Carola Rackete «Mi candido, per l’ecosocialismo»
Carola Rackete, ecologista e capitana della nave Sea Watch che ha salvato migranti nel Mediterraneo e sfidato i divieti di Salvini, spiega qui le ragioni della sua candidatura alle europee con Die Linke in Germania
Tra il 6 e il 9 giugno, l’Unione europea eleggerà un nuovo Parlamento. Si prevede che il trionfo della destra radicale in molte elezioni nazionali degli ultimi mesi continuerà anche nelle elezioni europee. I partiti di sinistra, invece, sono in ritirata nella maggior parte dei paesi europei, soprattutto Die Linke, la sinistra radicale tedesca, che non ha avuto vita facile nelle precedenti elezioni europee.
Con la sua candidatura per il Partito della Sinistra [dal nome del gruppo al parlamento europeo, ndt], l’ecologista ed ex soccorritrice marittima Carola Rackete vuole formare una forza alternativa alla svolta europea verso destra. È al secondo posto nella lista di Die Linke. La sua candidatura è stata accolta molto favorevolmente da alcuni media. Il quotidiano Taz, ad esempio, ha parlato di un «barlume di speranza» e ha visto Rackete come un «segno di vita» per il partito, mentre la rivista Stern ha definito la sua candidatura un «colpo per la sinistra». All’interno di Die Linke, tuttavia, la mossa è stata accolta da reazioni più contrastanti: il deputato Alexander Ulrich, ad esempio, ha parlato di una «Rackete che spaventa gli elettori». Poco dopo ha lasciato Die Linke e si è unito all’Alleanza di Sahra Wagenknecht (Bsw).
Nonostante la scissione di Bsw (il partito di Sahra Wagenknecht), la posizione di partenza per Die Linke e Rackete è tutt’altro che facile. Nei sondaggi d’opinione, il partito si aggira solitamente tra il 4 e il 5%, e la nota attivista non è riuscita finora a creare un effetto di trascinamento. In un’intervista a Jacobin Germania Rackete parla del salto dall’attivismo alla politica, dei dibattiti sulla Nato e della sua idea di una politica agricola europea equa.
È un grande salto dall’azione diretta alla politica di partito. Qual è stato il momento decisivo per compiere questo passo? Chi ti ha convinta?
Circa un anno fa, i leader di Die Linke mi hanno chiesto se volessi candidarmi. All’epoca ero già molto preoccupata per la forza che i partiti di destra stavano assumendo in Germania e in Europa. Ma anche il modo in cui Die Linke si è sviluppata come partito, riuscendo a posizionarsi come un partito di giustizia sociale ed ecologica, è stato molto importante per me. Ho quindi intravisto una finestra di opportunità per ottenere qualcosa a livello politico. Nel mio contesto, ciò riguarda in particolare il legame tra il movimento e l’organizzazione politica. Credo che i movimenti, i sindacati e il partito debbano convergere per avere la possibilità di costruire un contropotere.
Molti attivisti falliscono nel tentativo di portare gli ideali del loro movimento in parlamento e di realizzare questo legame. Come pensi di riuscire in questo cambiamento di impostazione?
Sarà un compromesso da entrambe le parti. Dipende molto da quanto tempo ed energia si dedicheranno alla creazione di reti con la società civile dall’interno del Parlamento. È una questione di priorità. Molti giovani membri dei Verdi al Bundestag [la Camera bassa del Parlamento tedesco, ndt] sono vincolati dal gruppo parlamentare, soprattutto perché questo partito vuole essere al governo quasi a ogni costo. Le cose sono un po’ diverse nel Parlamento europeo, ma anche in Die Linke. La sinistra al Parlamento europeo agisce molto più liberamente e lascia più spazi di manovra. E poi, non essendo una iscritta al partito la mia posizione di partenza è ancora più facile.
Non avrebbe senso allora iscriversi a Die Linke, per ancorare meglio i movimenti al suo interno? Questo renderebbe il legame ancora più forte.
Mi è stato chiesto di far parte della lista elettorale come non iscritta al partito, anche perché in questo modo la rete funzionerebbe meglio. Anche questo ha senso. Soprattutto in questo momento, in cui Die Linke sta trovando un nuovo assetto, è un buon segnale per coloro che attendono con ansia di vedere dove sta andando questo partito: si può partecipare, avere voce in capitolo ed essere coinvolti senza iscriversi subito. Allo stesso tempo, negli ultimi mesi molte persone si sono iscritte. Dopo l’uscita di Sahra Wagenknecht, all’inizio dell’anno avevano aderito oltre 2.000 persone. Ora, dopo le rivelazioni sull’estrema destra dell’AfD [che avrebbe discusso con esponenti neonazisti piani di deportazione dei migranti, ndt], sono arrivate altre 500 persone.
