Reti che intrappolano

La violenza digitale è solo una delle possibili declinazioni della violenza di genere, ma il suo impatto è ancora largamente sottostimato. Uno studio inizia a rintracciarne cause, effetti e dinamiche a partire dalle storie raccontate dalla cronaca degli ultimi anni

Sono l’indignazione di fronte ai fatti di cronaca e la consapevolezza di quanto sia tristemente attuale la violenza sessista e di genere online ad aver ispirato Come farfalle nella ragnatela. Storie di ordinaria violenza digitale sulle donne (Futura Editrice, 2023). Scritto da Lara Ghiglione, coordinatrice della Segreteria generale e responsabile delle politiche di genere della Cgil nazionale, e da Vanessa Isoppo, psicologa e psicoterapeuta specializzata in scienze crimonologico-forensi, è un libro sulla portata e sull’impatto di questi fenomeni, di cui sappiamo ancora troppo poco. 

Il problema, però, è allarmante: molti paesi hanno di recente introdotto nelle loro legislazioni nuove fattispecie di reato, e il tema è stato posto al centro della proposta di direttiva europea sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica.[1]

Accade sempre più spesso, infatti, che la violenza digitale esercitata sul web si sommi a quella fisica, in un crescendo che non conosce confini, sia dal punto di vista della crudeltà che da quello del numero dei soggetti coinvolti: mentre la violenza fisica di solito riguarda un numero limitato di persone, quella virtuale è in grado di coinvolgerne migliaia, tra chi la subisce e chi la perpetra.

In questi anni sono nati sul web specifici gruppi chiusi e siti di incontri creati da uomini con l’intento di scambiare foto e video intimi di donne senza il loro consenso, per utilizzarle come bersagli di violenze sessiste.

Da un’indagine di Plan International – organizzazione umanitaria non governativa globale impegnata della tutela e dei diritti dell’infanzia, soprattutto delle bambine – condotta nel 2020, è emerso che oltre il 40% delle donne intervistate nella fascia d’età fra i 15 e i 25 anni avrebbe subito abusi online e cyberstalking, anche attraverso messaggi o immagini esplicite a carattere sessuale, mentre il 25% delle donne intervistate da Amnesty International afferma di aver subito minacce di violenza sessuale e fisica, istigazione al suicidio e morte su Twitter (oggi X). 

Secondo un’altra indagine condotta nel 2022 da TF Group S.r.l. per conto di PermessoNegato.it, il 4% della popolazione italiana, ovvero circa due milioni di persone di cui il 70% donne e il 13% appartenenti alla comunità Lgbtqia+, è stata vittima di diffusione non consensuale di materiale intimo e immagini sessualmente esplicite. 

Il fenomeno è spesso definito revenge porn, con una terminologia di stampo sessista che associa alla pornografia foto intime inviate al partner (più spesso, tuttavia, la diffusione è non consensuale) e allude alla vendetta, ossia a sottintese colpe della donna. 

Questo tipo di linguaggio sessista è trapelato talvolta perfino nei tribunali, dove una percezione distorta della donna che ha subito violenza ha indotto indagini sulla sua condotta morale che giustificassero in qualche modo la violenza stessa, dando luogo alla cosiddetta “colpevolizzazione secondaria”.[2]

L’Osservatorio Vox Diritti segnala che nel 2019 il 63,1% delle persone bersaglio di tweet d’odio erano donne, aggredite con frasi offensive sul corpo, ridotto e degradato alle sue funzioni sessuali. 

Un esempio estremo di hate speech e incitamento alla violenza è quello esercitato dalle comunità Incel, costituite dai cosiddetti celibi involontari, nate negli Stati Uniti a partire dagli anni Novanta con lo scopo di diffamare le donne considerate la causa dell’astinenza sessuale forzata di alcuni uomini.

come farfalle

Oltre a un’intervista all’ex Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, a cui sono stati rivolti attacchi online per lungo tempo mentre era in carica ed è poi stata scelta come coprotagonista del documentario Backlash: Misogyny in the digital age, il volume riporta anche alcune storie di donne che hanno subito una doppia forma di violenza, essendo state vittime prima di femminicidio e poi della gogna mediatica sul web. 

Come nel caso di Alessandra Matteuzzi, uccisa e poi oltraggiata online da commenti di persone sconosciute, o in quello di Tiziana Cantone, suicidatasi nel 2016 in seguito alla diffusione, contro la sua volontà, di video e foto da lei stessa inviati via Whatsapp.

Nonostante il suicidio, e nonostante il Tribunale di Napoli Nord, accogliendo la sua istanza, avesse già nel 2016 contestato a cinque social network e siti informativi di non aver rimosso i contenuti, imponendo l’eliminazione delle pagine, sul web hanno continuato a circolare video con la sua immagine; non più gli originali, ma il loro cascame, prodotto deformato di quelli incriminati. Tiziana Cantone, come altre persone, soprattutto donne, è rimasta catturata per sempre nella ragnatela di internet e il suo diritto all’oblio rimane negato.

A fronte della capacità infinita del web di immagazzinare e conservare informazioni su fatti e persone, è infatti molto problematico garantire il diritto all’oblio. Inoltre, finora sembra risultare anche poco efficace nel prevenire abusi e violenze l’adozione, da parte delle principali piattaforme digitali, delle specifiche linee guida e del codice di condotta proposti dalla Commissione europea.

Se, nell’incontrollabilità della sua diffusione, la violenza digitale può avere esiti altrettanto o persino più devastanti di quella fisica, la cultura che le determina è la stessa, che si manifesta allo stesso modo nell’endemicità, largamente sommersa, delle molestie e delle violenze sessuali e di genere sul posto di lavoro.

L’impianto politico prevalentemente repressivo fin qui adottato in Italia è manifestamente inadeguato a contrastare questa cultura. Servono politiche di prevenzione, formazione e vaste campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, come quella in atto dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, e come raccomandato da decenni di politiche europee. 

Ma soprattutto, come raccomandano le autrici del libro, servono politiche educative, tanto più necessarie se si considera l’impatto che la violenza digitale può avere sulle donne più giovani. E a poco servirà una manciata di ore extracurriculari nelle scuole, se prima non saranno reintegrati i programmi e non verrà ripensato il modello d’istruzione.

Lara Ghiglione, Vanessa Isoppo, Come farfalle nella ragnatela. Storie di ordinaria violenza digitale sulle donne, Futura Editrice, 2023

Note

[1] In proposito si vedano anche le Modifiche al Codice penale introdotte dalla legge 69 del 2019, il cosiddetto Codice rosso, riportate in appendice dal volume.

[2] Come documento storico di questo fenomeno, si veda la sintesi riportata in appendice del documentario del 1979, Processo per stupro.

Leggi il dossier di inGenere sulla violenza digitale

Mariagrazia Rossilli

11/1/2024 https://www.ingenere.it/

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