I diligenti carnefici di Israele
Centinaia di migliaia di persone sono costrette a fuggire, ancora una volta, dopo che più della metà della popolazione di Gaza si è rifugiata nella città di confine di Rafah. Questo fa parte del sadico programma di Israele.
Fonte: English version
Di Chris Hedges – 13 maggio 2024
Correte, intimano gli israeliani, correte per salvarvi la vita. Scappate da Rafah come da Gaza Città, come da Jabalia, come da Deir al-Balah, da Beit Hanoun, Bani Suheila, Khan Yunis. Correte o vi uccideremo. Lanceremo bombe anti-bunker da 2.000 libbre (900 kg) sui vostri accampamenti di tende. Vi tempesteremo con i proiettili dei nostri droni armati di mitragliatrice. Vi colpiremo con l’artiglieria e i proiettili dei carri armati. Vi abbatteremo con i cecchini. Raderemo al suolo le vostre tende, i vostri campi profughi, le vostre città e paesi, le vostre case, le vostre scuole, i vostri ospedali e i vostri impianti di depurazione dell’acqua. Faremo piovere morte dal cielo.
Correte per la vostra vita. Ancora e ancora e ancora. Raccogliete le patetiche poche cose che vi sono rimaste. Coperte. Un paio di pentole. Alcuni abiti. Non ci importa quanto siete stremati, quanto siete affamati, quanto siete terrorizzati, quanto siete malati, quanti anni avete o quanto siete giovani. Correte. Fuggite. Scappate. E quando correrete terrorizzati verso una parte di Gaza, vi faremo voltare e correre verso un’altra direzione. Intrappolati in un labirinto di morte. Avanti e indietro. Su e giù. Fianco a fianco. Sei. Sette. Otto volte. Giochiamo con voi come topi in trappola. Poi vi deporteremo così non potrete mai più tornare. Oppure vi stermineremo.
Che il mondo denunci pure il nostro Genocidio. Cosa ci importa? I miliardi di aiuti militari provengono incontrollati dal nostro alleato americano. Gli aerei da caccia. I proiettili d’artiglieria. I carri armati. Le bombe. Una scorta infinita. Uccidiamo bambini a migliaia. Uccidiamo donne e anziani a migliaia. I malati e i feriti, senza medicine e ospedali, muoiono. Avveleniamo l’acqua. Tagliamo il cibo. Vi facciamo morire di fame. Abbiamo creato questo inferno. Noi siamo i maestri. Legge. Etica. Un codice morale. Per noi non esistono.
Ma prima giochiamo con voi. Vi umiliamo. Vi terrorizziamo. Ci godiamo la vostra paura. Siamo divertiti dai vostri patetici tentativi di sopravvivere. Non siete umani. Siete animali. Untermensch (Subumani). Alimentiamo la nostra superbia, la nostra brama di dominio. Guardate i nostri post sui social media. Sono diventati virali. Uno mostra soldati che sorridono in una casa palestinese con i proprietari legati e bendati sullo sfondo. Saccheggiamo: Tappeti. Cosmetici. Moto. Gioielli. Orologi. Contanti. Oro. Antichità. Ridiamo della vostra miseria. Festeggiamo la vostra morte. Celebriamo la nostra religione, la nostra nazione, la nostra identità, la nostra superiorità, negando e cancellando la vostra.
La depravazione è morale. L’atrocità è eroismo. Il Genocidio è redenzione.
Jean Améry, membro della Resistenza belga durante la Seconda Guerra Mondiale e catturato e torturato dalla Gestapo nel 1943, definisce il sadismo “come la negazione radicale dell’altro, la negazione simultanea sia del principio sociale che del principio di realtà. Nel mondo del sadico, la tortura, la distruzione e la morte trionfano: e un mondo simile chiaramente non ha speranza di sopravvivere. Al contrario, desidera trascendere il mondo, raggiungere la sovranità totale negando gli altri esseri umani, che vede come rappresentanti di un particolare tipo di ‘inferno’”.
Di nuovo a Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa, Netanya, Ramat Gan, Petah Tikva chi siamo? Lavapiatti e meccanici. Operai, esattori delle tasse e tassisti. Spazzini e impiegati. Ma a Gaza siamo semidei. Possiamo uccidere un palestinese che non si spoglia fino alle mutande, non si mette in ginocchio, non implora pietà con le mani legate dietro la schiena. Possiamo farlo ai bambini di 12 anni e agli uomini di 70 anni.
Non ci sono vincoli legali. Non esiste un codice morale. C’è solo l’ebbrezza inebriante di esigere forme di sottomissione sempre più grandi e forme di umiliazione sempre più abiette.