Stai facendo campagna elettorale incentrata soprattutto sulla crisi climatica. Ma la maggior parte delle persone ti conosce ancora come capitano della Seawatch. Perché non fa delle migrazioni il tema più importante?
Di professione sono un’ecologa della conservazione. Ho un master in ecologia e ho lavorato molto nella regione polare. Mi occupo anche di campagne di conservazione e protezione ambientale. Voglio contribuire con la mia esperienza e le mie conoscenze specialistiche e non essere il volto di un problema in cui ho solo dato una mano. Mi è piaciuto molto farlo, ma è un argomento in cui non sono un’esperta.
Molti paesi europei, tra cui la Germania, si sono riarmati notevolmente dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Si tratta di una questione controversa non solo nella sinistra tedesca, ma anche nel gruppo di sinistra del Parlamento europeo. Tuttavia, alcuni partiti, soprattutto quelli nordici, sono favorevoli ad armare i loro paesi contro le possibili minacce della Russia, o almeno esprimono comprensione per l’adesione alla Nato. Quale linea adotterà Die Linke a Bruxelles?
La mia area di competenza è il clima e sono a favore della protezione del clima. Gli armamenti e la guerra sono dei veri e propri killer del clima, quindi la mia posizione è chiara. Ma non è l’obiettivo principale per cui mi candido. Naturalmente sono contraria all’aumento delle spese militari, che viene utilizzato anche per la militarizzazione delle frontiere esterne dell’Europa. Tuttavia, non è realistico lavorare su diverse aree politiche nell’ambito del lavoro parlamentare. Tra i candidati abbiamo anche persone specializzate nella politica di pace. Quindi questo aspetto non sarà trascurato.
Ti vuoi invece concentrare sui comitati per l’ambiente e l’agricoltura. Cosa pensi dell’ondata di proteste degli agricoltori in molti paesi europei?
La rabbia degli agricoltori è ampiamente giustificata. Siamo semplicemente di fronte a trent’anni di politica agricola fallimentare, in gran parte guidata dalla Cdu e dalla Csu (Unione Cristiano-Democratica/Bavarese). Naturalmente, anche le attuali azioni del governo federale non sono state intelligenti. Attualmente non viene offerta alcuna alternativa al gasolio agricolo. Questo esempio dimostra che i tagli vengono fatti nei posti sbagliati. Se gli obiettivi climatici fossero la preoccupazione principale, si potrebbe risparmiare carburante in altri settori. Si sarebbe potuta introdurre una tassa sulla paraffina, affrontare la questione del privilegio dell’auto aziendale, ampliare il trasporto pubblico o vietare i voli a corto raggio. Allo stesso tempo, è del tutto facile generare denaro per questa trasformazione se – a differenza di quanto vuole il [ministro delle Finanze] Christian Lindner – si aumentano le tasse per chi ha già di più. Una politica di ridistribuzione potrebbe pagare la trasformazione necessaria.
E a livello dell’Unione europea?
Il problema della politica agricola ha molte facce diverse. Il Parlamento europeo ha recentemente votato nuovamente sull’ingegneria genetica. Sebbene il 92% dei consumatori tedeschi non voglia l’ingegneria genetica, è probabile che essa esista in futuro. Tutto questo avviene grazie alla lobby agricola, che è enorme a Bruxelles. Il 30% del bilancio dell’Ue è destinato ai sussidi per il settore agricolo. Ciò significa che la lobby agricola di Bayer o Syngenta sta esercitando una forte pressione. Il loro argomento principale è che l’ingegneria genetica aiuterebbe a creare piante più resistenti alla crisi climatica. Ma si tratta di una vera e propria sciocchezza. In passato, abbiamo visto che l’uso dell’ingegneria genetica, ad esempio negli Stati uniti, ha portato a un uso molto più elevato di pesticidi. Questo rende la coltivazione ancora più costosa per gli agricoltori. In linea di principio, sono solo due le aziende che hanno potere di mercato su tutte le sementi. Le piante resistenti al clima potrebbero essere coltivate anche senza l’ingegneria genetica. L’ingegneria genetica è anche inutile contro la fame nel mondo, che potremmo combattere meglio con la ridistribuzione.
