LA GUERRA NON E’ NORMALITA’, E’ FOLLIA!

Inquietanti dichiarazioni sono state fatte agli inizi di questo mese dal capo di Stato maggiore dell’Esercito italiano, il generale di Corpo d’Armata Carmine Masiello, al Corriere della Sera. Tra l’altro, ha dichiarato: “: l’Italia deve diventare una nazione con una capacità di deterrenza reale e credibile”. “L’Esercito

ha sottolineato Masiello – deve essere rivisto sotto diversi profili. Sono cambiati gli scenari, le minacce e, quindi, le esigenze, anche degli altri Paesi Nato. Vanno rivisti soprattutto i principali sistemi d’arma, potenziati gli strumenti, adeguate le strutture e le procedure d’impiego”. Si delinea così uno scenario di guerra, non solo sostenuta, ma guerreggiata.

Il ministro leghista dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara e il DIS, l’organo a capo dei Servizi Segreti, ha avviato un progetto chiamato “I come Intelligence” “per formare gli alunni della scuola secondaria del primo biennio ad apprendere la rilevanza degli stessi servizi segreti e della funzione dell’intelligence”. E’ quanto dichiara il giornalista Antonio Mazzeo, autore del libro “L’Italia va alla guerra” E non è l’unico esempio del legame sempre più frequente tra il mondo militare e quello dell’istruzione. Il docente di Storia e Filosofia Michele Lucivero dichiara: ““Vogliamo denunciare una deriva della scuola, dove compaiono sempre più spesso uomini e donne in divisa per tenere conferenze o lezioni di vario tipo
relative alla sicurezza, alla promozione professionale del proprio corpo d’appartenenza, mentre fuori dalle scuole non poche volte capita che le scolaresche vengano condotte in caserme e basi militari per cerimonie o iniziative promozionali”.

Su “Il fatto quotidiano” dell’11 maggio scorso si legge: “È invece Michele Lancione, ordinario al Politecnico di Torino, a spiegare nel suo intervento i rischi collegati al ‘Dual Use’ nella ricerca: “Il nostro Ateneo ha molteplici accordi siglati con aziende che operano nell’universo militare, compresa Leonardo Spa, tra le aziende produttrici di armi e sistemi di difesa e sicurezza più grandi al mondo, legati all’insegnamento e alla ricerca”.
Da parte sua, la dichiara: “la spesa militare italiana complessiva “diretta” per il 2024 sarà di circa 28,1 miliardi di euro, con un aumento di oltre 1400 milioni rispetto alle medesime valutazioni effettuate sul 2023. Una
crescita derivante soprattutto dagli investimenti in nuovi sistemi d’arma: sommando i fondi della Difesa destinati a tale scopo con quelli di altri Dicasteri nel 2024 per la prima volta l’Italia destinerà una cifra di circa 10 miliardi di euro agli
investimenti sugli armamenti”.

Il giornalista investigativo australiano – tedesco Antony Loewenstein, fa un’altra inquietante rivelazione, riportata dal Centro Studi Sereno Regis di Torino. Nel suo libro “Laboratorio Palestina” spiega come Israele esporta tecnologia militare in tutto il mondo. “In parole semplici i Territori Occupati palestinesi sono il laboratorio di sperimentazione di Israele per testare armi e strumenti di controllo, che vengono poi rivenduti al resto del mondo”. A questo proposito si cita anche l’intervista riportata su “Il Manifesto” del 14 Aprile 2024 con il titolo: “Gaza è un laboratorio
per distruzioni di massa”.
Ma neanche l’Europa si tira indietro in questo “gioco al massacro”. Come scrive Chiara Cruciati su “Il manifesto” del 2 aprile 2024 “I trattati Ue vietano di dare denaro a progetti di armamento. Tutti disattesi da anni. ResponDrone, un milione e 300.000 euro alla Iai di Tel Aviv. 100.000 alla Difesa israeliana.

