REGIONE PIEMONTE, POLITICHE PER LA TUTELA DEL DIRITTO ALLA SALUTE E ALLE CURE DI LUNGA DURATA DEI MALATI NON AUTOSUFFICIENTI.
UNA REPLICA ALLE RISPOSTE DEI CANDIDATI PRESIDENTE.
28 maggio 2024 – Andrea Ciattaglia
Il Comitato per la difesa del diritto alla tutela della salute ha organizzato il 27 maggio 2024 un’iniziativa di confronto preelettorale con quattro candidati alla presidenza della Regione Piemonte. Ricorreva, nell’occasione, un anno dalla marcia da piazza Carducci al nuovo Palazzo della Regione, che aveva visto 12mila piemontesi – professionisti della sanità, sindacati, organizzazioni di rappresentanza dei malati, singoli cittadini – scendere in strada a difesa del servizio sanitario universalistico e pubblico.
Per chi fosse interessato, qui di seguito un’analisi/valutazione sulla risposta dei candidati – e in particolare del Presidente uscente – al quesito specifico sulla non autosufficienza1. Per completezza di contro-argomentazioni non stato possibile essere breve, tuttavia si è proceduto per punti e al termine di ogni punto si è data una sintesi in forma di replica in quattro righe, ad uso di chi si trovasse a dover controbattere a quanto di errato è stato esposto.
Le candidate Francesca Frediani (Piemonte Popolare), Sarah Disabato (M5S) e Gianna Pentenero (coalizione a guida Partito democratico) hanno sostenuto posizioni di principio che, anche se in qualche caso lodevoli, sono risultate non propriamente calate nella concretezza della situazione piemontese. Sì, alcuni riferimenti agli assegni di cura, ai posti senza convenzione nelle Rsa sono stati fatti, ma l’impressione è che servirebbe (sarebbe servito?) di più per proporre – pur davanti a una platea tendenzialmente “favorevole” – una posizione forte, di contrasto all’attuale amministrazione regionale e di programma concerto a tutela del diritto dei malati a ricevere le cure.
Pare necessario soffermarsi più diffusamente su quanto ha detto il Presidente uscente, Alberto Cirio, che è arrivato all’incontro preparando su tutti i temi una serie di dati e di argomenti con il proposito di dare all’intervento il respiro lungo, calato nel concreto, dei cinque anni di amministrazione. Quando detto richiede tuttavia precisazioni di non poco conto e inquadramento complessivo dei dati forniti.
1. Posti convenzionati Rsa. Cirio sostiene che «nel 2019 gli utenti inseriti in convenzione in Rsa erano 15.000, nel 2024 sarebbero 18.600 (+3.600)». In base ai dati forniti dalle Asl, questi numeri non tornano. Nel senso che dai dati delle Asl occorre prendere “seriamente” solo quelli relativi alle convenzioni definitive, cioè all’inserimento senza limite di tempo dei malati non autosufficienti. Cosa rimane fuori? I ricoveri di sollievo e tutti i ricoveri “post-acuzie”, che con il Covid e poi con la seconda metà del mandato sono incrementati di molto, perché si sono
utilizzate le Rsa come posti letto di dimissione veloce dal Pronto Soccorso o dai reparti ospedalieri (si sorvola qui sull’appropriatezza di questi ricoveri), ma per un periodo di tempo definito (1 mese al 100% pagato dall’Asl, il secondo – laddove attivato – pagato al 50%. Dal terzo, ricovero privato, se la permanenza in Rsa continua, per tutti i casi non definiti «urgenti» dalle Unità di valutazione geriatriche, cioè la stragrande maggioranza).
Se si considera una «convenzione», da conteggiare nelle 18.600 citate dal Cirio, quella attivata per un paziente dimesso dall’ospedale e ricoverato in “continuità delle cure” in Rsa a febbraio (con retta pienamente pagata dall’Asl per i primi trenta giorni, al 50% per i successivi trenta del mese di marzo e poi cliente privato da aprile in avanti), si stanno evidentemente manipolando i dati per fornire la falsa immagine dell’incremento delle convenzioni “vere”.
Replica punto 1. I numeri forniti da Cirio non sono attendibili, perché non è specificata la “natura” delle convenzioni. La Regione Piemonte ha negato il diritto esigibile (legge 833/1978, articolo 30 dei Lea) alla quota sanitaria a oltre 15mila malati non autosufficienti. Cioè, non ha garantito alcun tipo di cura a piemontesi gravemente malati (Alzheimer, demenza, esiti da ictus…).
