I cittadini lombardi provano a riprendersi la sanità pubblica con un referendum
Procede con forza la campagna portata avanti dai cittadini lombardi «in difesa del diritto alla salute e alla sanità pubblica», per la quale è stata lanciata una petizione che ha già superato le 60mila sottoscrizioni. L’iniziativa, chiamata La Lombardia SiCura, è stata inaugurata due mesi fa e rimarrà aperta alle firme fino al 10 giugno. Il Comitato che ha ideato la petizione – appoggiato dalle mozioni di diversi Comuni -, è formato da decine di associazioni, organizzazioni, osservatori e sindacati e intende promuovere «la battaglia per il Referendum per la Sanità Pubblica», per la quale sono stati redatti cinque punti da presentare in Regione: migliorare le prenotazioni, snellire le liste di attesa attraverso interventi mirati, eliminare la pratica dei medici a gettone, migliorare l’insieme dei servizi di cura e assistenza per le persone anziane e diffondere e potenziare i servizi territoriali dotandoli di maggiori risorse.
All’interno della petizione, sottoscrivibile online o nelle sedi di riferimento, il Comitato chiede l’istituzione da parte della Regione Lombardia di un Centro unico di Prenotazione che “dovrà disporre delle agende di tutte le strutture, pubbliche e private contrattualizzate, e di ogni specialità”, nonché la sospensione dei contratti con le aziende private “che si rifiutano di consegnare le agende al CUP”. Si richiede, inoltre, l’abbattimento delle liste d’attesa attraverso controlli periodici da parte della Regione e dell’ATS nelle strutture pubbliche e provate accreditate, al fine di verificare “che non siano chiuse le agende, pratica vietata dell’attuale legislazione”, la “corretta gestione dei fondi nazionali e regionali destinati all’abbattimento delle liste d’attesa” e “l’assenza di qualunque pratica finalizzata a trasferire la richiesta del cittadino/a dal pubblico al privato”, ma anche la temporanea interruzione dell’intramoenia all’interno delle strutture sanitarie “che non rispettano i tempi di attesa relative alle classi di priorità indicate dai Medici di Medicina Generale” e il monitoraggio delle attività a pagamento delle strutture private. Altra richiesta fondamentale è quella di un rigoroso rispetto della normativa e delle delibere che “prevedono la soppressione della pratica del medico a gettone sotto qualunque forma si realizzi”, puntando al contrario alla “stabilizzazione a tempo indeterminato del personale sanitario precario” e a un efficace piano di assunzioni. Si sollecita, inoltre, un “miglioramento dell’insieme dei servizi per anziani”, chiedendo peraltro che “la copertura dei costi sanitari sia tutta a carico di Regione, sgravando le rette alle famiglie da qualunque costo sanitario (almeno 50% retta), così come prevedono le leggi sui Livelli di assistenza” e che venga istituito un sistema DI indicatori di qualità e una pubblicazione periodica dei risultati delle cure dopo un attento monitoraggio. Si chiede, infine, la diffusione e il potenziamento dei servizi territoriali, che dovranno essere dotati di “risorse, personale e professionalità necessarie alla qualità del loro lavoro”, con un’attenzione particolare a “consultori pubblici e servizi dedicati alla tutela della salute sessuale e riproduttiva delle donne, servizi di salute mentale, servizi di medicina del lavoro per la riduzione delle malattie professionali e degli infortuni sul lavoro, servizi di prevenzione, sicurezza alimentare e tutela dell’ambiente”.
A supportare la battaglia del Comitato sono stati, nello specifico, i Comuni di Canegrate, Pregnana Milanese, San Felice Benaco e Mantova. All’interno delle loro mozioni, oltre a riportare i cinque punti di richiesta formulati dal Comitato, hanno anche chiesto alla Giunta Regionale e ai Sindaci di “appoggiare ogni iniziativa di miglioramento del servizio sanitario regionale” così che possa essere garantito “il diritto alla salute tramite un accesso universalistico e non discriminatorio”, sulla base di risorse idonee e fondate sulla progressività in attuazione dell’art. 32 della Costituzione della Repubblica”.
Alcuni mesi fa, l’ultimo Rapporto della Fondazione GIMBE aveva evidenziato che il servizio pubblico e il diritto costituzionale alla tutela della Salute, di anno in anno, sono sempre più compromessi, mettendo nero su bianco che, tra il 2010 e il 2019, oltre 37 miliardi sono stati sottratti alla sanità pubblica italiana. La Fondazione ha rilevato inoltre che, nel giro di 10 anni, il Fabbisogno Sanitario Nazionale sia aumentato di 8,2 miliardi di euro, evidenziando le grandi problematicità riferite alla spesa sanitaria, ai Livelli Essenziali di Assistenza, alle disuguaglianze su base regionale e al personale. Da un sondaggio recentemente effettuato dall’Anaao – il principale sindacato dei medici ospedalieri –, è emerso inoltre che il 72% dei medici che lavorano nella Sanità pubblica vuole abbandonare il Servizio Sanitario Nazionale. Quasi tutti i medici di Asl e ospedali pubblici hanno infatti raccontato di essere sottoposti a carichi lavorativi estremamente pesanti – addirittura, uno su quattro si è detto sull’orlo dell’esaurimento – e di avere una vita insoddisfacente fuori dal lavoro, non potendo dedicare tempo a familiari e passatempi. In particolare, in molti sognano un’esperienza professionale all’estero o di spostarsi in centri privati, con turni e orari più leggeri e meglio pagati. Per questo motivo, infatti, sempre più spesso i laureati decidono di intraprendere un percorso di specialità che possa poi essere efficacemente spendibile nel privato.
Stefano Baudino
21/5/2024 https://www.lindipendente.online/
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