Il caso di Seif Bensouibat. Colpevole di nulla, tra diritto e politica
Seif Bensouibat è stato perquisito, licenziato, portato nel Cpr di Ponte Galeria e vede aperto un procedimento legale nei suoi confronti: il tutto per una chat. Il racconto di Arturo Salerni, legale di Seif e avvocato in tema di diritti umani e d’asilo, e Federica Borlizzi, avvocata e ricercatrice
Seif Bensouibat è stato perquisito, licenziato, portato nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Ponte Galeria e vede aperto un procedimento legale nei suoi confronti: il tutto per una chat. Seif ha lavorato per oltre nove anni come educatore nell’esclusivo Liceo Chateaubriand di Roma; algerino, è rifugiato politico in Italia dal 2013.
In seguito al disastro tra Israele e Palestina, Seif ha commentato in una chat privata di Whatsapp le notizie e i fatti intorno alla guerra in corso, con toni forti e decisi filo-Hamas, e da qui è subito partita una segnalazione all’amministrazione del Liceo e poi alle autorità. La sua abitazione è stata perquisita a gennaio e pochi giorni fa, dopo avergli revocato il permesso di soggiorno di rifugiato politico, la Digos lo ha prelevato a casa e portato in uno dei peggiori Cpr di Italia. Seif è stato liberato dopo quattro giorni perché il giudice di pace non ha convalidato il trattenimento e il Tribunale deve ancora esprimersi sulla revoca del suo status.
La storia è ancora aperta e intanto tantissima solidarietà e gesti politici sono arrivati nei suoi confronti, dall’intervento di Amnesty International all’interrogazione urgente depositata da De Cristoforo di AVS e gruppo misto al Ministero Interno e a quello della Giustizia.
Questa vicenda parla sicuramente a molte altre corde, non solo a quelle più esplicite. L’esperienza di Seif Bensouibat ci racconta la realtà di uno status politico e poi di un certo clima governativo aprendo un ragionamento più vasto rispetto le sue sponde giuridiche e dunque anche sullo stato dei Cpr oggi in Italia.
Per sviluppare questo ragionamento e comprendere meglio i fatti – sul piano legale e sociale – sono state preziose le parole e riflessioni di Arturo Salerni, legale di Seif e avvocato in tema di diritti umani e d’asilo, e quelle di Federica Borlizzi, avvocata, attivista e ricercatrice.
Arturo Salerni ha raccontato che: «c’è stata prima una sospensione dal lavoro e poi il licenziamento da parte dell’istituto in cui Seif lavora da anni, assolutamente inserito e benvoluto da colleghi e studenti; lui ora ha impugnato il licenziamento, in seguito e contemporaneamente a questo si è avviata un’indagine di natura penale, anche se non saprei dire quale possa essere il capo di imputazione che viene contestato. Sono state fatte perquisizioni, sequestri del cellulare, tutte cose relative all’avvio di un procedimento penale, e contestualmente è stato convocato dalla commissione per il diritto d’asilo, per la revoca del suo stato di protezione internazionale. Quando è arrivata la revoca si è optato dalla questura per un trattenimento nel Cpr finalizzato all’espulsione non essendo lui dotato di un regolare soggiorno. Sulla revoca stiamo predisponendo il ricorso al giudice competente, ovvero il Tribunale civile di Roma, che si occuperà della vicenda: se la revoca della protezione internazionale è legittima o meno in relazione ai fatti che gli sarebbero addebitati, con tutto quello che ne conseguirebbe, quindi il difetto di protezione che a quel punto si determinerebbe verso una persona che è ampiamente integrata nel nostro paese e che era stata ritenuta meritevole di protezione. Invece il giudice di pace ha ritenuto di non dover convalidare il trattenimento nel Cpr, quindi la detenzione amministrativa, perché non ne esisterebbe il presupposto, proprio in base al suo livello di integrazione nel paese di arrivo e di approdo, l’Italia».
E poi «secondo noi ci sono tutti gli elementi per accogliere la richiesta di annullamento del provvedimento di revoca emesso dalla commissione, pensiamo che esistano tutti i presupposti. Questo lo pensano gli avvocati, poi sono i giudici che decidono sulla base della giurisprudenza esistente e criteri di ragionevolezza e di lettura corretta delle norme, di natura sovranazionale e costituzionale».
