Carne da macello. La lotta dei licenziati in Esselunga a Pioltello

Il 22 aprile ventidue lavoratori assunti presso un appalto di Esselunga a Pioltello, in provincia di Milano, hanno indetto uno stato di agitazione a causa di un repentino cambio-appalto che non avrebbe coinvolto il sindacato appartenente ai macellai, il Si Cobas, nella trattativa per le condizioni del passaggio dei lavoratori da una società all’altra.

Fino al 30 aprile, Eos Spa deteneva il trenta per cento della gestione del lavoro nel reparto carni, rispondendo dei contratti di assunzione della maggior parte dei disossatori e dei mondatori di Esselunga. CM Services Srl, già in possesso del settanta per cento del lavoro, negli impianti “fresco” (frutta e verdura) e “drogheria” (dove vengono smistati i prodotti a lunga conservazione e i detersivi), è stata chiamata a sostituire la gestione del lavoro nel settore carni, proponendo dei contratti ex novo ai lavoratori qualificati con un’anzianità decennale, e provocando la perdita degli accordi sindacali conquistati nell’appalto precedente.

Con l’inizio degli scioperi anche una quarantina di lavoratori del reparto fresco, iscritti alla stessa sigla e assunti già dal 2014 con la CM Services, hanno solidarizzato con i macellai incorrendo in sospensioni cautelari dal posto di lavoro. I quaranta, impauriti dal processo di licenziamento che avrebbe potuto coinvolgerli, hanno scelto di rimuoversi dal Si Cobas passando in Cgil.

In meno di un mese l’intensificarsi della lotta dei ventidue, in presidio intermittente presso i quattro cancelli di Esselunga, ha provocato decine di interventi da parte delle forze dell’ordine fino alla mattina del 17 maggio, quando il reparto celere del milanese è intervenuto con cinque camionette per sgomberare il cordone umano di licenziati e operai (accorsi dalle sezioni sindacali più vicine), per ripristinare l’attività di carico e scarico merci senza troppo badare al vano tentativo della Digos di aprire un confronto tra le parti presso la prefettura competente.

ESSELUNGA RISCRIVE I CONTRATTI
La materia del conflitto tra Esselunga, CM Services e il Si Cobas riguarda il mancato rispetto di un protocollo stipulato nel 2023, in merito all’internalizzazione delle attività e alla regolamentazione degli appalti. Secondo quanto definito nel protocollo, “i processi di cambio appalto dovranno essere effettuati nel rispetto delle disposizioni di legge e in applicazione della c.d. clausola sociale, per la stabilità e la continuità occupazionale e reddituale, derivante dalla contrattazione collettiva applicata dal fornitore”. I contratti di lavoro previsti per i dipendenti in seno all’azienda madre, prevedrebbero l’applicazione rigorosa del contratto collettivo nazionale della “Distribuzione moderna organizzata”, o l’adeguamento di contratti di “pari livello e strettamente connessi all’attività svolta dalle società del Gruppo Esselunga”.

Tra le rivendicazioni del sindacato vi è in primis l’annullamento dei contratti ex novo, con i quali i lavoratori perderebbero il diritto all’anzianità maturata e sarebbero soggetti a un periodo di prova obbligatorio prima di vedersi accettati i contratti a tempo indeterminato (in aperta antitesi allo stesso protocollo aziendale).

Inoltre, nei contratti sottoposti ai dipendenti da CM Services, i sindacalisti fanno emergere il tentativo di costringere i disossatori (macellai specializzati quindi inquadrati al livello più alto del contratto nazionale Terziario) a firmare un accordo di pacifica accettazione di un premio sulla base della produzione. La denuncia è che senza una definizione degli obiettivi dell’azienda, e senza che ci sia un accordo sui criteri della produttività, si conducano i macellai ad accettare dei ritmi di lavoro sfrenati pena il rischio di incorrere in licenziamenti per scarso rendimento, o peggio, in incidenti sul lavoro.

Già nel 2020 c’era stato un precedente, quando il delegato del Si Cobas era stato lasciato a casa con accuse pretestuose dopo aver ricevuto una lettera di contestazione, arrivata solo dopo quindici giorni dal verificarsi di un episodio di aggressione; l’episodio, mai dimostrato dall’azienda, è costato un’accusa per falsa testimonianza ai tre operai costituiti in giudizio in favore di Esselunga. L’allora delegato aveva denunciato i pericoli sul posto di lavoro: lavorare a ritmi frenetici con dei bisturi incide sulla sicurezza psicofisica e sul rischio di incidenti gravi.

Nel 2021 altri dodici iscritti Si Cobas perdevano il posto, stavolta per scarso rendimento. Nello stesso anno un operaio rimaneva trafitto al braccio da una lama di coltello mentre disossava della carne. Secondo la ricostruzione dell’ex delegato, siccome si lavora a cronometro la vittima era rimasta indietro col tempo, e all’arrivo di un altro pezzo sul nastro trasportatore non poteva lasciarlo andare, quindi per sganciarlo in fretta si sarebbe rovinato il braccio.