2. Dati generali. È lo stesso Cirio a smentirsi poco dopo, quando afferma: «Nel 2019 venivano spesi 275 milioni di euro all’anno per le convenzioni, oggi ne spendiamo 305». Considerando, per comodità di calcolo, cifre “a spanne” ma vicine ai dati reali di dettaglio (1500 euro al mese la quota sanitaria, il 50% della retta totale come da Lea), risulterebbe che: 275 milioni / 12 mesi dell’anno / 1500 euro al mese = 15.277 convenzioni; ma, invece, 305 milioni / 12 mesi dell’anno / 1500 euro al mese = 16.944 convenzioni! Non 18.600!
In queste acque intorbidate, quale la verità? L’incremento segnalato da Cirio è quasi solo sulla carta; considerando tutti i cinque anni di mandato, le prese in carico sono precipitate durante il Covid e hanno, se va bene, ripreso i ritmi pre-pandemia. Variazioni sensibili, in un settore nel quale alla metà degli utenti è negato un diritto, sarebbero quelle di decine di migliaia di malati passati da ricovero privato a ricovero convenzionato. L’oscillazione di qualche migliaio scarso di utenti in cinque anni (peraltro, mettendo dentro tutti i tipi di “convenzione”) rischia di banalizzare la gravità del problema e dell’ingiustizia.
Inoltre, va considerato che sulla pelle (meglio, con le tasche) dei piemontesi è stato siglato lo scellerato patto Regione-Gestori privati delle Rsa, che hanno accettato e fomentato la delibera sulla cosiddetta continuità delle cure (la 10/2022, che in realtà interrompe la copertura dell’Asl dopo due mesi), senza preoccuparsi del diritto alla continuità della presa in carico sul lungo periodo, cioè della conferma della convenzione dopo i primi sessanta giorni di ricovero post ospedaliero.
Nel momento di maggior svuotamento delle Rsa per i decessi Covid, quando alcune strutture sono arrivate ad avere il 40% dei posti vuoti e a vedersi negato il permesso a nuovi inserimenti, l’accordo, nemmeno velato, è stato: «Voi strutture ci aiutate a svuotare i Pronti soccorso, noi Asl vi riempiamo di nuovo i posti con malati che dal secondo mese dovete essere bravi a tenervi come clienti privati». Un meccanismo perverso che ha interessato e continua a interessare migliaia di malati non autosufficienti all’anno.
Non va poi dimenticato che proprio la delibera 10/2022 stabilisce (è la conferma di quanto scritto nella precedente delibera 1/2022, sullo stesso tema) «che la copertura economica del presente provvedimento rientra nella quota indistinta di finanziamento alle ASL e che la spesa, essendo necessario perseguire l’equilibrio di bilancio, dovrà essere mantenuta entro il limite di quella sostenuta per inserimenti in RSA nell’anno 2019». Cioè, che gli inserimenti di malati in “convenzione” per i due mesi post ospedalieri, non deve sforare il limite di spesa complessivo per le convenzioni Rsa erogate nel 2019, proprio il dato citato da Cirio come “parametro negativo”, rispetto al quale l’amministrazione uscente avrebbe aumentato le “convenzioni”.
Il risultato è paradossale: se fosse vero l’incremento delle risorse destinate a “convenzioni” per posti in Rsa, le Asl avrebbero violato una delibera della Giunta sforando tetti di spesa (violazione in eccesso); allo stesso tempo violano il Livello essenziale nazionale per i malati lasciati senza convenzione (violazione in difetto). Un pasticciaccio che solo il deliberare ingiustamente su una ingiustizia già conclamata poteva creare. E, infatti, ha creato.
Replica punto 2. Anche i dati complessivi delle risorse impegnate dalla Regione per le convenzioni in Rsa non tornano, sia come numero corrispondente di convenzioni, sia come cifra totale. Va poi considerato il negativo, autoimposto “vincolo di bilancio” per mantenere la spesa per le convenzioni in Rsa al livello delle risorse spese nel 2019. Com’è possibile l’incremento a risorse invariate?
3. Scelta sociale. Sulla misura Scelta sociale, il “mischione” sui numeri giunge all’ulteriore passo di mettere insieme contributo residenziale e contributo domiciliare. Cirio ha affermato: «7200 famiglie percepiscono 600 euro al mese».
I dati ufficiali della Regione Piemonte aggiornati al 24 maggio 2024 dicono, invece, che nelle cinque tranche di bando hanno presentato richiesta per “Scelta sociale residenziale” 5.211 persone, ammesse al finanziamento 3.256, effettivamente erogati 2.867. “Scelta sociale domiciliare” è stata richiesta da 6.136 casi, ammessi 3.105, finanziati 2.392. Quindi, a bandi conclusi, in tema di residenzialità la Regione certifica 2.867 erogazioni.