Seif attualmente non ha un decreto di espulsione, ma è in una situazione in cui deve attendere l’esito del giudizio sulla protezione internazionale. Sulla revoca quindi siamo in una situazione di attesa attiva, nel senso che il tribunale dovrà decidere.
L’avvocato ha poi sostenuto che la vita di Seif è veramente sconvolta al momento. Ha perso il lavoro, si trova in una situazione di gravissima difficoltà; una persona che ha protezione internazionale vuol dire che è un soggetto che ha bisogno di protezione e, una volta che vede incrinato questo scudo, si può trovare in una situazione di timore. Sul piano costituzionale il dovere dell’accoglienza per chi ha diritto all’asilo è proprio quello della protezione perché quel soggetto è di per sé – in presupposto – vulnerabile. In questa situazione così difficile, anche a livello personale in seguito alla perdita del lavoro, bisogna garantire una protezione e proteggerlo anche da incursioni mediatiche alle quali, suo malgrado, Seif è stato esposto.
Chiedendo che tipo di precedente, giuridico e non solo, rappresenta questa vicenda, Salerni ha risposto che «ogni caso è a sé, la ricaduta potrebbe essere l’affermazione di principi fondamentali del nostro ordinamento civile e costituzionale che pongono un dovere della Repubblica di tutelare coloro che si rifugiano nel nostro paese perché non godono nei paesi di provenienza dei diritti fondamentali; è una piccola vicenda che riguarda una sola persona ma come tutte queste vicende, anche quelle meno conosciute, poi si ricade sul grado di civiltà giuridica e di rispetto dei principi costituzionali di un paese. Però ogni battaglia è singola e le vicende processuali sono differenziate una per una, quindi non vanno fatte generalizzazioni. Sicuramente la soluzione di questo caso sarà sintomatica del livello di attuazione del diritto internazionale, per quanto riguarda la tutela delle persone, per questo si parla di ‘’protezione internazionale’’».
Inoltre, riguardo quanto sia o meno labile attualmente lo status di rifugiato e quanto ci sia di politico, sulle carte, nell’esperienza di Seif, l’avvocato Arturo Salerni ha ribadito che ogni caso deve essere concepito singolarmente: «la vicenda personale si è innescata intorno a un tema su cui alcune sensibilità sono particolarmente sviluppate, c’è una tempesta mediatica difensiva che poi diventa aggressiva verso soggetti che non sono allineati a un certo modo di pensare e lui c’è andato di mezzo. Secondo noi è davvero fragile l’ipotesi che ha portato alla revoca, fragile da un punto di vista giuridico, probabilmente vagliata frettolosamente ed emotivamente. Penso che il clima generale abbia influito naturalmente, perché in altri momenti non sarebbe successo. Questo caso va valutato con lenti di carattere giuridico e non vogliamo politicizzare più di tanto. Tuttavia queste cose hanno sempre una lettura anche di carattere politico in senso lato, l’interpretazione e l’applicazione dei principi costituzionali però sono verificate in finale dai giudici».
A questo punto sarebbe utile e necessario comprendere più a fondo come avvengono questi processi, nei loro riflessi sociali, e avviare una riflessione di più ampio respiro sui Centri di permanenza per il rimpatrio e la rispettiva condizione.
Come sostiene Federica Borlizzi, intervistata per questo approfondimento, ciò che abbiamo visto in questo caso è un processo di criminalizzazione per delle opinioni, così proseguendo: «si sta, di fatto, dando un avvertimento alle persone straniere e di seconda generazione presenti in questo Paese. Per i rifugiati e le rifugiate; per chi aspetta la cittadinanza, anche le chat più intime possono essere utilizzate per ledere i loro diritti, dall’asilo alla cittadinanza. Non a caso, sappiamo come già vi siano dinieghi della cittadinanza che trovano la loro ragione in mere segnalazioni di polizia. Se a essere “attenzionate” sono addirittura delle chat private abbiamo un grande problema rispetto al nostro stato di diritto, inquietante rispetto all’invasività del controllo. Peraltro si tratta di chat whatsapp che, la stessa Cassazione dice debbano essere considerate alla stregua “della corrispondenza privata, chiusa e inviolabile” (Sentenza n.21965/2018). Ma, a quanto pare, se sei un rifugiato politico algerino i principi dello Stato di Diritto non ti vengono applicati e, invece, sarai destinatario di vere e proprie “presunzioni di pericolosità”».
