Aria inquinata a Milano e ambientalismo da salotto

Carlo Modonesi, comitato scientifico di ISDE Italia (Medici per l’Ambiente) e già docente di Ecologia Umana (Ambiente e Salute) all’Università degli Studi di Parma, interviene sulla “notizia” circolata nei giorni scorsi su Milano città tra le più inquinate del Pianeta.

È circolata in questi giorni la notizia secondo cui Milano figurerebbe al vertice della classifica delle città con l’aria più inquinata del pianeta. Il lancio ha tutta l’aria di essere la bufala della settimana, per due sostanziali ragioni: 1) il dato non è stato sufficientemente circostanziato specificando che cosa è stato misurato, con quali metodi, dove, quando, ecc. 2) la fonte della notizia risulta essere un’azienda privata, con sede in Svizzera, che opera nel settore dei dispositivi tecnologici per la purificazione dell’aria e che evidentemente sa come promuovere i suoi prodotti commerciali, tuttavia non risulta possedere credenziali o titoli idonei a dispensare pareri e sentenze in ambiti così importanti e delicati come le scienze e le politiche ambientali.
Una semplice e opportuna considerazione che si potrebbe fare è che prima di diffondere una simile notizia, la stampa e gli altri media che l’hanno cavalcata avrebbero reso migliore servizio se si fossero premurati di controllarne bene la fonte. Ciò per la semplice ragione che la questione dell’inquinamento atmosferico è molto seria e non ammette semplificazioni né sensazionalismi gratuiti.

La situazione critica della Pianura Padana

La bassa (anzi, bassissima) qualità dell’aria infatti è una delle principali cause ambientali di morbilità e di mortalità in tutto il mondo. Secondo i dati nazionali ed europei, è ormai ampiamente assodato che, da questo punto di vista, tutta la Pianura Padana si trovi in una condizione estremamente critica. Resta il fatto che l’idea che in materia di inquinamento atmosferico Milano possa competere con megalopoli come Città del Messico, il Cairo, New Delhi, Pechino ecc. può avere un senso soltanto come costruttiva sollecitazione a migliorare le politiche ambientali o, al contrario, come provocazione di dubbio gusto.
In generale, sappiamo che le città costituiscono importanti hot-spot dell’inquinamento atmosferico, ma l’entità esatta dei processi e delle gravi implicazioni ambientali e sanitarie indotte dalle emissioni atmosferiche dell’uomo non è sempre facile da cogliere a livello di singola tessera urbana. Ciò perché l’entità delle concentrazioni atmosferiche di particolato, ossidi di azoto, ozono, ammoniaca, ecc. esaurisce soltanto una parte del problema, non tutto. In pratica, non si può generalizzare ciò che accade a Milano a ciò che accade a Madrid o a Copenhagen, o a qualsiasi altra città europea, in quanto nella valutazione complessiva dei fattori in gioco devono entrare altre variabili, come la composizione chimica delle emissioni inquinanti, la grandezza e la densità della popolazione, la ventilazione, le precipitazioni, la stagionalità, l’intensità della radiazione solare, l’orografia del territorio, le reti infrastrutturali, il clima, le attività economiche, il tipo di mobilità ecc. ecc. Inoltre, poiché le concentrazioni degli inquinanti dell’aria (per esempio PM2.5 e NO2) mostrano una chiara correlazione con la morbilità e la mortalità, nello studio degli effetti sulla salute pubblica non si deve trascurare un’ulteriore variabile importante, che è rappresentata dalla struttura per età della comunità urbana.