Anche sulle risorse, i dati di Cirio sono mal contestualizzati. Ha detto: «Se noi aggiungiamo i 90 milioni di “Scelta sociale” ai 305 delle convenzioni otteniamo 395 milioni di euro destinati al settore». Premesso per i 305 milioni quanto scritto sopra e per “Scelta sociale” il fatto che si tratta di un tampone di minima entità, esplicitamente destinato alle vittime di violazione del diritto alla cura (mancata convenzione) da parte della stessa Regione, le cifre andrebbero ridimensionate così: 90 milioni sono l’intero importo del Fondo sociale dedicato a “Scelta sociale”. Periodo di spesa biennale, quindi sono 45 milioni all’anno, a loro volta ancora divisi più o meno equamente tra domiciliari e residenziali.
Il conto è presto fatto, numeri della Regione alla mano: 2.867 utenti effettivamente destinatari dell’erogazione * 600 euro al mese * 12 mesi: 20,6 milioni. Non 90.
Replica punto 3. Scelta sociale è un provvedimento di politica sociale per pochi, selezionati utenti ai quali la Regione (le Asl) hanno negato il diritto esigibile alla quota sanitaria in Rsa o alle cure socio-sanitarie domiciliari. I dati citati da Cirio sono sovradimensionati rispetto alle stesse cifre ufficiali della Regione.
La conclusione dei punti 1, 2 e 3 è per Cirio che «dei 42mila posti letto in Rsa in Regione, di cui 35mila accreditati, 25mila persone prendono un sostegno».
Sulla larga imprecisione dei dati forniti si è già detto nei punti precedenti. Si aggiungano due osservazioni. La prima, di allarme per l’imminente legislatura. I “conti” di Cirio prospettano un fondo socio-sanitario non dichiarato, ma operante nei fatti. Una prospettiva che ha simpatizzanti anche fra le forze dell’attuale minoranza regionale. Non importa da dove arrivano i fondi (chi si ricorda le parole degli assessori Saitta e Ferrari per calmare le proteste sulla domiciliarità per i non autosufficienti, scaricata su famiglie e Comuni?), non importa se il finanziamento corrisponde a diritti esigibili (quote Lea) o si concretizza in erogazioni discrezionali della Regione, con soglie Isee famigliari, incardinate nel debole settore delle politiche sociali, alimentate da fondi europei temporalmente limitati e incerti… l’importante è dire «qualcosa c’è».
La seconda, di panorama culturale. L’impostazione generale rivela una “cultura” secondo la quale le drammatiche vicende dei malati non autosufficienti senza presa in carico del Servizio sanitario nazionale pubblico non rappresentano questioni scottanti di diritto (negato) ad una prestazione. L’intervento pubblico non è doveroso riconoscimento concreto di un diritto, ma «sostegno» a chi non ce la fa a pagarsi le cure da solo, in ogni caso da erogarsi secondo il principio dell’«equilibrio dei conti» (già negato in tema Lea da Corte costituzionale e Consiglio di Stato).
La normalità appare il mercato (anche e soprattutto in materia sanitaria), mentre l’intervento dello Stato deve essere limitato a sostegni per i bisognosi (cioè, i poveri). Una logica, coincidente con gli interessi delle assicurazioni private, che lascia al Servizio sanitario i casi non redditizi o l’acuzie (Cirio più volte ha rivendicato la difesa del Servizio sanitario pubblico perché «l’ho vissuto nel midollo» ai tempi del contagio Covid), mentre scarica sulle famiglie l’onere delle cure di lungo periodo: un arretramento del compito di cura senza limiti di durata del Servizio sanitario pubblico che crea clienti per il mercato dei «fornitori di prestazione». La chiamano sussidiarietà, ma è privatizzazione.
4. Cure domiciliari. Cirio ha comunicato che il Piemonte ha raggiunto il traguardo di 119mila ultrasessantacinquenni presi in carico in «cure domiciliari». Erano 58.200 nel 2019. Si riferisce ai dati dell’Adi (Assistenza domiciliare integrata), esclusivamente svolta da personale professionale e mai riguardante le prestazioni di aiuto infermieristico e assistenza tutelare, cioè quelle di lunga durata che servono ai malati cronici non autosufficienti.
Per dare conto della distanza siderale tra un’Adi e un vero assegno di cura (modello Piemonte, affossato dalle ultime due giunte regionali) basti dire che la prima è quantificata in 18 ore all’anno, il secondo nel pagare una importante percentuale delle spese affrontate per la cura quotidiana di un malato non autosufficiente a domicilio, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno.
In materia di cure domiciliari per i malati non autosufficienti (che sono altra cosa rispetto all’Adi e non sono nel Pnrr) riportiamo per intero le conclusioni dell’articolo “Le cure domiciliari alla popolazione della città di Torino. L’analisi della prassi per una nuova progettualità”, pubblicato sul portale di settore welforum.it il 10 dicembre 2021 efirmato da Cirio… Franco (Responsabile infermieristico Dipartimento continuità dell’assistenza
ospedale-territorio dell’ASL Città di Torino e Docente a contratto di Infermieristica della cronicità e disabilità c/o Corso di laurea in Scienze infermieristiche, Università degli Studi di Torino), Carlo Pontillo (Dirigente SC Cure domiciliari e disabilità dell’ASL Città di Torino) e Fabiano Zanchi (Dirigente delle Professioni Sanitarie – Area ospedaliera e territoriale dell’ASL Città di Torino).