D’altronde, Seif Bensouibat lo ha già detto pubblicamente: «Se non fossi stato rifugiato, extracomunitario e mussulmano tutto questo non sarebbe accaduto». Le parole di Borlizzi sul caso e sull’iter legale di Seif proseguono: «Appare del tutto evidente l’abnormità e la sproporzione dei provvedimenti che hanno colpito Bensouibat, reo di aver espresso una mera opinione nell’intimità di una chat privata. Quelle parole divengono pubbliche e, anche se Seif è incensurato, vieni tacciato di poter essere a rischio “radicalizzazione”. A nulla rileva l’aver precisato che erano opinioni espresse in un contesto riservato, sulla base dell’ondata emotiva di un genocidio in corso.
Come detto dallo stesso Seif, le sue condizioni personali valgono una presunzione assoluta di “pericolosità” e la ricerca di una esemplarità delle sanzioni che funga da avvertimento per altr3. D’altronde Seif Bensouibat, nel giro di pochi mesi, perde tutto. A inizio anno, la sua casa viene perquisita alla ricerca di armi ed esplosivi; nel giro di poche settimane viene licenziato dal liceo in cui insegnava da dieci anni; gli viene revocato lo status di rifugiato ed è destinatario di un provvedimento di espulsione. Il 16 maggio viene prelevato dalla sua abitazione e portato presso il Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Ponte Galeria. Il 20 maggio, il giudice di pace non convalida il trattenimento presso il CPR non ritenendo credibile il “rischio di fuga” che la Questura aveva posto alla base della sua reclusione.
Una vicenda che ben palesa ciò che, a inizio maggio, è stato confermato anche dall’ONU che ha censurato l’Italia per il razzismo sistemico presente in particolar modo nella giustizia e nell’operato delle forze dell’ordine. Il caso di Seif ne è la prova lampante, contro di lui si è sviluppata una reazione che è stata di pura violenza istituzionale».
Questo è il quadro pericoloso e senza dubbio molto triste che emerge dall’analisi degli status anagrafici e politici in condizioni di fragilità e di difetto sistemico, che tante persone sono tenute a affrontare e subire sulla propria pelle, a causa della mancanza o dell’esercizio monco di diritti e garanzie fondamentali.
Per alcune persone, anche solo una segnalazione di polizia per aver partecipato a una manifestazione non autorizzata – o in tanti altri casi simili – può rappresentare un problema e portare al conseguente rifiuto della richiesta di cittadinanza.
Tutto ciò ricade su una fetta di popolazione molto grande, dai richiedenti asilo, ai rifugiati e alle rifugiate, alle seconde generazioni che attendono la cittadinanza. Si fa così passare, come un ricatto, l’idea per cui di fatto queste persone non hanno la stessa possibilità di esprimere opinioni o proteste come i cittadini italiani. Sarebbe importante partire non solo dal caso di Seif per fare una battaglia legale bensì comprendere che tutto questo ci parla di molto altro, che dovrebbe essere affrontato anche dal piano della battaglia politica.
La questione più interessante che emerge dal racconto più personale e dal caso di Seif Bensouibat che si può e si deve continuare a indagare e analizzare, per la sua natura prettamente politica e legata alle dinamiche istituzionali, riguarda sicuramente il sistema che ruota intorno ai Cpr.
«I Cpr sono, anzitutto, luoghi che non dovrebbero esistere in uno Stato di Diritto e rispetto ai quali l’unica battaglia possibile è quella per la loro immediata chiusura. Si tratta, infatti, di Centri in cui uomini e donne vengono privati della loro libertà personale non per aver commesso un reato ma semplicemente per aver violato una norma amministrativa riguardante l’ingresso e il soggiorno nel territorio del nostro Stato. Attualmente, nel territorio italiano, sono attivi otto Cpr, dopo la chiusura dei Centri di Torino e Trapani, in seguito alle proteste dei detenuti per le condizione indegne di detenzione. Infatti, come denunciato dagli stessi trattenuti, da numerosi Rapporti della società civile e dell’ex-Garante Maura Palma, le condizioni di detenzione all’interno dei CPR sono del tutto inumane e, in molti casi, non sembrano rispettare neanche gli standard richiesti dal Comitato europeo di Prevenzione della Tortura: basti pensare a quanto avveniva nel CPR di Torino con celle di 20/24 mq dove erano detenute fino a 8 persone, con “bagno a vista”, senza porta di separazione.
