QUANDO GLI OSPEDALI, DA LUOGHI DI CURA, DIVENTANO BERSAGLI DI GUERRA
In questi tempi difficili mi sorgono alcune riflessioni, che hanno molto a che fare con la salute, anche individuale. Sono letteralmente sconvolta, come penso molti di noi. Pertanto la mia non sarà una analisi lucida e scientifica, ma sarà viziata da una forte emotività, fatta di indignazione, di dolore, a tratti di disperazione sulle sorti di questo mondo. Parliamo di ospedali. Ne ho fatto l’esperienza in diversi periodi della mia vita. Ho sempre trovato che l’efficacia dei luoghi di cura sia sempre nella solerte collaborazione di molte persone, con funzioni e competenze diverse, dalla donna delle pulizie al primario di reparto, ma tutte orientate allo stesso obiettivo: aiutare i pazienti nel processo di guarigione, che non è mai solo fisica, ma anche un recupero di vitalità generale. La sanità, quando è pubblica, efficiente e gratuita perché finanziata dalla contribuzione generale, è la più grande prova di quanto la cooperazione umana possa essere al servizio della vita di tutti e di tutte.
Ecco perché inorridisco alle notizie che giungono in questi giorni dalla Palestina, precisamente da Gaza e anche dalla Cisgiordania, ovvero di ospedali colpiti dai bombardamenti israeliani. La giustificazione che sotto di essi, attraverso tunnel scavati underground si possano nascondere le milizie di Hamas non giustifica niente. Intanto perché questa presenza, almeno stando alle notizie che ho letto io, non è stata mai accertata. Ma anche se così fosse, questo dimostrerebbe, caso mai, una criminale indifferenza o noncuranza per tutte le vite di persone fragili e sofferenti che ne farebbero le spese, tra cui moltissimi bambini. Che poi Hamas si serva degli ospedali per cercare rifugio ai suoi combattenti sarebbe allo stesso tempo cinico e ingenuo. Cinico perché lo farebbero a spese dei malati del loro stesso popolo, ingenuo perché come possono aspettarsi che, di fronte alla potenza e all’intransigenza dell’esercito israeliano, gli ospedali vengano risparmiat
Ma che gli ospedali diventino essi stessi, per qualsiasi ragione o pesodogiustificazione, teatri di guerra, anzi, bersagli militari mi sembra qualcosa di intollerabile disumanità.
Come ho detto, non riesco a fare del fenomeno una analisi lucida e circostanziata, del resto le notizie ormai viaggiano al di là di veline e di coperture fumogene, ma darò solo qualche esempio di questo fenomeno perverso, eppure tragicamente attuale.
Prendo da un post di Roberto Fontana:
Dall’inizio dell’aggressione, il regime di Tel Aviv ha ucciso almeno 11.500 palestinesi, per lo più donne e bambini, e ne ha feriti circa altri 27.500. Ha inoltre imposto un “assedio completo” tagliando carburante, elettricità, cibo e acqua agli oltre due milioni di palestinesi che “vivono” nella Striscia. Altra notizia da ”La Stampa”: Suhaib Alhamms, presidente dell’ospedale Kuwaitiano di Gaza: “Niente antibiotici, interventi senza anestesia tra un bombardamento e l’altro: siamo sulla strada dell’inferno”.
L’ospedale di Al Shifa a Gaza, gestito da Medici Senza Frontiere, è stato fatto oggetto di violente sparatorie. Così riporta il comunicato di MSF: La struttura colpita ospita il personale di MSF con le proprie famiglie, ovvero oltre 100 persone, tra cui 65 bambini, che sono senza cibo da ieri sera. E in un altro comunicato: “Ci sono corpi insanguinati ovunque in una Gaza sotto attacco”, questa la testimonianza di un nostro medico dopo il terribile attacco contro un’ambulanza fuori l’ospedale di Al Shifa.
Il dottor Mohamed Obeid, chirurgo al servizio di MSF, sostiene: “La situazione in questo momento è drammatica. Non abbiamo una connessione, non c’è internet. Ogni tanto riusciamo a usare i telefoni. Ci troviamo al quarto piano, c’è un cecchino che ha attaccato quattro pazienti all’interno dell’ospedale.
