Il caso di Israele alla Corte Internazionale di Giustizia: un conflitto armato in cui solo una parte può combattere
Fonte: English version
Di Craig Murray – 24 gennaio 2024
Immagine di copertina: Un carro armato israeliano nel Sud di Israele lungo il confine con la Striscia di Gaza il 19 gennaio 2024 (Jack Guez/AFP)
È stato davvero straordinario essere presente in tribunale per assistere all’insensata affermazione di Israele secondo cui si tratta di un “conflitto armato”, negando allo stesso tempo la legittimità di qualsiasi Resistenza armata ad esso.
Ero l’unico giornalista nell’aula della Corte Internazionale di Giustizia per il caso di Genocidio del Sud Africa contro Israele. Trenta giornalisti accreditati erano in una sala stampa in un’altra ala dell’edificio, e assistevano all’udienza da uno schermo. Altri giornalisti aspettavano fuori dall’edificio.
Ho aspettato di entrare in aula dormendo sul marciapiede a temperature sotto zero fuori dal tribunale dell’Aja, in coda per uno dei 14 posti disponibili nella tribuna d’onore. Non c’è niente di meglio che assistere di persona: le interazioni tra le delegazioni, il linguaggio del corpo e le espressioni dei giudici in risposta a particolari argomenti. Se non fossi stato lì, non starei veramente documentando il caso.
C’è voluta una settimana perché mi riprendessi completamente e più o meno lo stesso tempo perché la mia mente separasse il dramma e la tensione della Corte dalle vere argomentazioni avanzate.
La cosa più sorprendente è stata, ovviamente, l’atteggiamento altamente belligerante delle parti opposte, con il Sudafrica che parlava della Nakba e di 75 anni di Apartheid in Israele, mentre la parte israeliana ha risposto accusando il Sudafrica di complicità nel Genocidio attraverso il sostegno di Hamas.
Davvero notevole era anche la totale dissonanza dei fatti presunti. Israele ha semplicemente negato la responsabilità della distruzione delle infrastrutture e delle abitazioni, imputata agli oltre 2.000 missili di Hamas e alle trappole esplosive posizionate negli edifici di Hamas. Israele ha affermato che ora entra a Gaza più cibo al giorno rispetto a prima del 7 ottobre.
Israele ha inoltre affermato esplicitamente che ogni singolo ospedale di Gaza è “una base militare”.
Gli accertamenti sui fatti verrebbero stabiliti tramite prove nel corso di un’udienza effettiva della Corte Internazionale di Giustizia, probabilmente tra circa due anni. Ciò che si svolge ora era una richiesta di misure provvisorie, in cui venivano prese in considerazione argomentazioni, probabilità e procedura, e non valutate le prove.
Voglio ora soffermarmi su alcuni aspetti dell’argomento che mi sembrano non sufficientemente considerati altrove.
‘Uniscontro’
L’argomentazione di base di Israele era che si trattasse di un “conflitto armato”, non di un Genocidio. Hanno usato il termine più volte.
In un conflitto armato, ci sono inevitabilmente vittime civili. Questo potrebbero essere “orribile”, ma sono sempre presenti e aumentano nella guerra urbana. Hamas si è reso responsabile delle vittime civili inglobando le sue forze all’interno delle popolazioni e delle strutture civili.
Israele ha dichiarato esplicitamente che le operazioni di Hamas erano concentrate negli ospedali, nelle scuole, negli impianti di trattamento dell’acqua e di produzione di elettricità, nonché nelle strutture delle Nazioni Unite. Le vittime civili in questi luoghi teatro di conflitti armati erano quindi inevitabili e imputabili ad Hamas.
La difficoltà qui è che Israele ha sia affermato che ciò che sta accadendo è un “conflitto armato”, sia negato la legittimità di qualsiasi Resistenza armata ad esso.
Nel tentativo di far archiviare il caso dalla Corte Internazionale di Giustizia per motivi procedurali, Malcolm Shaw KC ha affermato che il Sudafrica non aveva il diritto di avviare il caso poiché non aveva alcuna controversia con Israele al momento della presentazione del caso. Non si è trattato, ha detto, di una disputa ma di un “uniscontro”.
Seguendo una logica simile, la posizione di Israele dipende dal fatto che si trovi in un “conflitto armato”, ma nega che vi siano due parti legittime nel conflitto armato. Israele ha affermato che non deve interrompere le sue operazioni perché Hamas continua a sparare sulle forze israeliane e a lanciare razzi su Israele.
È uno strano conflitto armato in cui a una delle parti non è consentito sparare. Se Israele afferma di essere coinvolto in un conflitto armato, deve riconoscere la legittimità delle armi di coloro che sta combattendo. Non può usare il “conflitto armato” come scusa per oltre 25.000 morti, ma poi anche affermare che non si tratta di un conflitto armato ma di una sorta di operazione antiterrorismo limitata.
In breve, se si tratta di un conflitto armato, i palestinesi hanno il diritto di reagire. Cosa che ovviamente fanno. Non vi è alcun dubbio nel Diritto Internazionale che un popolo sotto Occupazione abbia il diritto alla Resistenza armata. Non credo che qualcuno lo contesti, nemmeno il governo britannico o quello americano.
Assurdità giuridica
La domanda chiave qui è: i palestinesi non hanno il diritto di Resistere a un Attacco Genocida perché è Hamas, classificata dall’Occidente come organizzazione terroristica, a Resistere? Questa, secondo me, è un’enorme ipocrisia. Le spaventose conseguenze di etichettare un governo di fatto semplicemente come “terrorista” si manifestano nell’uccisione violenta di centinaia di bambini ogni giorno.