«La normativa della Regione Piemonte che regola le Cure domiciliari risale al 2002 e richiederebbe una revisione che la renda coerente con le successive regolamentazioni nazionali, tra le quali i LEA del 2017.
Alcuni casi per i quali sono attualmente attivate tipologie di assistenza monoprofessionale come il SID e l’ADP, riceverebbero una risposta più appropriata se presi subito in carico in ADI, evitando probabilmente successive conversioni o peggio, necessitando di ricoveri ospedalieri.
La durata delle prese in carico tende ad aumentare rispondendo ai bisogni di cura e assistenza correlati all’aumento delle patologie croniche o ad esiti invalidanti di malattie degenerative o di eventi acuti: esempio Ictus. Non episodici le periodiche riaperture di casi, con ripetute prese in carico negli anni degli stessi assistiti.
Bisogna inoltre essere consapevoli che la scelta di puntare molto sullo sviluppo dell’empowerment dell’assistito e dei caregivers, carica quest’ultimi di un elevato impegno di cure/assistenza che si scontra spesso con l’impossibilità di presa in carico per assenza del caregiver o sua limitata disponibilità di tempo da dedicare al lavoro di cura. Inoltre l’intensità assistenziale calcolata sostanzialmente sul numero delle giornate di effettiva assistenza, vincolata all’accesso del personale professionale, viene per così dire “penalizzata” laddove il modello assistenziale adottato è fortemente orientato all’empowerment dell’assistito e/o del caregiver, per cui non necessariamente è rappresentativa della effettiva complessità del paziente.
Significativo della carenza di caregiver tra la popolazione anziana non autosufficiente torinese, l’elevata richiesta d’interventi socio-sanitari di Lungassistenza domiciliare (n. 1.845 anziani attivi al 30/6/2021, ma con una lista d’attesa di circa 4.500 persone già valutate idonee). Tale richiesta di usufruire dell’assistenza diretta di Assistenti famigliari, meglio conosciuti con la denominazione di Badante (4) o avere un assegno di cura per pagarne la
contrattualizzazione, esprime la necessità degli assistiti di usufruire non solo della professionalità di medici e infermieri, ma anche di un sostegno per le attività di vita quotidiana».
Cosa c’è da fare, si sa bene. Per cosa è stato fatto (e cosa no), bisogna andare oltre la propaganda.
Replica punto 4. Le cure domiciliari dell’Assistenza domiciliare integrata e gli assegni di cura domiciliare sono cose completamente diverse. Mentre la prima è fatta di passaggi professionali (medico, infermiere…), puntuali (cura piaga, cambio flebo…) e limitati (sia per numero, sia nel tempo), l’assegno di cura modello Piemonte (ormai cancellato dai provvedimenti delle ultime due giunte regionali) prevendeva una quota sanitaria a casa definitiva (fino a 675,00 euro), sul modello della convenzione Rsa, erogata in base al fabbisogno sanitario e non all’Isee.
1 Questa la domanda al confronto dei candidati: «Il 27 maggio 2023 il Comitato distribuiva un volantino sulla condizione di non autosufficienza. I dati a gennaio 2023 riportavano la condizione di residenzialità: metà dei posti letto (15.000 su 30.000) non coperti da integrazione sanitaria della retta (circa 3000 euro/mese a carico del malato e dei familiari). Le liste di attesa per cure domiciliari in lungo assistenza ammontavano, secondo le statistiche pubblicate, a 11.121. La valutazione di accertamento (Uvg) superava i 90 gg di legge di attesa per 2.240 persone. Sui dati disponibili per Asl Torino 6.225 malati cronici non autosufficienti pagano interamente la retta Rsa e 4.330 non hanno avuto riscontro alla richiesta di cure domiciliari.
Se la non autosufficienza si definisce clinicamente come impossibilità a compiere autonomamente le funzioni quotidiane della vita e se tale condizione è l’esito di malattie croniche invalidanti e progressive, come valuta il mancato riconoscimento della quota sanità in Rsa e le liste di attesa per le cure domiciliari?
Quale programma ritieni di attivare per garantire il percorso di cura e di assistenza dei malati cronici non autosufficienti?».
UNA
REPLICA ALLE RISPOSTE DEI CANDIDATI PRESIDENTE.
