Le elementari contraddizioni di tanti difensori della sanità pubblica

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Sanità integrativa e attività privata in ospedale

Ve ne siete certamente accorti del diluvio comunicativo sulla deriva della sanità pubblica. Centinaia di articoli, di commenti, di analisi, di statistiche al mese da due anni. Tutti fanno la diagnosi a questo governo e molti la facevano, seppur con moderazione, al governo Draghi, matrice della banda Meloni. Esperti, politici dell’opposizione richiusa nel Parlamento, sindacati medici, sindacati autonomi degli infermieri, sindacati confederali, dalla Cgil in primo luogo e in parte dalla UI, mentre la Cisl si è accoppiata col governo come fece con il tecnico Draghi. Tutti questi organismi politici e sindacali, ovviamente parlo delle dirigenze (non omogenee essendoci settori e singoli critici), che non si preoccupano minimamente se la loro strategia è condivisa dailla maggioranza dei loro iscritti. Una preoccupazione che non hanno i giornalisti, gli esperti e gli opinionisti, i quali se ne fregano di ciò che i lettori, e telespettaori, pensano.

Bene, si fa per dire, tutta questa schiera (a differenza di altri e altre che hanno il pregio di affondare i tasto del compiuter nelle piaghe, ormai ptrescenti come quelle di un malati nella grande parte delle RSA private o convenzionate) non citano mai le cause principali, che si sono tirate dietro mille altre cause collaterali, che si chiamano: Aziendalizzazione, Sanità integrativa (welfare aziendale), intraomenia ( attivita privata dei medici in ospedale). Si limitano a scandagliare gli effetti conseguenti di queste cause: i ridotti organici (ulteriormente ridotti con le fughe nel privato di medici e infermieri), le esternalizzazioni, le liste d’attesa e il definanziamento.

Queste cause si sono tirate dietro altre contraddizioni nell’approccio alla sanità pubblica da parte dei cittadini/utenti come delle stesse professioni.
Di cosa parliamo? Del venir meno della certezza del diritto per i cittadini e del dovere, per molti di chi lavora in sanità. Del considerare gli ospedali e gli ambulatori pubblici un luogo accogliente, potenzialmente come a casa propria, e non un posto privato dentro il quale ti senti estraneo e accolto con fastidio perchè richiedi attenzione e prestazione essenziale, comunque pagata preventivamente con le tue tasse governative appesantite da ulteriori esborsi, obbligatori come sono i tickets.
Parliamo dell’intolleranza verso le critiche agli atti professionali e comportamentali nelle relazioni tra colleghi e con gli utenti, facendo venir meno la natura stessa del lavoro per la salute.
Parliamo del considerare un ospedale come un’attività di lucro alla quale devi pagare un prezzo da usura legalizzata.

In questa nota ci limitiamo a considerare i due problemi più noti: l’intraomenia (attivita privata dei medici in ospedale) e la sanità integrativa (welfare aziendale).

L’intramoenia
La sua istituzione e regolamentazione con il D.leg. 517 del 1993 – protrebbe bastare l’affermazione di Enrico Rossi quando era Presidente della Regione Toscana “In sanità basta con la libera professione, fonte di diseguaglianza e di corruzione”. Queste parole ebbero l’effetto di riportare l’attenzione su una attività ormai intesa e vissuta come norma dai tanti medici che la praticano con una spavalda disinvoltura che non sfiora minimamente il dubbio che si tratti di un brutale conflitto di interessi da cui ricava un reddito superiore al 500% o al 1.000% dello stipendio contrattuale?

Ad esempio, nel 2013 (ma oggi i numeri sono almeno triplicati perchè nelle ASL regna la totale discrezionalità negli ambiuti dirigenziali) dal reddito di un professionista: stipendio = 100.000 €; ricavato ALPI = 222.961 €; premio di risultato = 620 €.
I profitti (sempre dati del 2013) sono ancora più chiari leggendo i siti aziendali di Emilia Romagna, Toscana, Lombardia e si ottengono informazioni da cui si apprende che un ortopedico con uno stipendio di 55.000 € guadagna in ALPI 890.000 €; un urologo che dichiara 748.841 € di cui 658.000 grazie all’ALPI; un oculista con uno stipendio di 88.368 € incassa 1.039.863 € in ALPI.

La domanda viene spontanea a quei medici, la maggioranza, che non praticano l’attività privata: queste differenze retributive non introducono una diseguaglianza con voi in quanto non sono basate sul presunto merito ma sui settori di lavoro mercantili come quello, ad esempio, del ginecologo, dell’oculista, del dermatologo?
La domanda è retorica? A noi pare elementare ma resterà risposta.