Uno di loro ha una ferita d’arma da fuoco al collo ed è tetraplegico. Un altro è stato colpito all’addome. Alcune delle persone che escono dall’ospedale vogliono andare verso sud. Li hanno bombardati, hanno bombardato la loro famiglia.
All’ospedale di Al Shifa, da stamattina, non c’è elettricità, non c’è acqua, non c’è cibo. Il nostro team è esausto. Abbiamo avuto due pazienti neonati che sono morti, perché l’incubatrice non funziona senza elettricità. Abbiamo avuto anche un paziente adulto in terapia intensiva morto perché il ventilatore si è spento per assenza di elettricità…Abbiamo 17 pazienti in terapia intensiva e circa 600 pazienti ricoverati nel postoperatorio, tutti hanno bisogno di cure mediche. La situazione è quindi molto grave. Abbiamo bisogno di aiuto. Nessuno ci ascolta.
In un articolo preso dalla rivista Pressenza viene riportato quanto segue: Un crimine di guerra che nessuno ha bloccato: sono quattro gli ospedali colpiti con le bombe. Preso di mira in particolare l’ospedale Shifa, il più grande della città. Un bombardamento aereo ha distrutto l’ingresso della struttura e i carri armati sono arrivati nel piazzale, schiacciando le decine di persone morte e ferite. I cecchini appostati attorno sparano a chiunque si muova, anche persone a piedi con le mani alzate. Secondo un corrispondente di una Tv araba, un carro armato ha lanciato un obice contro i corridoi dell’ospedale. La stessa sorte è toccata all’ospedale Al-Quds. Le ambulanze non hanno la possibilità di soccorrere i feriti a causa dell’assedio dei tank e dei bombardamenti.
E infine un commento molto amaro: Neanche i nazisti sono arrivati a tanto.
Sempre in un articolo di Francesco Monini, tratto da Presenza e intitolato “Il sacrificio degli agnelli” si legge: l’ospedale di Gaza City, più volte bombardato dagli aerei israeliani, è completamente fuori uso. Niente Elettricità, niente acqua, niente di niente. L’ospedale non c’è più. Nella nursery muoiono anche i neonati. Muoiono senza scampo, in quello che una volta era il reparto di terapia intensiva. L’invasione israeliana continua. Nella striscia di Gaza muore un bambino ogni 3 minuti.
Oggi al telegiornale sento la conta dei morti nella striscia: oltre 11.000 vittime, 4.650 bambini. In quello che era un ospedale, una fossa comune accoglie oltre 170 ricoverati.
Questa è solo una minima parte delle notizie riguardanti gli orrori che stanno avvenendo in Palestina. Naturalmente la questione è molto più a largo raggio e il problema della occupazione, della prigionia e degli eccidi a danno dei Palestinesi non è cominciata il 7 ottobre, ma dura da 70 anni. Io ho voluto solo fare riferimento ad alcune notizie che riguardano gli ospedali che da luogo di cura sono divenuti teatro di guerra. Neppure in Afghanistan, secondo la testimonianza del compianto Gino Strada, era avvenuto niente di simile. I “signori della guerra” rispettavano gli ospedali di Emergency, dove erano curati feriti di tutte le fazioni. Anzi, l’ospedale diventava un luogo anche per conoscersi e per capirsi, come esseri umani. Ma trasformare gli ospedali in teatri di guerra o addirittura in obiettivi preferenziali di attacchi militari è quanto di più intollerabile si possa verificare, è un regresso spaventoso di civiltà umana. Come detto, la situazione è molto complessa e riguarda diversi aspetti, qui è solo toccato un aspetto tragico ma non esaustivo. Vorrei però fare almeno un rapido riferimento ad altre questioni e testimonianze che sono con questa collegate.