28
maggio 2024 – Andrea Ciattaglia
Il
Comitato per la difesa del diritto alla tutela della salute ha
organizzato il 27 maggio 2024 un’iniziativa di confronto
preelettorale con quattro candidati alla presidenza della Regione
Piemonte. Ricorreva, nell’occasione, un anno dalla marcia da piazza
Carducci al nuovo Palazzo della Regione, che aveva visto 12mila
piemontesi – professionisti della sanità, sindacati,
organizzazioni di rappresentanza dei malati, singoli cittadini –
scendere in strada a difesa del servizio sanitario universalistico e
pubblico.
Per
chi fosse interessato, qui di seguito un’analisi/valutazione sulla
risposta dei candidati – e in particolare del Presidente uscente –
al quesito specifico sulla non autosufficienza1.
Per completezza di contro-argomentazioni non stato possibile essere
breve, tuttavia si è proceduto per punti e al termine di ogni punto
si è data una sintesi in forma di replica in quattro righe, ad uso
di chi si trovasse a dover controbattere a quanto di errato è stato
esposto.
Le
candidate Francesca Frediani (Piemonte Popolare), Sarah Disabato
(M5S) e Gianna Pentenero (coalizione a guida Partito democratico)
hanno sostenuto posizioni di principio che, anche se in qualche caso
lodevoli, sono risultate non propriamente calate nella concretezza
della situazione piemontese. Sì, alcuni riferimenti agli assegni di
cura, ai posti senza convenzione nelle Rsa sono stati fatti, ma
l’impressione è che servirebbe (sarebbe servito?) di più per
proporre – pur davanti a una platea tendenzialmente “favorevole”
– una posizione forte, di contrasto all’attuale amministrazione
regionale e di programma concerto a tutela del diritto dei malati a
ricevere le cure.
Pare
necessario soffermarsi più diffusamente su quanto ha detto il
Presidente uscente, Alberto Cirio, che è arrivato all’incontro
preparando su tutti i temi una serie di dati e di argomenti con il
proposito di dare all’intervento il respiro lungo, calato nel
concreto, dei cinque anni di amministrazione. Quando detto richiede
tuttavia precisazioni di non poco conto e inquadramento complessivo
dei dati forniti.
1.
Posti
convenzionati Rsa.
Cirio sostiene che «nel
2019 gli utenti inseriti in convenzione in Rsa erano 15.000, nel 2024
sarebbero 18.600 (+3.600)».
In base ai dati forniti dalle Asl, questi numeri non tornano. Nel
senso che dai dati delle Asl occorre prendere “seriamente” solo
quelli relativi alle convenzioni definitive, cioè all’inserimento
senza limite di tempo dei malati non autosufficienti. Cosa rimane
fuori? I ricoveri di sollievo e tutti i ricoveri “post-acuzie”,
che con il Covid e poi con la seconda metà del mandato sono
incrementati di molto, perché si sono utilizzate le Rsa come posti
letto di dimissione veloce dal Pronto Soccorso o dai reparti
ospedalieri (si sorvola qui sull’appropriatezza di questi
ricoveri), ma per un periodo di tempo definito (1 mese al 100% pagato
dall’Asl, il secondo – laddove attivato – pagato al 50%. Dal
terzo, ricovero privato, se la permanenza in Rsa continua, per tutti
i casi non definiti «urgenti» dalle Unità di valutazione
geriatriche, cioè la stragrande maggioranza).
Se
si considera una «convenzione», da conteggiare nelle 18.600 citate
dal Cirio, quella attivata per un paziente dimesso dall’ospedale e
ricoverato in “continuità delle cure” in Rsa a febbraio (con
retta pienamente pagata dall’Asl per i primi trenta giorni, al 50%
per i successivi trenta del mese di marzo e poi cliente privato da
aprile in avanti), si stanno evidentemente manipolando i dati per
fornire la falsa immagine dell’incremento delle convenzioni “vere”.
Replica
punto 1. I
numeri forniti da Cirio non sono attendibili, perché non è
specificata la “natura” delle convenzioni. La Regione Piemonte ha
negato il diritto esigibile (legge 833/1978, articolo 30 dei Lea)
alla quota sanitaria a oltre 15mila malati non autosufficienti. Cioè,
non ha garantito alcun tipo di cura a piemontesi gravemente malati
(Alzheimer, demenza, esiti da ictus…).
2.
Dati
generali.
È lo stesso Cirio a smentirsi poco dopo, quando afferma: «Nel
2019 venivano spesi 275 milioni di euro all’anno per le
convenzioni, oggi ne spendiamo 305».
Considerando, per comodità di calcolo, cifre “a spanne” ma
vicine ai dati reali di dettaglio (1500 euro al mese la quota
sanitaria, il 50% della retta totale come da Lea), risulterebbe che:
275 milioni / 12 mesi dell’anno / 1500 euro al mese = 15.277
convenzioni; ma, invece, 305 milioni / 12 mesi dell’anno / 1500
euro al mese = 16.944 convenzioni! Non 18.600!
