‘Mamma stiamo morendo’: riesce a sentire i suoi figli a Gaza solo nei loro ultimi giorni di vita
Hanan e Mazen al capezzale di Fadi [Mosab Shawer/Al Jazeera].
di Mosab Shawer,
Al Jazeera, 16 aprile 2024.
Betlemme, Cisgiordania occupata.- Hanan al-Qeeq siede accanto a un letto dell’ospedale di Beit Jala, con il volto triste e pallido sempre sulla soglia delle lacrime, anche quando cerca di strappare un sorriso di saluto.
Seduto accanto alla donna esausta c’è il marito, Mazen, 56 anni, dipendente del Ministero dell’Istruzione di Gaza, che ha lasciato il lavoro per recarsi nella Cisgiordania occupata, dove il figlio Fadi è in cura.
La cinquantenne Hanan dice di portare un pesante fardello. Mentre lei e Mazen vegliavano al capezzale di Fadi, pregando per la sua guarigione, la guerra di Israele contro Gaza ha portato via loro altri quattro figli.
“Cos’altro posso dire, oltre a raccontare quello che è successo?”, dice Mazen, che non vuole, o forse non può, parlare di più.
La coppia ha avuto sette figli.
Quattro figlie: Iman, 31 anni, sposata e residente in Canada, Malaka, 24 anni, Nuran, 23 anni, e Tala, 15 anni.
Tre figli: Fayez, 33 anni, sposato e residente negli Stati Uniti, Fadi, 30 anni, e Muhammad Awad, 17 anni.
Ora hanno tre figli: Fadi, Fayez e Iman.
Perché Malaka, Nuran, Muhammad Awad e Tala sono rimasti a casa quando Hanan e Mazen hanno lasciato Gaza per seguire le cure mediche di Fadi; e sono stati uccisi tutti e quattro quando Israele ha bombardato il rifugio in cui si nascondevano.
Il ricordo di chi ha perso la vita
Hanan scorre le foto dei suoi figli sul telefono, cosa che fa con una triste familiarità mentre parla di loro.
“Malaka era dolce e generosa, sempre pronta a dare una mano. Nuran amava tutti, amava la vita ed era amata a sua volta, soprattutto dal suo fidanzato in Marocco… Si sarebbero sposati dopo l’Eid al-Adha [la Festa del Sacrificio]”.
Per quanto riguarda Tala, la madre ha detto: “L’ho sempre paragonata alla Vergine Maria, così calma e dolce, una vera principessa. E Muhammad Awad, lavorava così duramente! Aveva un biglietto sulla scrivania per ricordare a se stesso: “Voglio ottenere il 97% agli esami di maturità, così mio padre sarà felice e io potrò studiare ingegneria all’estero””.
La loro vita familiare, vivace e piena di soddisfazioni, si è interrotta lo scorso aprile quando Fadi è precipitato da cinque piani mentre era al lavoro per intonacare l’esterno di un edificio. È diventato tetraplegico.
All’inizio, Mazen ha accompagnato Fadi ad Haifa per le cure. Ma poi il figlio è stato spostato da un ospedale all’altro.
Ci sono voluti mesi prima che Hanan potesse raggiungerli; a quel punto il trattamento si svolgeva all’ospedale Reuth di Tel Aviv. Hanan doveva restare con Fadi mentre Mazen sarebbe tornato a Gaza, ma lei era preoccupata per Fadi e intimorita dall’idea di dover affrontare il sistema ospedaliero israeliano, così gli chiese di restare.
Non sapeva che, chiedendogli di restare, gli avrebbe salvato la vita.
Comincia la guerra
Quando a ottobre è iniziata la guerra di Israele contro Gaza, i genitori sconvolti stavano ancora cercando di trovare le cure di cui Fadi aveva bisogno. Era stato trasferito da Haifa all’ospedale Tel HaShomer di Tel Aviv, dove aveva ricevuto alcuni interventi chirurgici, ma poi era stato buttato fuori perché la famiglia non poteva permettersi di completare le cure lì.
Hanan parlava con i suoi figli rimasti a Gaza tutte le volte che poteva, ascoltandoli mentre tremavano al telefono per la paura e ascoltando le loro urla ogni volta che un proiettile atterrava nelle vicinanze.
“Piangevano al telefono: ‘Mamma, stiamo morendo’”, ha raccontato.
“Cercavo di rassicurarli dicendo loro che sarebbe finita in pochi giorni, come le guerre precedenti. ‘Non vi accadrà nulla di male o di pericoloso’, dicevo loro”, ha raccontato, asciugandosi le lacrime dagli occhi.
Una settimana dopo l’inizio della guerra, la paura di Hanan per i suoi figli è cresciuta e lei ha inviato un’e-mail alle sue sorelle per chiedere loro di prendersi cura di loro, scrivendo: “La vita dei miei figli è nelle vostre mani. Prendetevi cura di loro”.
La sorella maggiore, che si fa chiamare Umm Fadi, ha mandato un’auto per portare i figli da Remal, nel nord di Gaza, alla sua casa di Tal al-Hawa, nel sud-ovest.
A quel punto, gli appelli di Hanan ai funzionari palestinesi e alla comunità stavano funzionando e lei riuscì a far sì che l’Autorità Palestinese si facesse carico delle spese di cura di Fadi e lo facesse ricoverare in un ospedale di Betlemme il 20 ottobre.
