Il cammino del neofascismo post nazifascismo

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Premettendo che il nazismo e il fascismo – estreme articolazioni del capitalismo – non sono storicamente nati e cresciuti (pasciuti dai poteri industriali e mediatici) da ribellione sociale e rivolte delle classi povere europee, è inconfutabile che sono stati regimi costruiti sulle crisi sociali ed economiche – prodotte come sempre dagli stessi capitalisti – come strumento di controllo di potenziali ribellioni rivoluzionarie antisistema. Altrimenti mostri come Hitler e Mussolini o marionette da manovrare come Berlusconi, Salvini e Meloni, non sarebbero comparsi, con l’aiuto della sinistra compromessa, anche con governi di gestione diretta del capitalismo, vedi Monti e Draghi in Italia.

La differenza delle destre reazionarie di oggi dai regimi nazisti e fascisti sta nel nascondere la mano nella convergenza istituzionale dei governi di alternanza di stampo statunitense, anch’esso forma di fascismo ammantato di liberismo sinonimo di militarismo molto simile alle aggressioni naziste agli Stati e al colonialismo italiano.

Eppure la fascistizzazione c’è. Essa si fa di giorno in giorno più evidente, più opprimente e più capillare e chiunque abbia una certa sensibilità ne sente già da molto tempo spirare il vento. Il nuovo governo è, come dicevamo, solo il punto di avvio di un ulteriore salto qualitativo.

Per definire cosa intendiamo quando parliamo oggi di fascistizzazione, occorre innanzitutto riferirsi ai dati strutturali. È su questo terreno che avviene, contemporaneamente, la più ampia divaricazione tra il fenomeno fascista storicamente conosciuto e quanto viviamo attualmente e, per converso, si constatano le radici profonde del nuovo fenomeno autoritario che vediamo avanzare.

In questa Italia marcia, appunto, avanza la marmaglia fascista (si diceva una volta) destrutturando la Costituzione antifascista, come vendetta contro la lotta di liberazione dal nazifascismo. Vendetta che comunque viene avanti dal decennio dopo la nascita della Repubblica con l’inquinamento delle istituzioni, rimettendo al lavoro nei posti chiave funzionari fascisti e utlizzando, da parte della DC, anche nel Parlamento il Partito dichiaratamente fascista, quel MSI a cui si rifà il governo in carica.

Il passaporto ai neofascisti (contro i quali non è stato mai applicato il reato di Apologia del fascismo) è stato rivalidato anche da chi – come il PD, si crede erede della lotta di Liberazione – con relazioni esplicite, la legge elettorale maggioritaria, e anche un referendum per debilitare la Costituzione antifascista.

Tutto queste agevolazioni alla logica dell’autoritarismo istituzionale, come mannaia sulla giustizia sociale, malvisto DNA della democrazia effettiva, ha oggi riscontro sia nelle misure economiche – in ossequio al profitto spudorato delle imprese – e sia nella repressione del dissenso, legiferata con una logica militarista, sia nel disegno dittatoriale portato avanti con il Premierato, ovvero il capo del governo come figura autarchica, con il Presidente della Repubblica come notaio suddito.

Un siffatto Capo del governo che sia inamovibile per cinque anni e prorogabile d’imperio, e non revocabile per il venir meno della fiducia dei cittadini (semmai questa fiducia esistesse, questo governo non ce l’ha!) e del Parlamento, sarebbe del tutto in grado di instaurare un fascismo vagamente simile alle prerogative del ventennio mussoliniano.
Un simile fenomeno autoritario avrà dunque due compiti principali: prevenire il sorgere di un antagonista politico organizzato capace di minacciare il sistema dalla piazza, ma soprattutto garantire il disciplinamento dell’intera società in funzione della risposta che questo intende organizzare alla crisi strutturale del modello economico di cui è espressione.

Appare evidente come, in un simile scenario di dominio politico, una soluzione apertamente dittatoriale sia non solo inutile, ma assolutamente non funzionale allo scopo. L’Europa contemporanea, con casi quali quello dell’Ungheria di Orbán, offre già evidenze di come il genere di autoritarismo di cui necessita oggi il capitalismo non abbia bisogno di mettere in discussione apertamente caratteristiche abituali della “democrazia liberale” quali il multipartitismo.

In conseguenza della particolare rapidità del declino pianificato dell’economia produttiva italiana e del fatto che il Paese, per poter accedere a questa fase di declino accelerato, ha dovuto sopportare già una prima volta l’impatto dello smantellamento sociale della conformazione partitica della sua classe dirigente nel periodo 1989-1994.

Il processo di fascistizzazione fa da spalla la Lega, un partito che sta compiendo, con le leve del governo in mano da tanti anni, una vera e propria virata neofascista, in parallelo con le sue mire secessioniste dal sud Italia, vedi il progetto bipartisan (con Bonaccini del PD) dell’Autonomia Differenziata, ma attentissimo a offrire le dovute garanzie alle oligarchie finanziarie e alle istituzioni sovranazionali pubbliche e private. Fino a quando Meloni e Salvini serviranno?

Redazione Lavoro e Salute

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