In
queste acque intorbidate, quale la verità? L’incremento segnalato
da Cirio è quasi solo sulla carta; considerando tutti i cinque anni
di mandato, le prese in carico sono precipitate durante il Covid e
hanno, se va bene, ripreso i ritmi pre-pandemia. Variazioni
sensibili, in un settore nel quale alla metà degli utenti è negato
un diritto, sarebbero quelle di decine di migliaia di malati passati
da ricovero privato a ricovero convenzionato. L’oscillazione di
qualche migliaio scarso di utenti in cinque anni (peraltro, mettendo
dentro tutti i tipi di “convenzione”) rischia di banalizzare la
gravità del problema e dell’ingiustizia.
Inoltre,
va considerato che sulla pelle (meglio, con le tasche) dei piemontesi
è stato siglato lo scellerato patto Regione-Gestori privati delle
Rsa, che hanno accettato e fomentato la delibera sulla cosiddetta
continuità delle cure (la 10/2022, che in realtà interrompe la
copertura dell’Asl dopo due mesi), senza preoccuparsi del diritto
alla continuità della presa in carico sul lungo periodo, cioè della
conferma della convenzione dopo i primi sessanta giorni di ricovero
post ospedaliero.
Nel
momento di maggior svuotamento delle Rsa per i decessi Covid, quando
alcune strutture sono arrivate ad avere il 40% dei posti vuoti e a
vedersi negato il permesso a nuovi inserimenti, l’accordo, nemmeno
velato, è stato: «Voi
strutture ci aiutate a svuotare i Pronti soccorso, noi Asl vi
riempiamo di nuovo i posti con malati che dal secondo mese dovete
essere bravi a tenervi come clienti privati».
Un meccanismo perverso che ha interessato e continua a interessare
migliaia di malati non autosufficienti all’anno.
Non
va poi dimenticato che proprio la delibera 10/2022 stabilisce (è la
conferma di quanto scritto nella precedente delibera 1/2022, sullo
stesso tema) «che
la copertura economica del presente provvedimento rientra nella quota
indistinta di finanziamento alle ASL e che la spesa, essendo
necessario perseguire l’equilibrio di bilancio, dovrà essere
mantenuta entro il limite di quella sostenuta per inserimenti in RSA
nell’anno 2019».
Cioè, che gli inserimenti di malati in “convenzione” per i due
mesi post ospedalieri, non deve sforare il limite di spesa
complessivo per le convenzioni Rsa erogate nel 2019, proprio il dato
citato da Cirio come “parametro negativo”, rispetto al quale
l’amministrazione uscente avrebbe aumentato le “convenzioni”.
Il
risultato è paradossale: se fosse vero l’incremento delle risorse
destinate a “convenzioni” per posti in Rsa, le Asl avrebbero
violato una delibera della Giunta sforando tetti di spesa (violazione
in eccesso); allo stesso tempo violano il Livello essenziale
nazionale per i malati lasciati senza convenzione (violazione in
difetto). Un pasticciaccio che solo il deliberare ingiustamente su
una ingiustizia già conclamata poteva creare. E, infatti, ha creato.
Replica
punto 2. Anche
i dati complessivi delle risorse impegnate dalla Regione per le
convenzioni in Rsa non tornano, sia come numero corrispondente di
convenzioni, sia come cifra totale. Va poi considerato il negativo,
autoimposto “vincolo di bilancio” per mantenere la spesa per le
convenzioni in Rsa al livello delle risorse spese nel 2019. Com’è
possibile l’incremento a risorse invariate?
3.
Scelta
sociale.
Sulla misura Scelta sociale, il “mischione” sui numeri giunge
all’ulteriore passo di mettere insieme contributo residenziale e
contributo domiciliare. Cirio ha affermato: «7200
famiglie percepiscono 600 euro al mese».
I
dati ufficiali della Regione Piemonte aggiornati al 24 maggio 2024
dicono, invece, che nelle cinque tranche di bando hanno presentato
richiesta per “Scelta sociale residenziale” 5.211 persone,
ammesse al finanziamento 3.256, effettivamente erogati 2.867. “Scelta
sociale domiciliare” è stata richiesta da 6.136 casi, ammessi
3.105, finanziati 2.392. Quindi, a bandi conclusi, in tema di
residenzialità la Regione certifica 2.867 erogazioni.
Anche
sulle risorse, i dati di Cirio sono mal contestualizzati. Ha detto:
«Se
noi aggiungiamo i 90 milioni di “Scelta sociale” ai 305 delle
convenzioni otteniamo 395 milioni di euro destinati al settore».