I figli sono rimasti a casa della zia per quasi un mese, finché l’esercito israeliano non ha preso d’assalto il quartiere e loro sono fuggiti ad az-Zawayda con tutti quelli che si trovavano in casa: la zia, i suoi figli con le loro mogli, le sue figlie con i loro mariti e tutti i loro figli e nipoti.
Il 13 dicembre, Fadi è stato sottoposto a un intervento chirurgico presso l’ospedale Istishari di Ramallah prima di essere trasferito all’ospedale Beit Jala di Betlemme, dove è tuttora ricoverato.
Per tutto il tempo, Hanan e Mazen hanno dormito nelle corsie dell’ospedale e hanno mangiato qualsiasi cosa l’ospedale desse loro, finché la gente di Betlemme non ha saputo della loro situazione.
Un membro della comunità ha dato loro una casa arredata, ha raccontato la coppia, e ha detto loro che la casa era loro per tutta la durata delle cure di Fadi. “Abbiamo trovato sicurezza tra la nostra gente”, ha detto Hanan.
Mentre Hanan a Betlemme si preoccupava per i suoi figli rimasti a Gaza, loro si preoccupavano per i loro genitori e chiedevano della salute del fratello Fadi ogni volta che si parlavano.
La sorella di Hanan e le 29 persone che erano con lei – tra cui i figli di Hanan – stavano tornando alla casa di Tal al-Hawa dopo aver saputo che l’esercito israeliano si era ritirato. I danni che i soldati si sono lasciati alle spalle sono così ingenti che il gruppo ha avuto difficoltà a trovare la strada per tornare a casa, come le hanno detto i figli al telefono.
Poche settimane dopo, l’esercito israeliano ha colpito di nuovo, facendo fuggire la famiglia a Jalaa, poi a Remal e di nuovo a Jalaa, dove hanno finito per rifugiarsi con 200 persone in un edificio scolastico. Ma il gruppo ha continuato a spostarsi da un luogo all’altro in cerca di sicurezza, finché un giorno Hanan ha saputo che 16 dei suoi parenti erano stati uccisi in un attacco israeliano a Jalaa.
Hanan è rimasta attaccata all’altro capo del telefono, stordita per la preoccupazione. Ha rischiato di perdere la testa quando i telefoni dei figli si sono spenti, ma ha saputo da sua nipote Sahar che tutto andava bene e alla fine la famiglia superstite è potuta ripartire per la casa di Tal al-Hawa.
“Immaginate come sia stato”, ha detto Hanan, scorrendo tristemente le foto, “avere Malaka che mi diceva: “Mamma, saremo martirizzati. Non piangere se succede. Preferisco che sia così piuttosto di rimanere paralizzati o perdere gli arti’”.
Poi ha perso i contatti con loro per giorni, forse una settimana. Hanan non sa quanto a lungo, mentre cercava disperatamente di contattare chiunque potesse sapere cosa stava succedendo. L’ultima notte di ricerca non riuscì a dormire e rimase sveglia tutta la notte per inviare un messaggio dopo l’altro a Malaka.
Hanan e Mazen avevano contattato il Comitato Internazionale della Croce Rossa e la Società della Mezzaluna Rossa Palestinese, pregandoli di recarsi alla loro casa per controllare i figli. Ma Hanan non si rese conto che quelle istituzioni avevano trovato una risposta fino a quando, un giorno, entrò nella stanza d’ospedale di Fadi e vide un gruppo di medici e di personale che la stavano aspettando.
Una delle donne del gruppo iniziò a farle gentilmente delle domande, ma qualcosa le diceva che c’era un altro motivo per la loro presenza.
“Ho chiesto: ‘Avete ricevuto qualche notizia? I miei figli, è successo loro qualcosa? Sono stati martirizzati?”.
“Ho visto le lacrime nei loro occhi e una di loro ha risposto, indossava un’uniforme della Mezzaluna Rossa: ‘Avrei voluto dirvi che non sono stati martirizzati, ma questa è stata la volontà di Dio’.
Il 21 dicembre 2023 i servizi di emergenza erano finalmente arrivati alla casa e avevano scoperto che tutti i presenti erano stati uccisi circa tre giorni prima.
“Sono rimasta lì in mezzo alla stanza, pregandoli: ‘OK, ditemi, chi è stato martirizzato? Chi è ancora vivo? Malaka? Tutu [Tala]? Muhammad?”.
“Lei mi ha risposto che tutti erano stati martirizzati, che erano stati trovati sotto le macerie.”
“Ho iniziato a urlare, a urlare e basta, finché non sono crollata in mezzo a loro”.
Hanan si era adoperata per portare la famiglia fuori da Gaza prima dell’incidente di Fadi. Aveva ottenuto faticosamente i passaporti dei figli e aspettava che la guerra cessasse per poter viaggiare, ma ora era tutto inutile.
“I miei figli… i miei figli! Stavano aspettando che il loro fratello Fadi si riprendesse e che noi tornassimo”, ha pianto.
Ora non vuole più tornare a Gaza.
“No, non ho più né persone né pietre lì. La casa è crollata e i miei figli sono stati martirizzati. Da chi tornerei?
“Tutti se ne sono andati e i miei figli [e] mia sorella sono stati martirizzati, così tanti dei miei parenti sono scomparsi!”.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
16/4/2024 https://www.assopacepalestina.org/
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