: uno dei luoghi del potere, e non “il” luogo del potere) significa fare un po’ di distrazione di massa. E proprio perché la distrazione di massa fa molto comodo, i libri che rilanciano questo mito “tirano”.

Nando Mainardi

16/10/2015

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