Come resterà senza risposta una domanda interlocutoria: quale differenza c’è tra i medici gettonisti e quelli dell’intramoenia?

A chi domanda se senza l’intramoenia mgliorerà il drammarico problema delle liste d’attesa rispondiamo che non è ovviamente automatico, ma con il venir meno di questa fuga dei medici dalle prestazioni nell’orario pubblico costringerebbe le aziende sanitarie a rivedere le loro scelte di tagli ponendole in vertenzialitàà con le Giunte regionali e il governo. Inoltre, cambierebbe l’attengiamento passivo dei cittadini/utenti e non sarebbe costretto a pagare ulteriormente per affrontare i loro problemi di salute.

La sanità integrativa
L’intramoenia è una ferita dolorosa nel corpo già debilitato della sanità pubblica, ma si può curare con un referendum abrogativo, mentre la sanità integrativa rappresenta una tortura permanente e liberare la sanità pubblica sarà una missione da più difficile che chiudere Guantanamo perchè è una prigione difesa da un variegato esercito di guardiani politici e sindacali, inconsapevoli e non, del liberismo.

Ci hanno raccontato balle – ma questo ormai è il lietmotiv della politica italiana in mano alle Imprese nostrane e alle multinazionali – ma come già prevedevano i molti critici, i fondi sanitari integrativi sono diventati sostitutivi e aumentano le diseguaglianze spacciando per “pacchetti preventivi” prestazioni inappropriate che possono danneggiare la salute delle persone.

Il primo risultato è stato quello di alimentare, alla luce del sole, Il business della sanità integrativa, e per garantire la propria sopravvivenza e sviluppo, inducono i cittadini a consumare un numero di prestazioni che permetta loro di avere ricavi sufficienti. Questi servizi sanitari privati finiscono così per aumentare il bisogno dei cittadini di consumare prestazioni anche non necessarie per la salute (quando non dannose), ma fondamentali per il mantenimento degli utili. All’aumento dell’offerta di prestazioni anche non necessarie fa così seguito un aumento della domanda.

Un fiume di denaro pubblico sotto forma di incentivi fiscali alimenta profitti privati senza integrare realmente l’offerta dei livelli essenziali di assistenza, permettendo l’espansione di un servizio sanitario “parallelo” che aumenta le diseguaglianze, non riduce la spesa delle famiglie e alimenta il consumismo sanitario.

Nel frattempo gli incentivi fiscali di cui beneficiano i fondi alimentano i profitti delle assicurazioni.

  • I Fondi diventano induttori di prestazioni
  • Per sopravvivere/assicurarsi il futuro, i FSI tendono, come gli erogatori pagati a prestazione e come molti produttori di tecnologie mediche, a indurre prestazioni non necessarie, comunque fonte di ricavi/guadagni anche per loro.
  • Ciò include il business dell’offerta di “prevenzione medica” non validata, fonte di disease mongering per eccellenza (check-up, batterie di test che inducono,…). Finiscono di fatto per essere nuovi induttori, oltre a quelli strutturali: produttori di farmaci, dispositivi/altre tecnologie sanitarie, ed erogatori pagati a prestazione dal SSN o in libera professione.
  • Lungi dall’alleggerire, in base ai dati, rendono ancor più precaria la sostenibilità di un SSN, anche perché, con la crescente offerta di prestazioni sostitutive, preparano fuoriuscite dal SSN di chi versa più contributi e in proporzione costa meno (con più costi/meno risorse e protezione per chi resta).

Le assicurazioni svolgono ormai il ruolo di gestori: con una rete capillare di erogatori privati e propongono “pacchetti” di prestazioni che alimentano il consumismo sanitario, facendo leva sulle inefficienze del SSN (in primo luogo i tempi di attesa) e su un concetto distorto di prevenzione (più esami = più salute).

Mentre aumentano i tagli alle prestazioni in assistenza diretta, la riduzione delle diarie per le riabilitazioni e alle cure odontoiatriche, la fine delle cure gratuite per i familiari non a carico. 15% nei casi degli interventi chirurgici, il 35% per le spese odontoiatriche e il 30% per le visite specialistiche e la diagnostica.

Di cosa abbiamo parlato? Dei tanti che oggi parlano di difesa del Servizipo Pubblico ma dentro la sanità fanno altro, e del sindacato dove non c’è alcuna autocritica!

Franco Cilenti

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