I droni che uccidono e distruggono Gaza parlano un po’ anche la lingua di Bruxelles. Quei droni israeliani che hanno partecipato all’uccisione di 32mila palestinesi in sei mesi e alla distruzione di un territorio sono stati progettati, costruiti, usati anche grazie all’Europa. Come? Con ingenti finanziamenti destinati alla ricerca che invece finiscono direttamente all’industria degli armamenti di Tel Aviv. Che finiscono a chi fabbrica i droni utilizzati dall’esercito israeliano”…
Informazioni dovute a un’accuratissima indagine che ha coinvolto decine di studiosi, realizzata da Statewatch, una delle più autorevoli organizzazioni per i diritti umani e digitali”.

Praticamente siamo in presenza di un enorme divario, spacciato per “normalità” e “deterrenza”, fra i i principi e i valori conclamati sulla carta da nazioni cosiddette “demcratiche” e le scelte politiche e militari, che sono la negazione della democrazia e dei diritti. Quando si profila una situazione come quella attuale, in cui si tende a convincere milioni di persone che la guerra non solo è possibile, ma è anche desiderabile e persino necessaria, lo si fa in tanti modi diversi, anzitutto trovanoo il modo di sospendere l’esercizio delle libertà democratiche. Per esempio, rafforzando gli esecutivi dei governi per diminuire o annullare l’efficacia delle opposizioni, oppure manipolando alla grande l’informazione, con una serie di verità distorte, di notizie taciute o amplificate secondo gli intenti di chi vuole orientare l’opinione pubblica in una certa direzione, oppure ancora trovando razionalizzazioni e giustificazioni ad azioni belliche che ormai sono soltanto genocidi e stermini di massa.

Viviamo, noi Occidentali, nella condizione di popolazioni drogate da una percezione di “normalità” in cui la spinta al consumo individualistico di beni e prodotti welfare si affianca a una sottile ma diffusa insinuazione che forse, dopotutto, la guerra potrebbe anche essere necessaria, persino “liberatoria”. La guerra è vista come un’astrazione universale, in cui i buoni e i cattivi sono chiaramente definiti dagli “interessi nazionali”, la corsa agli armamenti definita come “deterrenza”, lo sterminio di civili, donne, bambini, come “azione di prevenzione”, l’attacco a scuole, ospedali, università come “necessità di difesa dal terrorismo”. Da un articolo di Robert C. Koehler del 19 Aprile riportato nelle comunicazioni del Centro Sereno Regi è scritto: “E se la guerra venisse trattata come viene trattata la criminalità di strada: non come un’astrazione, ma con la consapevolezza che si tratta di un profondo problema sociale? E se la guerra fosse trattata con consapevolezza esterna, cioè con una saggezza che trascende i luoghi comuni politici, anziché in obbedienza a questi luoghi comuni?”
Purtroppo la verità è che, quando si profila una situazione di guerra, diritti e democrazie vengono praticamente sospesi.

Oggi chi ha la carta vincente non è chi ha ragione, ma chi dispone dei mezzi tecnologici più potenti e raffinati per imporre la “propria” vittoria. Non escluso l’impiego della Intelligenza Artificiale. Gli stessi poteri giuridici sovranazionali devono cedere di fronte agli interessi e ai veti delle nazioni belligeranti che hanno il potere di disattendere persino le risoluzioni dell’ONU: “la sicurezza collettiva è gravemente minata dall’incapacità degli Stati membri [delle Nazioni Unite] di affrontare efficacemente le minacce globali e interconnesse che hanno di fronte, di gestire le loro rivalità e di rispettare e rafforzare i quadri normativi che regolano le loro relazioni reciproche e… il benessere delle loro società” dichiara Antonio Gutierrez, Segretario Generale delle Nazioni Unite.