I Cpr, insomma, sono luoghi dove si realizza uno strutturale stato di eccezione: per i e le migranti detenuti in tali luoghi sembrano non valere né le leggi del nostro Stato né i principi della nostra Costituzione. Emblematico rispetto a ciò è la privatizzazione di tali luoghi che riguarda ogni ambito, financo quello riguardante la tutela del diritto alla salute delle persone recluse. Si è, infatti, giunti ad affidare la gestione di questi Centri a cooperative e multinazionali, consentendo che da questa privazione della libertà personale qualcuno possa addirittura trarne profitto.
D’altronde, nel solo periodo 2021-2023, le Prefetture competenti hanno bandito gare d’appalto per un costo complessivo di circa 56 milioni di euro finalizzate alla gestione, da parte dei privati, dei CPR presenti sul territorio. Tra questi enti gestori non si può non menzionare, la multinazionale elvetica ORS, colosso dell’accoglienza e della detenzione dei migranti in Svizzera, Austria, Spagna, Germaniae che attualmente è ente gestore del CPR di Ponte Galeria, dopo aver gestito i Centri di Torino e Macomer. ORS, peraltro, è l’unico ente gestore di un CPR ad avere un “lobbista” in Parlamento, ossia ad avvalersi dell’ausilio di una delle società di lobby più importanti in Italia: “Telos-Analisi e Strategie”. Lobbista di altre importanti multinazionali tra cui la Toyota. Con la differenza che, se per quest’ultima l’attività di lobbying consiste nel cercare di massimizzare i profitti dell’industria automobilistica, per ORS si dovrebbe sostanziare nel richiedere più Centri per il rimpatrio, più persone da recludere.
Proprio l’avvento nel campo della detenzione amministrativa di grandi colossi sembra confermare come il trattenimento dei migranti sia divenuto – ormai da tempo- una “filiera molto remunerativa”.
Una filiera in cui sembrano, peraltro, realizzarsi due preoccupanti tendenze: da un lato, la ricerca della massimizzazione dei profitti da parte delle imprese che gestiscono i Centri; dall’altro una continua spinta alla minimizzazione dei costi da parte dello Stato, con una deresponsabilizzazione di quest’ultimo rispetto alla gestione delle strutture. Le Prefetture e le ASL non sembrano, infatti, porre in essere neanche quei controlli imposti dalla scarna normativa in materia di CPR. Nel mezzo vi è la “nuda vita” di uomini e donne, che rischiano di essere privati non solo della libertà ma anche della loro dignità.
Non a caso, suicidi, atti di autolesionismo, detenzione illegittima di persone con problemi psichiatrici o sottoposte a terapia scalare con metadone, abusi nella somministrazione degli psicofarmaci, trattenimento in locali fatiscenti. Questa è la realtà che si vive quotidianamente nel CPR di Ponte Galeria (l’unico ad avere un reparto femminile) e che contraddistingue tutti gli altri Centri di detenzione amministrativa presenti in Italia».
Queste le parole di Borlizzi sullo stato dell’arte in Italia dei Centri nel 2024.
Tra le novità e le cose da non dimenticare mentre si continua a seguire la vicenda di Seif e lo stato di avanzamento dei diritti politici, è necessario soffermarsi sul fatto che al momento c’è una situazione di stasi dovuta anche alle elezioni europee. Nonostante questo però proprio a settembre la costruzione di nuovi Cpr è stata affidata al genio militare cioè al Ministero della Difesa, in deroga a tutti i contratti di appalto.
Questo significa che, finite le europee, probabilmente ci sarà la corsa alla costruzione di nuovi Cpr che potranno essere di fatto costruiti dal Ministero della Difesa in tempi brevissimi. Inoltre queste strutture sono diventate a tutti gli effetti strategiche per la sicurezza e per la difesa nazionale grazie e a causa delle modifiche realizzare del governo Meloni, a settembre del 2023.
Miriam Aly
24/5/2024 https://www.dinamopress.it
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