Premesso per i 305 milioni quanto scritto sopra e per “Scelta
sociale” il fatto che si tratta di un tampone di minima entità,
esplicitamente destinato alle vittime di violazione del diritto alla
cura (mancata convenzione) da parte della stessa Regione, le cifre
andrebbero ridimensionate così: 90 milioni sono l’intero importo
del Fondo sociale dedicato a “Scelta sociale”. Periodo di spesa
biennale, quindi sono 45 milioni all’anno, a loro volta ancora
divisi più o meno equamente tra domiciliari e residenziali.
Il
conto è presto fatto, numeri della Regione alla mano: 2.867 utenti
effettivamente destinatari dell’erogazione * 600 euro al mese * 12
mesi: 20,6 milioni. Non 90.
Replica
punto 3.
Scelta sociale è un provvedimento di politica sociale per pochi,
selezionati utenti ai quali la Regione (le Asl) hanno negato il
diritto esigibile alla quota sanitaria in Rsa o alle cure
socio-sanitarie domiciliari. I dati citati da Cirio sono
sovradimensionati rispetto alle stesse cifre ufficiali della Regione.
La
conclusione dei punti 1, 2 e 3 è per Cirio che «dei
42mila posti letto in Rsa in Regione, di cui 35mila accreditati,
25mila persone prendono un sostegno».
Sulla
larga imprecisione dei dati forniti si è già detto nei punti
precedenti. Si aggiungano due osservazioni. La prima, di allarme per
l’imminente legislatura. I “conti” di Cirio prospettano un
fondo socio-sanitario non dichiarato, ma operante nei fatti. Una
prospettiva che ha simpatizzanti anche fra le forze dell’attuale
minoranza regionale. Non importa da dove arrivano i fondi (chi si
ricorda le parole degli assessori Saitta e Ferrari per calmare le
proteste sulla domiciliarità per i non autosufficienti, scaricata su
famiglie e Comuni?), non importa se il finanziamento corrisponde a
diritti esigibili (quote Lea) o si concretizza in erogazioni
discrezionali della Regione, con soglie Isee famigliari, incardinate
nel debole settore delle politiche sociali, alimentate da fondi
europei temporalmente limitati e incerti… l’importante è dire
«qualcosa c’è».
La
seconda, di panorama culturale. L’impostazione generale rivela una
“cultura” secondo la quale le drammatiche vicende dei malati non
autosufficienti senza presa in carico del Servizio sanitario
nazionale pubblico non rappresentano questioni scottanti di diritto
(negato) ad una prestazione. L’intervento pubblico non è doveroso
riconoscimento concreto di un diritto, ma «sostegno» a chi non ce
la fa a pagarsi le cure da solo, in ogni caso da erogarsi secondo il
principio dell’«equilibrio dei conti» (già negato in tema Lea da
Corte costituzionale e Consiglio di Stato).
La
normalità appare il mercato (anche e soprattutto in materia
sanitaria), mentre l’intervento dello Stato deve essere limitato a
sostegni per i bisognosi (cioè, i poveri). Una logica, coincidente
con gli interessi delle assicurazioni private, che lascia al Servizio
sanitario i casi non redditizi o l’acuzie (Cirio più volte ha
rivendicato la difesa del Servizio sanitario pubblico perché «l’ho
vissuto nel midollo»
ai tempi del contagio Covid), mentre scarica sulle famiglie l’onere
delle cure di lungo periodo: un arretramento del compito di cura
senza limiti di durata del Servizio sanitario pubblico che crea
clienti per il mercato dei «fornitori di prestazione». La chiamano
sussidiarietà, ma è privatizzazione.
4.
Cure domiciliari. Cirio
ha comunicato che il Piemonte ha raggiunto il traguardo di 119mila
ultrasessantacinquenni presi in carico in «cure domiciliari». Erano
58.200 nel 2019. Si riferisce ai dati dell’Adi (Assistenza
domiciliare integrata), esclusivamente svolta da personale
professionale e mai riguardante le prestazioni di aiuto
infermieristico e assistenza tutelare, cioè quelle di lunga durata
che servono ai malati cronici non autosufficienti.
Per
dare conto della distanza siderale tra un’Adi e un vero assegno di
cura (modello Piemonte, affossato dalle ultime due giunte regionali)
basti dire che la prima è quantificata in 18 ore all’anno, il
secondo nel pagare una importante percentuale delle spese affrontate
per la cura quotidiana di un malato non autosufficiente a domicilio,
24 ore su 24, 365 giorni all’anno.
