8 marzo….dopo 12 mesi di violenze
“E’ capitato anche a me. Non l’ho mai detto a nessuno”
Sono piccoli omicidi quotidiani quelli che ci racconta Cristina Formica, quelli che avvengono sempre, da sempre, che costruiscono la gabbia concettuale che imprigiona le identità sessuate femminili, che condiziona e penalizza le potenzialità di ciascuna, e perpetua lo strapotere del patriarcato, che è la matrice culturale delle violenze contro le donne che culmina nel maltrattamento, nello stupro, nel femminicidio. E tutti a chiedersi, con ipocrisia e con una forma grave di malafede, con frasi convenzionali, stupide e crudeli – Perché le donne li hanno scelti? Perché non li lasciano? Perché la ragazza è andata a ballare e si è messa la minigonna? Perché ha accettato l’ultimo appuntamento? (Come se le fosse stato chiesto un incontro con l’esplicitazione che sarebbe stato, appunto, l’”ultimo”!). E invece di interrogarsi sulla sistematicità della violenza di genere e di iniziare a cambiare la cultura condivisa che la sottende, si continua a colpevolizzare le donne, a raccontarle come inadeguate e stupide, in fin dei conti colpevoli, si continua a ritenere “normali” tutti gli stereotipi che normano i rapporti tra i maschi e le femmine fin dall’infanzia, come un dictat implacabile che ne accompagna la crescita e che, a livello globale, condiziona, in tutte le classi sociali e in tutte le fasi della vita, lo schema di autoidentificazione maschile o femminile (e guai a discostarsi da questo binarismo rigido!).
Perché è normale che, come Cristina racconta, alle elementari i maschietti considerino assai attraente guardare le mutande delle compagne di scuola, e che alle medie già abbiano imparato a ferire le ragazze nella percezione di se stesse, dissezionandole e valutandone i pezzi del corpo, che sembra di essere carcasse di mucca esposte in un mattatoio, seduti su un muretto a giudicarle quando passano in strada.
In una forma costante e crudelissima di didattica, fin da ragazzine veniamo esposte al giudizio maschile, di cui siamo inerti e sovente spaventate oggetto.
Qualcuno si è mai interrogato sui condizionamenti che bambine, ragazze, donne subiscono nella costruzione della loro identità, che deve essere confermata o s-confermata dal gradimento di uno sconfinato Maschile perentorio?
Uomini – ma anche ragazzi, anche ragazzini – che non conosci e che non ti conoscono che danno i voti al tuo aspetto, e sei terrorizzata se il voto è alto, perché ti senti una preda priva di difese, e ti senti annientata se il voto è negativo, perché ti senti negata come essere vivente senziente pensante.
Tutto al di fuori della relazione, perché parliamo di una popolazione casuale camminante per le strade divisa in due grandi categorie: quelli che hanno il potere di giudicare e quelle che debbono essere prezzate come bestie al mercato.
Quanto il catcalling incide sula costruzione del sé?
Qualcuno si chiede perché gli uomini si sentano autorizzati ad appalesare i propri gusti in fatto di apparenze femminili?
E le donne stesse, seppure provano disagio e (sovente) paura, sono condotte a ritenere questo caleidoscopio di aggressioni “normali”, e sovente non ne parlano.
“Non l’ho mai detto a nessuno” è una frase che si legge spesso in questo testo, nel quale Cristina enumera le molestie di cui è stata oggetto, abbattendo un muro di silenzio che ha connotato – e connota – la percezione di sé che le donne hanno introiettato da millenni di sottomissione, e che da ultimo, grazie al femminismo, stanno modificando radicalmente.
Qualunque donna si ritroverà nei racconti di Cristina, perché non ce ne è una che cose del genere non le abbia vissute.
E se pensiamo alla irrilevanza delle donne nella Storia tramandata e raccontata, alla fatica che ci è toccata (e ci tocca) per affermarci come soggettività potenti, ci vengono in mente generazioni di sorelle e di madri che sono state così tanto condizionate e ferite da non aver potuto trasmettere forza e autorevolezze alle generazioni che si sono susseguite – anzi, non raramente, spingendo le figlie (reali o simboliche) dentro alle loro stesse prigioni, incatenandole alle loro stesse catene, perché avevano introiettato le regole del Patriarcato e pareva loro gratificante ergersene a sentinelle.
In tutta la nostra Storia, il silenzio ci ha fatto assai male. Solo la scoperta del valore della relazione tra donne, le pratiche femministe, la sperimentazione della radicalità e la scoperta della nostra potenza ci hanno salvato – ci salvano.
Riscoprire il nostro valore e imporre la potenza della nostra visione ci ha fortificato in molte. Ma non ha impedito – non impedisce – che in tante siamo sottovalutate, oggettificate, maltrattate, picchiate, stuprate, uccise.
Ecco, questo libro, con le storie di violenze esperite nella quotidianità, da Cristina ma anche da diverse sue amiche o conoscenti, rappresenta un esercizio che ciascuna di noi può fare, ripercorrendo tutte le ferite che abbiamo ricevute, ricordandoci quanto ci hanno fatto male, valorizzando la nostra capacità di andare, comunque, avanti, e rafforzando la nostra capacità di combattere per noi stesse e per tutte.
Nel mio lavoro di accoglienza alle donne in fuga dalla violenza maschile, una magnifica tra di loro, al termine di un percorso che era stato particolarmente difficile e doloroso, mi disse: “Le ferite si sono rimarginate, ma le cicatrici ogni tanto fanno male”.
Ecco, la consapevolezza e la lotta comune sono un balsamo per le ferite, e l’unico modo possibile per cambiare i contesti che rendono possibile che le donne siano vulnerabilizzate, l’unico modo per scoprire ed agire la nostra potenza.
Oria Gargano
comune-info.net
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