Il ceto medio italiano sempre più impaurito di cadere in povertà

Per decenni, in Italia, l’appartenenza al ceto medio era sinonimo di aspirazioni economiche e sociali elevate, con una forte enfasi sull’investimento nel lavoro, nella carriera e nell’istruzione, basandosi sulla convinzione che una società in crescita avrebbe ricompensato il talento e l’impegno.

Tuttavia, il panorama attuale è molto diverso e sorge spontanea la domanda su cosa resti oggi del ceto medio e del suo senso di appartenenza. La CIDA, Confederazione dei dirigenti e delle alte professionalità del pubblico e del privato, ha incaricato il Censis di condurre una ricerca per analizzare l’importanza del ceto medio nell’attuale contesto economico e sociale.

Stefano Cuzzilla, presidente della CIDA, ha dichiarato: «Da tempo osserviamo una lenta ma costante erosione del ceto medio italiano, un fenomeno che oggi si sta accelerando, mettendo a rischio il principale motore dell’economia del Paese.

Sebbene il 60,5% degli italiani si identifichi ancora come ceto medio, oltre la metà (54,2%) avverte una regressione sociale, e il 75% ritiene sempre più arduo migliorare la propria posizione. La mancanza di fiducia nel futuro è allarmante: se le aspettative calano e si perde la convinzione di poter progredire, le ripercussioni per l’intera nazione saranno gravi».

Il rapporto del Censis introduce il concetto di “fragilizzazione” del ceto medio italiano, attribuendo questa condizione sia a processi globali che hanno rallentato la crescita economica e aumentato le disuguaglianze, sia a politiche nazionali ed europee in ambito fiscale e di welfare, che hanno colpito duramente le famiglie del ceto medio.

I dati mostrano che il ceto medio rappresenta la maggioranza della popolazione italiana: il 60,5% degli italiani si identifica in questa categoria, il 33,8% si considera parte del ceto popolare e il 5,7% appartiene al ceto benestante.

La percezione di appartenenza al ceto medio varia in base al reddito: l’11,3% di chi ha un reddito annuo fino a 15.000 euro, il 46,4% di chi guadagna tra 15.000 e 34.000 euro, il 26,7% tra 35.000 e 50.000 euro, e il 15,6% sopra i 50.000 euro. Regionalmente, il senso di appartenenza al ceto medio è più pronunciato nel Centro Italia (66,3%) e nel Nord-Ovest (62,3%), mentre è meno sentito nel Sud e nelle Isole (55,5%). Tra gli anziani, il 65,4% si considera parte del ceto medio, rispetto al 57,7% dei giovani e al 58,9% degli adulti.

Dal 2001 al 2021, il reddito pro-capite delle famiglie italiane è sceso del 7,7%, mentre la media europea è aumentata di quasi 10 punti percentuali, con le famiglie tedesche in crescita del 7,3% e quelle francesi del 9,9%.

Questo declino spiega perché il presente e il futuro siano segnati dalla paura del declassamento sociale: il 54,2% degli italiani percepisce una retrocessione, inclusi il 48,4% del ceto medio, il 66,7% del ceto popolare e il 42,2% dei benestanti. Anche il 45,7% dei dirigenti, il 54,5% degli imprenditori e commercianti, il 50% degli impiegati e insegnanti, e il 59,1% degli operai avvertono un peggioramento.

Il 59,7% degli italiani nota un calo del proprio tenore di vita, un sentimento condiviso dal 53,4% del ceto medio, dal 74,4% del ceto popolare e dal 40% dei benestanti. Il 76% degli italiani crede che sia sempre più difficile migliorare la propria posizione sociale, un’opinione condivisa dal 74,7% del ceto medio, dal 79,5% del ceto popolare e dal 68,3% del ceto benestante.

C’è un diffuso pessimismo riguardo al benessere: il 66,6% degli italiani ritiene che le generazioni passate vivessero meglio, opinione condivisa dal 65,7% del ceto medio, dal 70,1% del ceto popolare e dal 56,7% dei benestanti. Inoltre, il 76,1% degli italiani pensa che le future generazioni avranno una qualità della vita peggiore rispetto a quella attuale, una convinzione condivisa dal 75,1% del ceto medio, dal 77,1% del ceto popolare e dal 78% dei benestanti.

Infine, il 57,9% degli italiani ritiene che l’impegno e il talento non siano adeguatamente ricompensati, una sensazione avvertita dal 54,9% del ceto medio, dal 65,7% del ceto popolare e dal 42,5% dei benestanti. Anche il 61,8% dei giovani, il 58,1% degli adulti e il 54,7% degli anziani condividono questa opinione.

Tuttavia, l’81% degli italiani crede che chi lavora di più debba guadagnare di più, un’idea condivisa trasversalmente tra i diversi ceti sociali. Inoltre, il 73,7% pensa che sia giusto che una persona con talento e capacità possa arricchirsi, opinione condivisa dal 75% del ceto medio, dal 69,9% del ceto popolare e dall’84% dei benestanti.

Questo chiarisce perché il presente e il futuro siano dominati dalla paura di una retrocessione sociale, spingendo le persone a proteggere la loro attuale posizione piuttosto che aspirare a miglioramenti. La percezione di un declino costante del benessere è profondamente radicata nella società italiana e largamente condivisa dalla maggioranza di coloro che si identificano come parte del ceto medio.

Famiglia italiana anni ’20. Archivio privato della famiglia Riggio. Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported, 2.5 Generic, 2.0 Generic and 1.0 Generic license

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