Come giudichi la politica agricola dell’Ue al di fuori di questo settore?
Dobbiamo abbandonare i premi per superficie, in cui i sussidi vengono assegnati per ettaro. Ciò significa che le grandi aziende agricole ricevono semplicemente più sussidi. Tuttavia, queste aziende hanno una spesa minore per ettaro a causa delle loro dimensioni. Inoltre, i sussidi agricoli in quanto tali devono rimanere in vigore ed essere erogati specificamente per i servizi sociali ed ecologici forniti dagli agricoltori. Questa è anche la differenza con l’AfD, che vuole abolire completamente i sussidi. Un esempio potrebbe essere quello di sovvenzionare gli agricoltori giovani e donne. Gli agricoltori sono un gruppo professionale relativamente vecchio. Per i giovani è molto difficile iniziare a lavorare e mettere le mani sulla terra se non la ereditano. Il sostegno ai giovani agricoltori potrebbe quindi essere uno strumento di politica sociale. Un’altra possibilità è quella di collegare il sostegno al numero di lavoratori per ettaro di un’azienda agricola. La coltivazione di ortaggi, ad esempio, è ad alta intensità di manodopera e vogliamo promuoverla perché, dal punto di vista ecologico, dobbiamo ridurre in modo massiccio il numero di animali. In Germania, ad esempio, abbiamo ricevuto lamentele dall’Ue perché l’allevamento di bestiame sta contaminando le nostre falde acquifere. Devono esserci programmi strutturali per ridurre il numero di animali e consentire agli agricoltori di compiere questa difficile transizione. Abbiamo bisogno di un concetto di agricoltura completamente diverso da quello dell’Ue.
Per quanto riguarda la politica economica, hai invocato un sistema economico senza crescita. Come si concilia questo con il fatto che sia le misure mirate per ridurre i costi sia l’attuazione di un New Deal verde aumenterebbero la domanda e quindi la crescita?
Il fatto che singoli settori economici crescano non significa che l’intero Pil stia crescendo. Ma quello che intendo è soprattutto che dobbiamo ristrutturare il nostro sistema economico in modo che sia stabile anche se il Pil non cresce o addirittura si riduce. Dopotutto, non può esistere una crescita infinita su un pianeta finito, tanto meno una crescita esponenziale.
La richiesta più importante che ne deriva è quella di redistribuire. Dobbiamo gestire i nostri confini planetari e avviare una transizione molto rapida per raggiungere questo obiettivo. Per farlo, abbiamo bisogno di denaro. Potremmo ottenerlo, ad esempio, attraverso le tasse sui profitti in eccesso dei giganti dell’energia e anche delle aziende alimentari, che attualmente si stanno arricchendo molto. Abbiamo anche bisogno di un prelievo sulla ricchezza e di un bilancio speciale per garantire la gestione della trasformazione. Se vogliamo affrontare il cambiamento strutturale in Lusazia [regione tedesca ndt], il problema è semplicemente che non ci sono abbastanza soldi per farlo, e che attualmente vengono spesi in modo sbagliato. Il punto più importante, tuttavia, è che l’1% più ricco della Germania consuma 35 volte di più della metà più povera. Per ottenere una transizione socialmente giusta, dobbiamo innanzitutto ridurre le emissioni che sono davvero un lusso. A cominciare dai jet privati, ma anche dai voli nazionali e dall’immatricolazione di nuove auto di peso superiore alle due tonnellate.
Tuttavia, la maggior parte dell’inquinamento causato dai ricchi non è dovuto ai loro consumi, ma ai loro mezzi di produzione. Cosa prevedi in questo ambito?
Nel settore dell’energia, in particolare, dovremmo portare la produzione completamente nelle mani dei cittadini, socializzandola o nazionalizzandola. Questo eliminerebbe l’orientamento al profitto, che potrebbe benissimo avvenire in concomitanza con il passaggio alle energie rinnovabili. È importante che la produzione di energia non sia nelle mani delle multinazionali.
In una recente intervista, hai anche ipotizzato un tetto massimo di reddito. All’epoca non avevi una cifra pronta. Ne hai una adesso?