In molti dei documenti pro Palestinesi da me consultati si lamenta l’assenza di iniziativa della comunità internazionale e soprattutto l’impotenza, quando la noncuranza, dell’ONU a intervenire per porre fine allo stato di occupazione e alle stragi israeliane. Al massimo, si sono concesse delle “tregue umanitarie” temporanee, nemmeno pienamente rispettate. Addirittura un alto funzionario delle Nazioni Unite, Craig Mokhiber, ha dato le dimissioni con una lettera in cui ha fatto, tra l’altro, le seguenti dichiarazioni che già da sole spiegano molte cose: Come avvocato specializzato in diritti umani con oltre tre decenni di esperienza sul campo, so bene che il concetto di genocidio è stato spesso abusato a fini politici. Ma l’attuale massacro su larga scala del popolo palestinese, radicato in un’ideologia coloniale etno-nazionalista, in continuità con decenni di persecuzioni ed epurazioni sistematiche dei palestinesi, basate interamente sul loro status di arabi, e accompagnato da esplicite dichiarazioni d’intenti da parte dei leader del governo e dell’esercito israeliano, non lascia spazio a dubbi o discussioni. A Gaza, le case, le scuole, le chiese, le moschee e le istituzioni mediche civili sono state attaccate senza pietà, mentre migliaia di civili sono stati massacrati. In Cisgiordania, compresa Gerusalemme occupata, le case vengono confiscate e riassegnate in base alla razza e i violenti pogrom dei coloni sono accompagnati da unità militari israeliane. In tutto il territorio regna l’Apartheid.
Giudicare e condannare la criminale condotta del governo israeliano non significa essere per questo antisemiti. A parte il fatto che sarebbe più esatto dire antiebraici, poiché anche i Palestinesi sono Semiti, confondere queste due cose è un grave errore sia per chi lo giudica in altri sia per chi vi incorre esso stesso. Abbiamo sempre condannato, senza se e senza ma, l’Olocausto operato dai nazisti. Ma qui siamo in un altro contesto. E anzi, vorrei precisare che non tutti gli Israeliani sono a favore del governo di Netanhiau. E’ recentissimo il caso della parlamentare israeliana Aida Touma Sliman che è stata sospesa perché si è apertamente pronuncia contro le violenze militari israeliane e a favore dei diritti dei Palestinesi. E non è stata l’unica. Così ha dichiarato il segretario nazionale di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo: La parlamentare di Hadash, il fronte per la pace e l’eguaglianza, è stata sospesa dal comitato etico della Knesset mercoledì per le sue dichiarazioni contro la guerra a Gaza. Il 19 ottobre era già stato sospeso dalla carica un altro deputato comunista, Ofer Cassif, per quelle che vengono definite ‘dichiarazioni anti-israeliane’. E’ importante ascoltare la loro voce accanto a quelle della comunità palestinese.
Inoltre lo scorso 13 novembre anche negli Stati Uniti sono avvenute manifestazioni di ebrei statunitensi contrari alla politica guerrafondaia di Biden e di Netanhiau. Questa la notizia, sempre riportata su “Pressenza”: Lunedì 13 novembre a Oakland centinaia di attivisti di Jewish Voice for Peace Bay Area e If Not Now Bay Area hanno occupato l’edificio federale chiedendo al Presidente Biden e alla Vice Presidente Harris di impegnarsi per un immediate cessate il fuoco nella guerra a Gaza. Molti di loro portavano magliette e cartelli con la scritta “Not in our name!” La polizia ha compiuto diversi arresti. A Chicago manifestanti di Jewish Voice for Peace, If Not Now e Never Again Action hanno bloccato l’ingresso del consolato israeliano. “Non accetteremo un altro giorno di atrocità fatte in nome della sicurezza degli ebrei” hanno dichiarato. Molti attivisti venivano da Iowa, Missouri, Minnesota, Michigan, Indiana, Wisconsin e Illinois. Questo vuol dire che non si possono fare generalizzazioni indebite. Non tutti gli Israeliani e meno che mai tutti gli Ebrei della diaspora condividono e appoggiano il progetto sionista di Netanhiau contro i Palestinesi. E nemmeno significa che tutti coloro che si esprimono contro la feroce politica dell’apartheid israeliano siano perciò antisemiti antigiudaici. Nemmeno per idea. Resta il fatto che, in tempo di guerra colpire degli ospedali e massacrare volutamente le persone più vulnerabili, fragili e indifese resta un atto gravissimo e intollerabile, che niente e nessuno può giustificare. E’ gravissimo il fatto che chi ha subito nella sua storia le atrocità delle persecuzioni le faccia rivivere a danno degli innocenti.
MAI PIU’! MAI PIU’ PER TUTTI! MAI PIU’ PER SEMPRE!
Rita Clemente
Scrittrice- Collaboratrice del mensile Lavoro e Salute
18/11/29023
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