Automobili e ossido di azoto

Ciò che oggi conosciamo con un buon livello di certezza, per esempio, è che l’NO2 (diossido di azoto) è un importante indicatore delle emissioni da traffico motorizzato. Nelle città europee il contributo degli scarichi delle automobili alle concentrazioni di NO2 è in media del 47% ma può arrivare fino al 70%. Le concentrazioni urbane di questo pericoloso inquinante (senza nulla togliere all’importanza che anche gli altri inquinanti rivestono) e le sue ricadute sanitarie e ambientali dipendono dalla conformazione del territorio, dalla densità del traffico, dal tipo di veicoli circolanti e da altri fattori. In generale, le città densamente popolate come Parigi, Madrid, Roma, Barcellona, ​​Milano, Bruxelles o Anversa presentano notevoli volumi di traffico automobilistico e tendono ad avere elevate concentrazioni di NO2, che diventa così un determinante cruciale. La conseguenza è che la morbilità e la mortalità risultano più elevate, non solo all’interno delle grandi città ma anche nelle piccole città satellite situate nelle loro vicinanze, che contribuiscono a consolidare l’uso dell’auto per spostarsi tra aree urbane più piccole e aree urbane più grandi. Inoltre, sappiamo che in Italia l’inquinamento atmosferico è responsabile di gravi malattie e decessi di cui si parla ancora troppo poco e si fa ancora meno. Il report pubblicato dall’EEA (European Environmental Agency) nel 2022 ha rilevato che ogni anno nel nostro paese si verificano oltre 50mila decessi prematuri attribuibili proprio alla scarsissima qualità dell’aria. La stessa Agenzia mette in guardia i governi dei paesi Ue sostenendo che l’inquinamento atmosferico è attualmente il più importante fattore di rischio per la salute ambientale del Vecchio Continente, data la sua correlazione con gravi malattie cronico-degenerative, tra cui le patologie respiratorie, cardiovascolari, tumorali e neurodegenerative, senza tenere conto dell’abortività spontanea, degli altri effetti avversi della gravidanza, nonché delle malattie dell’età pediatrica. Come ricordato sopra, i dati sugli impatti vengono normalmente rilevati sulla base dei principali parametri del cosiddetto “carico di malattia” (morbilità e mortalità), tenendo conto del fatto che per ciascuna specifica malattia associata all’inquinamento atmosferico essi possono presentare una discreta variabilità: per esempio, la mortalità è di gran lunga il parametro primario per le cardiopatie ischemiche e le neoplasie del polmone, mentre per l’asma e le malattie ostruttive dell’apparato respiratorio il parametro primario è la morbilità.

Inquinamento e effetti sulle città

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), l’esposizione agli inquinanti atmosferici è responsabile ogni anno di 4,2 milioni di morti premature in tutto il mondo. La maggior parte di questi decessi anticipati si verificano nelle aree urbane, in quanto le aree urbane attualmente ospitano oltre il 50% della popolazione globale. Si prevede che questa percentuale aumenterà fino al 70% entro il 2050 a causa dell’urbanizzazione, spesso selvaggia (urban sprawl) e delle migrazioni che allo stato dei fatti interessano praticamente tutti i continenti. In questi processi l’urbanizzazione ha giocato un ruolo centrale, a partire dalla rivoluzione industriale del 19° secolo, che ha portato a una profonda modifica nell’uso del suolo attraverso l’espansione urbana. Le superfici naturali vengono sostituite da superfici impermeabili e cementificate, con il risultato che le proprietà fisiche superficiali (albedo, inerzia termica e rugosità) e i normali processi del territorio vengono pesantemente alterati. Si tratta di cambiamenti di proprietà e di processi fisici che esercitano un condizionamento importante, peraltro quasi sempre trascurato, su tutto il sistema ambientale, a partire dalla qualità dell’aria.Pur riconoscendo che nei due decenni scorsi, in Europa, sono stati fatti alcuni passi avanti nella tutela dell’ambiente atmosferico, a tutt’oggi non si può comunque affermare che il quadro europeo degli ultimi anni sia stato esaltante. Per tentare di porre rimedio agli errori del passato, nel Green Deal europeo è stata programmata una sostanziale revisione degli standard di qualità dell’aria della UE, al fine di recepire le raccomandazioni dell’Oms e i relativi valori-limite degli inquinanti, giustamente ritenuti più sicuri per la salute umana ed efficaci nel ridurre i decessi prevenibili. Anche il piano d’azione “Zero Pollution” previsto dal Green Deal si ispira ai medesimi presupposti, ovvero ridurre entro il 2050 l’inquinamento atmosferico a livelli non più considerati dannosi per la salute umana e per gli ecosistemi naturali. Nel frattempo, come obiettivo intermedio da raggiungere entro il 2030, è stato pianificato l’abbattimento del 55% (rispetto ai livelli del 2005) del numero di decessi prematuri causati dalle polveri sottili (PM2.5).