IL COTTIMO NASCOSTO
Una delle denunce che portano avanti gli operai che lavorano le carni riguarda il meccanismo del “cottimo nascosto”. Uno di loro, G., spiega che non importa se ci sono dei periodi di produzione elevata e altri di minor lavoro, “la coscia di manzo va disossata in quattro minuti”. La media di lavoro cambia con le stagioni, da settembre ad aprile i turni di lavoro variano dalle otto alle dodici ore, in relazione alle richieste dei supermercati e rispetto agli ordini che arrivano intorno alle sette di sera, quando i negozi sono in via di chiusura e inviano la giacenza al fornitore utile all’apertura del giorno dopo. Si lavora con temperature che vanno dai sette gradi al freddo e il motto che si legge sui container di Esselunga non a caso recita “un trionfo di freschezza”, poiché le priorità sono le casse che per arrivare sui banconi devono essere smistate in fretta nelle celle frigorifere. G. spiega che nel suo reparto ci sono almeno otto disossatori, ognuno dei quali lavora cinquanta quintali di carne al giorno.

Da aprile a settembre, disossatori e mondatori vedono ridursi l’orario fino a cinque ore giornaliere, cioè fanno meno ore del turno di lavoro previsto dai contratti full-time. Il pagamento dell’intera giornata apparentemente non cambia, sebbene ci siano meno ore straordinarie e i salari soffrano una riduzione. In realtà, i pagamenti per coprire il mensile pieno avvengono scalando le ore dalle ferie che spetterebbero ad agosto per andare qualche giorno in più in vacanza. Anche se durante l’estate i volumi sono inferiori, e quindi i macellai potrebbero lavorare più lentamente, in Esselunga restano salde le regole di massimizzazione del profitto, i tempi del taglio della carne restano gli stessi e i lavoratori “arrivano a una certa età che si devono operare, perché schiena, spalle e gomiti vengono ridotti all’osso”, racconta G.

LA DENUNCIA DI ESSELUNGA
Nelle ultime settimane, i volantini che accusano di sfruttamento e schiavitù sono stati distribuiti alle casse di decine di supermercati nelle province milanesi, bresciane e piacentine nel tentativo di sensibilizzare la clientela di Esselunga. In numerose di queste dimostrazioni, gli addetti alla sicurezza dei negozi hanno fatto accorrere i carabinieri per identificare i manifestanti e marginalizzare la protesta al solo polo logistico, già significativamente colpito dal traffico dei mezzi pesanti.

Il 16 maggio sono arrivate le prime denunce da parte dell’azienda per danni patrimoniali e danni all’immagine del marchio contro la società uscente, Eos Spa, e quindici persone tra i licenziati e gli esponenti sindacali, invitati a comparire all’udienza del 18 dicembre 2024: Esselunga chiede un risarcimento di un milione e trecentomila euro per gli eventi collegati allo sciopero.

La denuncia del Gruppo Esselunga, oltre a essere ritenuta sproporzionata alla luce del rifiuto da parte della stessa a incontrarsi con il sindacato e i lavoratori nell’ottica di un processo di conciliazione e di raffreddamento degli scioperi, si inquadra in una prospettiva che, tra le righe delle accuse, potrebbe tacciare di velata connivenza l’azienda e il sindacato, e di strumentalizzazione dei lavoratori da parte della società che ha perso l’appalto. Tra le premesse esposte, Esselunga sostiene che a partire dalla data di cessazione del contratto di appalto, “Eos orchestrava i propri lavoratori”, “attraverso una condotta strumentale”, al fine di ottenere la revoca della comunicazione di interruzione del rapporto.

La chiave di lettura di Esselunga potrebbe indurre i magistrati a indagare sull’ipotesi del reato di estorsione, ma si spiega più semplicemente nei rapporti di forza sindacali su scala nazionale, che hanno saputo far leva sul timore della Eos di imbattersi in un allargamento dello sciopero in altri siti operosi.

Una delle accuse che, invece, potrebbe colpire il marchio con un effetto boomerang, è che la CM Services sia una società aperta con i capitali del Gruppo Esselunga per gestire il monopolio degli appalti senza di fatto internalizzare i dipendenti in via diretta. CM Services, società a responsabilità limitata nata il 15 maggio 2014 con un capitale sociale irrisorio, otteneva in soli dieci giorni il settanta per cento delle quote degli appalti e il 26 maggio 2014 diventava la principale società appaltatrice. Accedendo alle visure camerali di CM Services, si può notare come nel 2021 il suo fatturato superasse i quattro milioni e mezzo, con un totale di novantadue persone alle proprie dipendenze.

Voci tra i lavoratori licenziati, confermate anche da operai attualmente in forza, spiegano che l’Esselunga avrebbe investito direttamente nell’apertura della società affidandola a due prestanome. Non si spiegherebbe altrimenti perché una società che rifornisce supermercati e ipermercati dalla Lombardia al Lazio, e che a Pioltello ha uno dei magazzini di produzione e smistamento tra i più importanti (visto che in Lombardia si trovano oltre cento punti vendita su quasi duecento punti in tutta Italia), abbia garantito la maggior parte degli appalti a una neonata società nel settore.

A quasi un mese dall’inizio degli scioperi, i rappresentanti sindacali e i lavoratori licenziati chiedono a gran voce alla prefettura di Milano di costringere Esselunga e CM Services a sedersi a un tavolo di trattativa. Se la prima, all’incontro concordato ha mancato di presentarsi all’appello, la seconda si è rifiutata categoricamente di riconoscere il comitato di base. Un passo verso l’internalizzazione della forza lavoro sarebbe potuto bastare a salvare i salari su cui poggiavano le ventidue famiglie tra il milanese e il bergamasco, ma le regole dell’extra profitto hanno favorito i giri di capitali tra scatole cinesi nel tentativo di ridurre gli operai, anche stavolta, a carne da macello. (alessandra mincone)

20/5/2024 https://www.monitor-italia.it/

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