No, dovrebbe essere il frutto di un negoziato sociale, ed è per questo che vorrei un dibattito in merito. Personalmente, non vedo perché qualcuno dovrebbe avere bisogno di più di 2 milioni di euro in beni privati. Ma per me è più facile immaginarlo in termini di reddito. Innanzitutto bisogna chiedersi: quale sarebbe un salario minimo equo? E poi bisogna pensare a quanto potrebbe guadagnare un’altra persona. In Svizzera si è discusso di limitare i differenziali salariali a 12 a 1. Anche in questo caso, mi chiedo quanto sia giusto il salario minimo: il lavoro di una persona vale davvero dodici volte di più di quello di un’altra? Soprattutto se guardo a quale tipo di lavoro è attualmente mal pagato, spesso si tratta del lavoro socialmente più necessario.
Penso che un limite massimo di reddito sia una buona idea, ma al momento non vedo alcuna possibilità realistica di attuarlo. Ciò che sarebbe possibile è abbandonare il freno al debito, aumentare l’imposta di successione, introdurre un prelievo sul patrimonio e tassare i profitti in eccesso. Queste misure potrebbero essere introdotte già la prossima settimana se i partiti del governo tedesco [la coalizione «semaforo»] non bloccassero tutto.
Sono tutte richieste di sinistra. Di recente ha fatto scalpore la tua affermazione secondo cui Die Linke dovrebbe cambiare nome. Ma a parte le etichette, in che modo vi sentite legati all’eredità della sinistra, cioè con il movimento operaio storico, i movimenti socialisti e comunisti del XX secolo a cui la sinistra fa riferimento?
Non sono una iscritta di Die Linke, ma ovviamente mi sento legata alle posizioni e alle persone del partito. Se vogliamo risolvere la crisi climatica, dobbiamo farlo attraverso la giustizia sociale e la redistribuzione. Per farlo, abbiamo bisogno di grandi masse e dobbiamo trovare progetti in cui la questione della giustizia climatica diventi visibile a livello locale e sul campo e che la uniscano all’azione industriale. Ad esempio, Fridays For Future e il sindacato Ver.di hanno lanciato insieme la campagna #WirFahrenZusammen nel contratto collettivo dei trasporti locali, e anche la sinistra è fortemente coinvolta in questo. Credo che questo sia l’approccio giusto e che ce ne vogliano di più.
Ci sono anche lezioni che trai dal movimento operaio del secolo scorso?
Nel 2014 ho svolto un servizio di volontariato in un parco nazionale in Russia. Il precedente sistema socialista in Russia e in altri paesi post-sovietici non era migliore di quello occidentale dal punto di vista ecologico. Abbiamo bisogno di un sistema economico fondamentalmente diverso; tornare semplicemente a quel modello di socialismo non sarebbe più appropriato oggi. All’epoca c’era una crescita dell’industria pesante, un massiccio inquinamento ambientale e non si pensava ai limiti del pianeta. Abbiamo bisogno di una forma di ecosocialismo che non sia orientata al passato. La situazione ecologica è così urgente che le questioni ecologiche e sociali possono essere risolte solo insieme. Questo è possibile solo in misura limitata guardando indietro, ma soprattutto guardando avanti.
Tra i partiti di sinistra del Parlamento europeo esistono modelli diversi, a volte quasi in competizione tra loro. Con quali partiti siete in contatto e quali saranno i vostri alleati nel futuro Parlamento europeo?
Se guardo alla situazione attuale in Europa, allo spostamento a destra e all’ascesa dei fascisti, l’attenzione dovrebbe essere rivolta alla ricerca di un terreno comune. Dobbiamo pensare ad alleanze di ampio respiro, che includano anche dei compromessi. Altrimenti, rischiamo di stare a guardare mentre l’Europa e la democrazia vanno a rotoli. Personalmente mi concentrerò maggiormente sui contatti con la società civile.
Immagina di poter lavorare insieme al Bsw?
No. Nel mio campo, la giustizia climatica, il Bsw non ha preso posizioni che indichino la volontà di perseguire politiche progressiste che siano sociali ed ecologiche. Dobbiamo organizzare un cambiamento strutturale. Non dobbiamo dire ai lavoratori delle industrie dei combustibili fossili che non è necessaria alcuna ristrutturazione. La Bsw vuole vendere alla gente l’idea che tutto possa tornare come prima. È una sciocchezza.
Magdalena Berger è editor di Jacobin Germania, dove è uscito questo articolo. Carola Rackete, già capitana della nave Seawacth, è un’attivista ecologista. La traduzione è a cura della redazione.
5/3/2024 https://jacobinitalia.it/
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