Il fallimento italiano

Per quanto riguarda il nostro paese, va detto che, storicamente, le iniziative e gli investimenti messi in campo per prevenire e mitigare gli effetti dell’inquinamento atmosferico sono stati a dir poco fallimentari. Ciò viene confermato e documentato dall’incomprensibile inerzia delle Regioni del bacino padano (come ricordato sopra, la Pianura Padana è tra le aree più inquinate della UE) anche se, a onor del vero, nessuna delle altre Regioni italiane interessate dal fenomeno ha saputo fare di meglio. Da decenni, le inadempienze, gli interessi privati, il menefreghismo, la scarsa competenza e i ritardi nostrani in materia di tutela della qualità dell’aria (e non solo dell’aria) costituiscono una spina nel fianco dell’ambiente e della salute pubblica, in altre parole: un vero disastro politico, sociale ed economico, pagato talora inconsapevolmente dai cittadini e alimentato irresponsabilmente da un certo cinismo del mondo imprenditoriale, oltre che dalle beghe tra amministrazioni comunali e regionali, a cui si è sommato l’immobilismo dei governi nazionali che si sono avvicendati nel tempo.
Nel documento ufficiale del Servizio Studi del Senato del 2018, si legge: “la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia della Ue per mancato rispetto dei valori limite stabiliti per la qualità dell’aria e per aver omesso di prendere misure appropriate per ridurre al minimo i periodi di superamento. La decisione, che fa parte del pacchetto di infrazioni adottato lo stesso giorno, si riferisce alla procedura di infrazione aperta nel 2014 nei confronti del nostro Paese per violazione degli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE, relativa alla qualità dell’aria. In particolare all’Italia è contestato il superamento dei valori limite giornalieri delle polveri sottili (PM10) – 50 μg/m3 da non superare per più di 35 giorni in un anno – in ampie aree nel territorio nazionale, 28 in tutto, che interessano le regioni Lombardia, Piemonte, Veneto e Lazio, dove i valori limite giornalieri sono stati costantemente superati, arrivando nel 2016 fino a 89 giorni.” Tirando le somme, è del tutto evidente che il problema dell’inquinamento dell’aria, che nel nostro paese viene certamente amplificato dalle peculiarità geomorfologiche e climatiche del territorio, non riguarda soltanto l’Italia ma in Italia ha assunto connotati spesso più preoccupanti rispetto alla situazione di altri paesi. Più in generale, considerando l’ampia diffusione dell’inquinamento atmosferico, a cui la mobilità privata (automobili) fornisce ovunque al mondo un contributo essenziale  – senza ovviamente scordare altre fonti, come l’industria, gli impianti di riscaldamento, l’agricoltura e la zootecnia intensive – si può osservare che la civiltà e il suo rapporto con l’ambiente naturale sembrano nel pieno di uno dei periodi più oscuri nella storia della cultura umana. Il modello economico/sociale dominante è riuscito a integrare sia l’inquinamento sia il diritto all’inquinamento nelle sue norme, nelle sue pratiche e in alcuni casi anche nei suoi obiettivi, definendolo “esternalità”, ossia un banale effetto collaterale del mercato. Di fatto, ancora oggi nelle analisi costi-benefici, l’inquinamento non è incluso nelle voci soggette a valutazione, e quindi non può condizionare i comportamenti né le decisioni economiche. La conseguenza di ciò è la completa deresponsabilizzazione non solo degli inquinatori ma anche dei rappresentanti della classe politica, i quali possono legittimamente scaricare i costi dei danni ambientali da essi provocati e avallati (direttamente o indirettamente) su altre componenti del sistema sociale, cioè: 1) sulle generazioni future, che per definizione non possono condizionare le decisioni attuali), 2) sui semplici cittadini, che hanno l’onere di dimostrare la veridicità e l’entità dei danni subiti, 3) sull’ecosfera e sugli altri abitanti del pianeta, che nella maggior parte dei casi sono le prime vittime delle scempiaggini dell’uomo.

La Direttiva europea

Un cambiamento radicale delle politiche ambientali è ormai necessario, e, a tale proposito, nel 2022 la Commissione Europea ha presentato la proposta di revisione della Direttiva per la qualità dell’aria. Se la Direttiva fosse approvata, diventerebbe lo strumento base per tutelare i cittadini europei nei confronti degli inquinanti dell’aria e per regolamentare l’azione degli Stati membri in questa materia. Purtroppo nel nostro paese c’è già chi rema contro, nel consueto tentativo di retrocedere la salute dei cittadini e la salute ambientale a fanalino di coda dei problemi da risolvere. Per l’ennesima volta, si rischia di ridurre una questione di grande rilevanza sociale, sanitaria ed economica al mitico “ambientalismo da salotto”, come nella migliore tradizione di alcuni rappresentanti della classe dirigente, la cui competenza etica ed ecologica è inversamente proporzionale alla loro supponenza.

Carlo Modonesi

25/2/2024 https://ilsalvagente.it/

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