L’Aja deve farsi strada attraverso le assurdità giuridiche di un “conflitto armato” in cui solo una parte è autorizzata a combattere e in cui la grande maggioranza delle vittime sono donne e bambini del tutto innocenti, una percentuale preoccupante dei quali neonati; in cui una parte ha tutte le armi del più moderno e costoso degli eserciti e una massiccia potenza aerea che usa per uccidere indiscriminatamente su scala industriale, e l’altra parte ha alcune armi leggere e razzi artigianali.
In Occidente ci siamo posti in una posizione giuridica altrettanto ridicola. Alcuni manifestanti sono stati arrestati nel Regno Unito per essersi opposti a questo Genocidio. Personalmente sono stato costretto a lasciare il Paese mentre la polizia si chiedeva se sostenere il diritto palestinese alla Resistenza armata nel Diritto Internazionale sia “terrorismo” o meno.
Il 20 gennaio, Joe Biden e Benjamin Netanyahu hanno avuto una conversazione sullo Stato Palestinese, che ha confermato ancora una volta la visione degli Stati Uniti di uno Stato Palestinese che sarebbe una totale farsa.
In particolare, non gli sarebbero permesse armi o forze militari e non avrebbe il controllo dei propri confini o della politica estera. Israele avrebbe il controllo sia sui beni che sulle persone che entrano in questo “Stato”, che sarebbe territorialmente frammentato e impotente in ogni senso.
Questo, ovviamente, è il culmine finale del Piano di Apartheid israeliano. Il tempo passa e la maggior parte delle persone non sa quanto la decantata “Soluzione dei Due Stati” rispecchi la prevista apoteosi dell’Apartheid. A metà degli anni ’80 ero responsabile del Sud Africa presso l’Ufficio degli Affari Esteri e del Commonwealth del Regno Unito, e posso dirlo.
La popolazione nativa del Sudafrica doveva essere confinata in un certo numero di “territori”. Questi dovevano diventare “Stati indipendenti”. Uno di questi, il Bophuthatswana, fu effettivamente dichiarato indipendente.
La loro “sovranità” doveva essere limitata esattamente nel modo in cui Biden e Netanyahu pensano possa rendere possibile uno Stato Palestinese fantoccio. Alla fine, fu programmato il trasferimento di oltre l’80% dei nativi sudafricani in questi Stati “indipendenti”, rimuovendo la maggioranza della popolazione autoctona dal Sudafrica, per il quale avrebbero funzionato come un bacino permanente di manodopera a basso costo senza diritti.
Propaganda coloniale
I palestinesi, anche prima delle attuali ostilità, erano stati sottoposti a Pulizia Etnica nell’85% delle loro terre. Una “Soluzione a Due Stati” che cementi tutto ciò e li lasci sotto il dominio militare israeliano permanente non risolverà questo conflitto, la cui risposta non è l’effettivo radicamento dello status quo.
Il desiderio di negare ai palestinesi il diritto di un popolo all’autodifesa è rafforzato dalle storie di atrocità riciclate all’infinito del 7 ottobre. Ora, non ho dubbi che quel giorno alcuni crimini siano stati commessi dai palestinesi. Devono essere indagati a fondo e, se possibile, i responsabili devono essere puniti, anche se stranamente non è quasi mai possibile punire i militari occidentali autori di crimini nei territori da loro Occupati.
Non dubito neppure che la versione israeliana degli attacchi del 7 ottobre sia stata amplificata dai media, anche se la realtà è molto più complessa e preoccupante. Stranamente, questo è stato ammesso e discusso molto più apertamente nei media israeliani piuttosto che in quelli occidentali.
Ma c’è ovviamente un motivo nella sistematica e prolungata campagna propagandistica sulle atrocità del 7 ottobre. Dipinge i palestinesi come barbari che non dovrebbero assolutamente avere il diritto di portare armi o difendere le proprie case e famiglie.
Questo è un modello ben noto di propaganda coloniale. L’Occupazione prolungata e la privazione di un popolo Occupato portano a occasionali furiose esplosioni di Resistenza e a guerre non convenzionali a causa della disparità di armi.
Tali esplosioni comportano sempre atrocità che rispecchiano la violenza prolungata a cui sono state sottoposte le persone Occupate. Quelle atrocità vengono poi raccontate e amplificate all’infinito dai colonizzatori. Il Buco Nero di Calcutta in India o le storie di stupro e omicidio dei Mau Mau in Kenya sono buoni esempi.
Questi sono, sempre, caratterizzati come esempi della “bestialità” degli Occupati e Colonizzati, a prova della validità della missione civilizzatrice e della superiorità morale del colonizzatore. Segue poi ulteriore repressione.
È sorprendente per me che gli studi postcoloniali siano oggi una disciplina così consolidata, ma che quasi nessuna delle loro intuizioni fondamentali sia entrata nel dibattito pubblico, e in particolare nei media. Ciò che sta accadendo in Palestina è perfettamente chiaro.
La tragedia è che le potenze occidentali cercano di favorirlo piuttosto che fermarlo.
Craig Murray è un autore, giornalista e attivista per i diritti umani. È stato ambasciatore britannico in Uzbekistan dall’agosto 2002 all’ottobre 2004 e rettore dell’Università di Dundee dal 2007 al 2010. La sua attività dipende interamente dal supporto dei lettori.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org
26/1/2024 https://www.invictapalestina.org/
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