Purtroppo siamo in un contesto di riarmo globalizzato per il controllo dei territori, delle risorse, delle rispettive zone d’influenza disputate a suon di bombe in un mondo diventato multipolare e dove la guerra calda, anzi bollente, ha sostituito ormai la cosiddetta “guerra fredda”. Un mondo dove la vita umana vale meno di niente! Il problema è che stavolta il riarmo comprende il rischio di una guerra nucleare, con relativi stermini di massa e distruzione degli ecosistemi. Quante volte
questo fantasma è stato evocato nelle piazze, nei convegni, nei sit in, nelle marce, organizzati dai vari Movimenti per la Pace? Con quale risultato nella politica “agita” di chi detiene il potere e le armi?

Per tornare all’Italia, GreenPeace denuncia “Nell’ultimo decennio (2013-2023) le spese militari hanno registrato un aumento record: +46% nei Paesi NATO-UE e +30% in Italia. Un balzo trainato dall’acquisto di nuove armi: +168% nei Paesi NATO- UE e +132% in Italia. In un decennio, la spesa italiana per i nuovi sistemi d’arma è passata da 2,5 miliardi di euro a 5,9 miliardi”.

Il Movimento Nonviolento rileva come da parte di autorevoli esponenti politici sia del governo nazionale (Salvini) che dei governi regionali (Assessore veneta Donazzan) si vada sempre più auspicando la leva militare obbligatoria “per educare i giovani al servizio della Patria”. Per contro, è drasticamente calato il numero dei giovani impegnati nel servizio civile, ma non perché scarseggino le domande. “Fino ad ora il governo non è riuscito nemmeno a garantire il servizio civile universale volontario a coloro che vorrebbero svolgerlo (su circa centomila domande all’anno, meno della metà vengono accolte, a causa della ristrettezza dei fondi messi a disposizione: cioè uno su due dei giovani che vorrebbero “servire la Patria” con un servizio civile non armato e nonviolento, viene lasciato a casa)”
Intanto, sia il Civil 7 che la Rete Pace e Disarmo hanno proposto un programma nutrito e molto articolato in tema di pace, sicurezza comune e disarmo nucleare da presentare al G7. “Negli ultimi decenni, l’aumento delle spese militari e la militarizzazione hanno portato a un mondo sempre più in guerra e incapace di affrontare i veri problemi globali. Il G7 dovrebbe guidare un cambiamento di rotta ormai inevitabile, ponendo le scelte di disarmo in prima linea nelle rinnovate politiche per una Pace positiva”, conclude Francesco Vignarca, della Rete Italiana per la Pace e Disarmo”.

Intanto, le azioni di contrasto alla guerra sono di testimonianza individuale e di gruppo. Il Movimento Nonviolento ha lanciato la Campagna di Obiezione alla guerra, “a sostegno degli obiettori di coscienza russi, bielorussi, ucraini, israeliani e
palestinesi, per i quali chiediamo che l’Europa apra loro le porte e li accolga con il riconoscimento dello status di rifugiati politici”. Inoltre chiede a tutti i cittadini italiani, uomini e donne, di sottoscrivere la Dichiarazione di Obiezione di coscienza,
per dire NO alle armi. Un’altra risposta efficace è la disobbedienza civile sia del mondo produttivo sia di quello accademico e scolastico a collaborare con programmi e progetti militari. Occorre sostenere sia gli obiettori di coscienza alla
guerra di Paesi belligeranti, sia insistere nella protesta per azioni militari contro civili e popolazioni inermi, sia capovolgere decisamente la deriva di una “cultura militarista e bellicista” per sostituirla con sempre e più convinte azioni di “cultura della pace”: incontri tra i diversi, solidarietà e integrazione sociale, disarmo e gestione nonviolenta dei conflitti, difesa dei diritti umani e soprattutto coinvolgimento di istituzioni a tutti i livelli per il definitivo superamento di pratiche belliciste. Fuori la guerra dalla Storia!

Rita Clemente

CoPaCo Comitato Pace e Cooperazione

Chieri (Torino)

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