In
materia di cure domiciliari per i malati non autosufficienti (che
sono altra cosa rispetto all’Adi e non sono nel Pnrr) riportiamo
per intero le conclusioni dell’articolo “Le
cure domiciliari alla popolazione della città di Torino. L’analisi
della prassi per una nuova progettualità”, pubblicato sul portale
di settore welforum.it il 10 dicembre 2021 e
firmato
da Cirio…
Franco
(Responsabile infermieristico Dipartimento continuità
dell’assistenza ospedale-territorio dell’ASL Città di Torino e
Docente a contratto di Infermieristica della cronicità e disabilità
c/o Corso di laurea in Scienze infermieristiche, Università degli
Studi di Torino), Carlo Pontillo (Dirigente SC Cure domiciliari e
disabilità dell’ASL Città di Torino) e Fabiano Zanchi (Dirigente
delle Professioni Sanitarie – Area ospedaliera e territoriale
dell’ASL Città di Torino).
«La
normativa della Regione Piemonte che regola le Cure domiciliari
risale al 2002 e richiederebbe una revisione che la renda coerente
con le successive regolamentazioni nazionali, tra le quali i LEA del
2017.
Alcuni
casi per i quali sono attualmente attivate tipologie di assistenza
monoprofessionale come il SID e l’ADP, riceverebbero una risposta
più appropriata se presi subito in carico in ADI, evitando
probabilmente successive conversioni o peggio, necessitando di
ricoveri ospedalieri.
La
durata delle prese in carico tende ad aumentare rispondendo ai
bisogni di cura e assistenza correlati all’aumento delle patologie
croniche o ad esiti invalidanti di malattie degenerative o di eventi
acuti: esempio Ictus. Non episodici le periodiche riaperture di casi,
con ripetute prese in carico negli anni degli stessi assistiti.
Bisogna
inoltre essere consapevoli che la scelta di puntare molto sullo
sviluppo dell’empowerment dell’assistito e dei caregivers, carica
quest’ultimi di un elevato impegno di cure/assistenza che si
scontra spesso con l’impossibilità di presa in carico per assenza
del caregiver o sua limitata disponibilità di tempo da dedicare al
lavoro di cura. Inoltre l’intensità assistenziale calcolata
sostanzialmente sul numero delle giornate di effettiva assistenza,
vincolata all’accesso del personale professionale, viene per così
dire “penalizzata” laddove il modello assistenziale adottato è
fortemente orientato all’empowerment dell’assistito e/o del
caregiver, per cui non necessariamente è rappresentativa della
effettiva complessità del paziente.
Significativo
della carenza di caregiver tra la popolazione anziana non
autosufficiente torinese, l’elevata richiesta d’interventi
socio-sanitari di Lungassistenza domiciliare (n. 1.845 anziani attivi
al 30/6/2021, ma con una lista d’attesa di circa 4.500 persone già
valutate idonee). Tale richiesta di usufruire dell’assistenza
diretta di Assistenti famigliari, meglio conosciuti con la
denominazione di Badante (4) o avere un assegno di cura per pagarne
la
contrattualizzazione,
esprime la necessità degli assistiti di usufruire non solo della
professionalità di medici e infermieri, ma anche di un sostegno per
le attività di vita quotidiana».
Cosa
c’è da fare, si sa bene. Per cosa è stato fatto (e cosa no),
bisogna andare oltre la propaganda.
Replica
punto 4. Le
cure domiciliari dell’Assistenza domiciliare integrata e gli
assegni di cura domiciliare sono cose completamente diverse. Mentre
la prima è fatta di passaggi professionali (medico, infermiere…),
puntuali (cura piaga, cambio flebo…) e limitati (sia per numero,
sia nel tempo), l’assegno di cura modello Piemonte (ormai
cancellato dai provvedimenti delle ultime due giunte regionali)
prevendeva una quota sanitaria a casa definitiva (fino a 675,00
euro), sul modello della convenzione Rsa, erogata in base al
fabbisogno sanitario e non all’Isee.
1
Questa
la domanda al confronto dei candidati: «Il
27 maggio 2023 il Comitato distribuiva un volantino sulla condizione
di non autosufficienza. I dati a gennaio 2023 riportavano la
condizione di residenzialità: metà dei posti letto (15.000 su
30.000) non coperti da integrazione sanitaria della retta (circa
3000 euro/mese a carico del malato e dei familiari). Le liste di
attesa per cure domiciliari in lungo assistenza ammontavano, secondo
le statistiche pubblicate, a 11.121. La valutazione di accertamento
(Uvg) superava i 90 gg di legge di attesa per 2.240 persone. Sui
dati disponibili per Asl Torino 6.225 malati cronici non
autosufficienti pagano interamente la retta Rsa e 4.330 non hanno
avuto riscontro alla richiesta di cure domiciliari.
Se
la non autosufficienza si definisce clinicamente come impossibilità
a compiere autonomamente le funzioni quotidiane della vita e se tale
condizione è l’esito di malattie croniche invalidanti e
progressive, come valuta il mancato riconoscimento della quota
sanità in Rsa e le liste di attesa per le cure domiciliari?
Quale
programma ritieni di attivare per garantire il percorso di cura e di
assistenza dei malati cronici non autosufficienti?».
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