Potremmo sentirci insignificanti in Israele, ma qui, a Gaza, siamo Giganti, piccoli Tiranni su piccoli troni. Attraversiamo le macerie di Gaza, accompagnati dalla potenza delle armi di distruzione di massa, capaci di polverizzare in un istante interi palazzi e quartieri, e come Vishnu diciamo: “Ora sono diventato morte, distruttore di mondi”.
Ma non ci accontentiamo semplicemente di uccidere. Vogliamo che i morti che camminano rendano omaggio alla nostra divinità.
Questa è la partita giocata a Gaza. Era la partita giocata durante la Guerra Sporca in Argentina, quando la giunta militare fece “scomparire” 30.000 dei suoi stessi cittadini. Gli “scomparsi” sono stati sottoposti a tortura, chi non può chiamare tortura ciò che sta accadendo ai palestinesi a Gaza?, e umiliati prima di essere assassinati. Era la prassi nei centri di tortura clandestini e nelle prigioni in El Salvador e Iraq. È ciò che ha caratterizzato la guerra in Bosnia nei campi di concentramento serbi.
Questo male dell’anima ci attraversa come una corrente elettrica. Infetta ogni Crimine a Gaza. Infetta ogni parola che esce dalla nostra bocca. Noi, i vincitori, siamo gloriosi. I palestinesi non sono niente. Parassiti. Saranno dimenticati.
Il giornalista israeliano Yinon Magal, nel programma “Hapatriotim” sul canale 14 israeliano, ha scherzato dicendo che la linea rossa di Joe Biden era l’uccisione di 30.000 palestinesi. Il cantante Kobi Peretz ha chiesto se questo è il numero dei morti in un giorno. Il pubblico è scoppiato in applausi e risate.
Mettiamo tra le macerie lattine con trappole esplosive, simili a scatolette di cibo. I palestinesi affamati vengono feriti o uccisi quando le aprono. Trasmettiamo i suoni delle donne che urlano e dei bambini che piangono dai droni quadricotteri per attirare fuori i palestinesi in modo da potergli sparare. Annunciamo punti di distribuzione alimentare e usiamo artiglieria e cecchini per compiere massacri.
Noi siamo l’orchestra in questa danza della morte.
Nel racconto di Joseph Conrad “Un Avamposto del Progresso” (An Outpost of Progress), scrive di due commercianti bianchi europei, Carlier e Kayerts. Vengono inviati in una remota stazione commerciale nel Congo. La missione diffonderà la “civiltà” europea in Africa. Ma la noia e la mancanza di vincoli trasformano presto i due uomini in bestie. Commerciano scambiando schiavi con avorio. Litigano per la carenza di cibo. Kayerts spara e uccide il suo compagno disarmato Carlier.
“Erano due individui assolutamente insignificanti e incapaci”, scrive Conrad di Kayerts e Carlier:
“La cui esistenza è resa possibile solo attraverso l’alta organizzazione delle masse civili. Pochi uomini si rendono conto che la loro vita, l’essenza stessa del loro carattere, le loro capacità e la loro audacia, sono solo l’espressione della loro fiducia nella sicurezza di ciò che li circonda. Il coraggio, la compostezza, la fiducia; le emozioni e i principi; ogni pensiero grande e ogni pensiero insignificante non appartiene al singolo ma alla massa; alla massa che crede ciecamente nella forza irresistibile delle sue istituzioni e della sua morale, nel potere della sua polizia e della sua opinione. Ma il contatto con la pura e assoluta ferocia, con la natura primordiale e l’uomo primitivo, porta nel cuore un turbamento improvviso e profondo. Al sentimento di essere soli nel proprio genere, alla chiara percezione della solitudine dei propri pensieri, delle proprie sensazioni, alla negazione dell’abituale, che è sicura, si aggiunge l’affermazione dell’insolito, che è pericolosa; un suggerimento di cose vaghe, incontrollabili e ripugnanti, la cui intrusione sconcertante eccita l’immaginazione e mette alla prova i nervi sia degli sciocchi che dei saggi civilizzati.
Rafah è il premio finale. Rafah è il grande campo di sterminio dove massacreremo i palestinesi su una scala mai vista in questo Genocidio. Guardateci. Sarà un’orgia di sangue e di morte. Sarà di proporzioni bibliche. Nessuno ci fermerà. Uccidiamo in preda a sfrenata eccitazione. Siamo dei.
Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer, è stato corrispondente estero per quindici anni per il New York Times, dove ha lavorato come capo dell’Ufficio per il Medio Oriente e dell’Ufficio balcanico per il giornale. In precedenza ha lavorato all’estero per The Dallas Morning News, The Christian Science Monitor e NPR. È il conduttore dello spettacolo RT America nominato agli Emmy Award On Contact.
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org
15/5/2024 https://www.invictapalestina.org/
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